Non è un addio a Enrico Berlinguer quello dei registi Michele Mellara e Alessandro Rossi. Bensì un arrivederci. “L’auspicio è rivolto a quel modo di pensare alla politica e alla militanza”, spiegano in quest’intervista con The Hollywood Reporter Roma. “È un arrivederci più riferito al popolo che partecipa alle esequie, piuttosto che a Berlinguer”.
A quarant’anni dalla morte del segretario del Pci, continuano Mellara e Rossi, questo documentario dialoga “con il film d’origine dei materiali che invece s’intitola L’addio a Enrico Berlinguer“. Arrivederci Berlinguer! è infatti una rivisitazione del girato originale realizzato collettivamente da alcuni dei più grandi registi italiani dell’epoca. Ettore Scola, Bernardo Bertolucci, Giuliano Montaldo e Gillo Pontecorvo, tra gli altri.
“Quel modo di fare militanza e politica sembra ancora ben lontana dal tornare”, continuano i registi, che oltre al materiale originale filmato durante i funerali del segretario del Partito comunista italiano hanno aggiunto altri spezzoni d’archivio. Le immagini, che mostrano la partecipazione di massa alle esequie di Berlinguer e l’eredità politica e culturale che ha lasciato al Paese, sono accompagnate dalla musica di Massimo Zamboni, membro storico dei Cccp – Fedeli alla linea.
Arrivederci Berlinguer!, realizzato con i materiali dell’archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico (Aamod), è stato proiettato nel 2023 in piazza Maggiore a Bologna, nel corso di un cineconcerto in cui Zamboni ha suonato in live le musiche composte per il documentario.
La pellicola è stata poi proiettata al Cinemazero di Pordenone e al Unarchived Found Footage Fest di Roma. Dopo il missaggio delle musiche, e una parte di lavoro più tecnico, una versione cinematografia di Arrivederci Berlinguer! arriverà nella sale grazie a Wanted il 10, 11 e 12 giugno.
Berlinguer sosteneva che non c’è un sentire comunista, ma un divenire. Voi credete in questa visione?
In quegli anni era molto forte il Partito comunista, come era molto forte il sentirsi parte di una comunità. Una comunità che al suo interno integrava diverse ceti e professioni diverse, nonché una condivisione di prospettiva politica. Per cui, Berlinguer ha avuto il pregio di non aver cristallizzato questa idea della politica in qualcosa di statico e definitivo. Bensì in un processo di metamorfosi, che deve cambiare in relazione ai tempi che stiamo vivendo. Forse è lì che sta il sale del “divenire comunisti”. Cioè cambiare in relazione ai tempi, ma mantenendo degli ideali cardine, che diventano punti di riferimento: giustizia sociale, l’equità, la politica di rettitudine, che si basa anche su un’etica dei personaggi pubblici in relazione ai cittadini e al loro ruolo di politici. In un certo senso è illuminante, perché forza a rielaborare sempre questi concetti.
Morto Berlinguer sembra essere morto un sogno. La sua eredità non è mai stata ripresa secondo voi?
La sua eredità è stata completamente dissolta, se si pensa che dopo pochi anni dalla sua morte non esiste neanche più il Pci. Ci fu quella che per lungo tempo fu definita “la Cosa”. Prese vari nomi, integrò pezzi di Democrazia cristiana. Di lì a poco i partiti si sono frantumati, ed è cambiata anche banalmente la struttura politica. Come l’elezione dei sindaci, ad esempio. Alla fine degli anni novanta il sindaco è diventato di emanazione diretta e non dei partiti. Difficilmente poteva continuare a esistere un partito del genere in una struttura politica che non lo prevedeva più. Abbiamo dei politici che durano pochissimo, altri purtroppo durano troppo.
Perché secondo voi?
Perché c’è un plebiscito su di loro. Ciò li rende allo stesso tempo molto forti e molto deboli. Nel momento stesso in cui il partito sono loro, tutto di basa sulla loro trasformazione e possono cadere da un momento all’altro.
La nostra democrazia è pervasa di populismo, ma qualcuno potrebbe anche dire che Berlinguer, in qualche modo, fosse un populista.
