Davide Ferrario racconta la parabola di Dopo mezzanotte, che torna a vivere al TFF : “Ecco il mio film non più invisibile”

La pellicola del 2004 è la prima girata interamente in digitale nel Bel Paese: una storia strana, magica, come il Museo del Cinema in cui è ambientata. Un'opera che rischiava di rimanere fantasma e che riemerge nella sezione "Back to life" del Torino Film Festival

“Mi piacerebbe girare in verticale. Se non sei in verticale non puoi andare su Instagram”. Anche se qualcuno può averlo già fatto (“Un regista francese, credo, forse”), Davide Ferrario dimostra di essere avanti con i tempi, ancora una volta. Classe ’56 di Casalmaggiore, originario della provincia lombarda, il regista, sceneggiatore, scrittore e critico italiano ha girato nel 2004 il primo film italiano interamente in digitale, Dopo mezzanotte, che oltre a racchiudere una scelta poetica “ne aveva anche una molto pratica”.

“Il film è ambientato interamente al Museo del Cinema di Torino, nella Mole Antonelliana. Un luogo affascinante, ma non proprio illuminatissimo”, spiega Ferrario. La storia è quella di Martino, interpretato da Giorgio Pasotti, custode dei segreti e dei corridoi della macchina del tempo della settima arte, che si innamora di Amanda, inserviente di un fast food e fidanzata col ladruncolo Angelo (Fabio Troiano), a cui presta il volto Francesca Inaudi. Oggi quel film torna a vivere, nella sezione “Back to life” del Torino Film Festival.

“Avendo girato il film in digitale abbiamo lavorato con la luce che trovavamo”, racconta il regista. “Se avessimo scelto la pellicola, avremmo dovuto introdurre attrezzature, maestranze. Invece in questo modo abbiamo ridotto il budget e realizzato l’opera con una troupe di venti persone. Entravamo quando il museo chiudeva e uscivamo alle otto del mattino quando attaccavano gli impiegati. Anche noi siamo stati un po’ i suoi custodi. Era il nostro parco giochi. E alle tre di notte, quando facevamo pausa, la gente andava a dormire sulle poltrone rosse. Mi porto dietro immagini molto umane”.

Davide Ferrario, cinema indie e la storia meravigliosa del (non) restauro

Dopo mezzanotte delineò l’opportunità di un nuovo cinema possibile, indipendente e totalmente libero, di cui Ferrario ricorda “le serate romane con Daniele Luchetti e Francesca Archibugi che mi domandavano come si potesse realizzare”. Un’idea che fu anche un po’ un boomerang, per una pellicola che rischiava di rimanere fantasma e che grazie proprio al Museo Nazionale del Cinema, con il sostegno dell’ACE, torna “in vita”, oltre che in sala. “Restauro è un termine improprio”, continua Davide Ferrario.

“È una storia curiosa, anche originale. Dopo mezzanotte non è stato un esperimento, ma il primo vero e proprio film girato a basso costo in Italia. Il fatto, però, è che ci trovavamo nel 2004 e in quell’anno non esisteva ancora un DCP adeguato (Digital Cinema Package, equivalente digitale della pellicola per la proiezione dei film nei cinema, ndr), perciò il film da digitale è stato trasferito in pellicola”.

E non finisce qui. “Quando il DCP fu ottenibile, l’opera era fuori mercato. E, per l’appunto, non aveva il suo DCP. Così è diventato invisibile. Con la manutenzione del Museo Nazionale del Cinema, Dopo mezzanotte ha riacquistato anche il suo look, ricominciando ad essere proiettabile”. Davide Ferrario ha reinventato la tecnica all’interno di un luogo-simulacro, ha portato una nuova tecnologia alle radici del cinema stesso. “Il museo è un po’ casa mia, anche quando nel corso del tempo cambia. Non si tratta degli oggetti esposti, ma degli angoli, delle stanze, li conosco tutti e li conosco bene. Ad esempio la camera da letto in cui dorme il protagonista Martino. In verità non esiste, l’abbiamo inventata in uno spazio su un pianerottolo esterno”.

Torino back to life

Quale miglior posto, dunque, se non non vedere proiettata la versione rinata di Dopo mezzanotte, se non durante la 41esima edizione del Torino Film Festival? Il film di Ferrario è parte della sezione Back to Life della manifestazione cinematografica, attua a riscoprire opere rimaste latenti, riproposte in una veste inedita e versatile.

Birmania + Afghanistan (60’)
Meraviglie d’amatori. Due film di viaggio in 16 mm, girati da una coppia di ingegneri civili tra gli anni ’60 e ’70, illuminano scorci inediti dei luoghi in cui lavorano.

L’amour fou di Jacques Rivette (Francia, 1969, DCP, 252′)
Un regista teatrale in crisi tra Racine e la moglie attrice. Dieci anni dopo La sera della prima di John Cassavetes sembrerà riproporne i conflitti.

Dopo mezzanotte di Davide Ferrario (Italia, 2004, DCP, 92′)
Il sapore d’amore e di cinefilia della Nouvelle Vague, il cuore della città che cambia pelle: il sogno digitale di un cinema che dalle origini ritorna al futuro.

Massimino di Pierfrancesco Li Donni (Italia, 2017, DCP, 19′)
Vorrei che volo di Ettore Scola (Italia, 1980, DCP, 66′)
Nella Torino degli anni 80, il piccolo Massimino incarna la speranza di un futuro migliore. Quarant’anni dopo è adulto, ma con alle spalle una vita difficile.

Now I Know Snow di Marco Di Castri, Gianfranco Barberi (Italia, 1986, DCP, 38’)
Two nudes bathing di John Boorman (UK, 1995, DCP, 35′)
Double bill: 1) Due cineasti indipendenti italiani raccontano un maestro del cinema sperimentale 2) il cortometraggio, inedito in Italia, di uno dei massimi cineasti inglesi.

Romance at lung shan temple di Pai Ko (Taiwan, 1962, DCP, 98′)
Un “musicarello” esuberante, di insospettabile e radicale libertà, in un Paese segnato da forti tensioni sociali: il regista venne giustiziato poco dopo la sua realizzazione.

Sansho dayu / L’intendente Sansho di Kenji Mizoguchi (Giappone, 1954, DCP, 124′)
Una parabola umana, spirituale e politica che dal Giappone del feudalesimo attraversa i secoli e rappresenta ancora oggi un urlo di rivolta contro la sopraffazione.

Uomini si nasce poliziotti si muore di Ruggero Deodato (Italia, 1976, DCP, 96′)
Una coppia di poliziotti alla Starsky & Hutch è protagonista di un violentissimo poliziesco del maestro Ruggero Deodato.

Roma nuda di Giuseppe Ferrara (Italia, 2010, DCP, 107′)
Ultimo film di Milian, Califano e Giuseppe Ferrara, con Francesco Venditti. Un Suburra ante litteram, dove spicca Eva Henger, rivede finalmente la luce.