Lì è materia di opinioni. I fatti, quelli che abbiamo mostrato nel film, sono che è stato il leader politico che ha avuto il funerale più partecipato nella storia della Repubblica. E questo è un dato non marginale. Perché mette in evidenza vari fattori: era un politico indubbiamente capace di parlare e di relazionarsi con ceti sociali differenti e con strati della popolazione italiana geograficamente molto distanti gli uni dagli altri. Per partecipare al funerale, larga parte della popolazione italiana fece uno sforzo economico non indifferente, venendo dai quattro angoli del Paese. L’altro dato è che era capace di comunicare con tutti, con un rapporto quasi familiare nel senso alto del termine, dove c’è una responsabilità nei ruoli della famiglia. Una responsabilità che Berlinguer aveva con i militanti del partito. Era presente, si pensi alla scena che abbiamo messo nel film in cui parla a una sezione del partito. C’è il Berlinguer presente agli appuntamenti di maggior rilievo nazionali e internazionale, ma c’è anche il Berlinguer altrettanto presente e pervasivo nella comunicazione con il popolo e con i militanti.
Questo documentario, oltre a ricordare i 40 anni dalla morte, esprime una vostra necessità personale?
I film sono progetti plurali. E in questo documentario c’è l’esigenza nostra di regia di confrontarci con questo materiale d’archivio e questo filmato originario girato dai più importanti registi del cinema italiano. Ma c’è anche l’esigenza di Massimo Zamboni di confrontare la sua musica con una figura per lui molto significativa, lui è un po’ più vecchio di noi. Questo anche per una sua provenienza culturale e politica. C’è inoltre l’esigenza di Riccardo Costantini e Luca Ricciardi, che hanno ispirato il film. Ricciardi è responsabile dell’archivio del movimento operaio e democratico, che desiderava trovare un modo per far uscire questi materiali d’archivio, sì per celebrare ma anche per rispolverarli. E infine Riccardo, che ha messo insieme i registi, archivio e musicista. È stato un dialogo. Noi siamo quelli che hanno messo le immagini in fila, però queste esigenze sono dentro al modo in cui le abbiamo incastrate.
Nel vostro percorso avete già parlato di politica?
Sì, ci siamo già confrontati in precedenza con questi temi. Nel 2010 abbiamo fatto un film documentario distribuito dalla Cineteca di Bologna che s’intitola La febbre del fare, e che raccontava la stagione politica migliore di Bologna, la cosiddetta “buona amministrazione” dal dopoguerra fino agli anni ottanta, concentrandosi sugli anni cinquanta e sessanta. Ci furono anche servizi della Bbc in quegli anni che raccontavano la “buona amministrazione” comunista della città di Bologna. E in quel film, noi abbiamo cercato di raccontare quella stagione. Questo mostra da parte nostra un interesse rispetto a quanto la politica incida nella vita di tutti di giorni. Raccontarla all’interno di un film è un impresa entusiasmante e dall’altra parte fa frullare i neuroni, perché la storia è sempre contemporanea. Ciò che guardiamo, anche se è passato, oggi viene filtrato da un prospettiva che abbiamo del presente. Anche in Arrivederci Berlinguer! ci sono dei rimandi all’oggi. Per contrasto, analogia ed empatia, lo spettatore è mettere le immagini che visualizza in relazione con il momento presente.
Nei documentari è tanto importante quello che c’è quanto quello che non c’è. Ci sono scene che avete scartato e altre che avete voluto assolutamente tenere? Perché?
Abbiamo deciso di togliere gli incontri con i politici. Il montaggio è stato concluso un po’ di tempo fa. Abbiamo lasciato, misteriosamente e per qualche illuminazione che ogni tanto capita nel fare i film, solamente Arafat. Abbiamo lasciato anche Sandro Pertini, che era presidente della Repubblica e raccoglie il mondo politico italiano. La parte per il tutto. Ma non lo abbiamo lasciato solo per questo. Nel film, c’è una gaffe di uno dei bambini intervistati che dice: “È morto Pertini, ah no Berlinguer”. Li accomuna perché probabilmente c’era un grado di familiarità con questi due politici che c’è stato con pochi altri politici nella storia italiana.
Il volto di Berlinguer sulla tessera del Partito democratico secondo voi è omaggio o volontà di raccogliere l’eredità?
Sicuramente un omaggio. Non so se sia una volontà. Quella di Berlinguer è un’eredità che al quarantennale dalla morte dovrebbe far discutere in un paese civile. Insomma può innescare dei pensieri di riflessione sul contemporaneo, sull’oggi. Rispetto al senso della politica rappresentativa: il ruolo che un leader deve avere con i cittadini, coerenza delle idee, e potremmo continuare. Come cittadini ci auguriamo che diventi un momento per rimettere in circolo alcune idee, pensare a come progettare il futuro anche in relazione al nostro passato prossimo.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma