Visioni dal mondo: dall’operatrice dei Lumière al Gruppo Wagner, il cinema del reale si è trovato a Milano

L'Ucraina in guerra o l'Iraq vista negli occhi di una ragazza in fuga da un matrimonio forzato, ma anche la storia di un artista salentino che vuole salvare gli ulivi secolari: il festival documentario si è concluso domenica con la vittoria di Eat Bitter, della regista centraficana Pascale Appora-Gnekindy

Settembre a Milano è sempre stato tempo di cinema. Per quasi trent’anni c’è stato il Milano film festival che riuniva cortometraggi e lungometraggi, fiction e documentari, la città intera lo seguiva spostandosi con una birra in mano fra il sagrato del Teatro Strehler e il Parco Sempione, restando accucciati sull’erba a guardare film fino a notte fonda. Più recentemente ne sono nati altri, con tematiche, pubblici e sezioni più più specifiche, che si sono sparsi in pezzi diversi della città, in diversi momenti dell’anno. Proprio questa settimana c’è stato il MAX3MIN, dedicato a cortometraggi di massimo 3 minuti, diretto dalla scenografa italo-argentina Martina Schmeid e arrivato alla sua terza edizione. Giovedì sera invece è iniziato Visioni dal mondo: festival annuale di documentario e cinema del reale, fondato nel 2005 da Francesco Bizzarri, si è svolto dal 14 al 17 settembre fra il Teatro Litta, la Cineteca Milano Arlecchino e il Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, ed è diretto dall’attore e regista Maurizio Nichetti (anche direttore dal 2004 della sede milanese del Centro Sperimentale di Cinematografia).

Le storie dei grandi contrasti

Il festival si divide fra diversi premi e filoni. Al Teatro Litta si trovano i film in gara per il concorso lungometraggi italiani, riservato a documentari oltre i 50 minuti, e il Concorso New Talent, dedicato alle opere prime e senza limiti di durata. All’Arlecchino, invece, si concentrano i film del concorso internazionale: lungometraggi di almeno 65 minuti “che raccontano il mondo globalizzato come fonte di grandi contrasti, ma anche di personaggi eccezionali, di modelli alternativi, di gesti collettivi affascinanti, di ribellioni non violente, di storie di speranza. Storie universali e storie particolari, con tutti i toni possibili, dal dramma alla commedia: Ascoltare con gli occhi”.

L’inaugurazione ufficiale del festival è avvenuta il 14 sera al Teatro Litta, seguita da un film fuori concorso su uno dei fondatori dei Rolling Stones, The Stones & Brian Jones, con interviste e moltissimo materiale inedito d’archivio, mentre sabato mattina il regista e scrittore Roberto Andò ha tenuto una masterclass al Teatro Litta, insieme a Maurizio Nichetti, cui è seguita la proiezione del film Il Cineasta e il labirinto che ripercorre la vita e la carriera di Francesco Rosi attraverso le sue parole e le immagini dei suoi film, oltre al ricordo di amici e colleghi tra cui Giuseppe Tornatore e Martin Scorsese.

Atmosfere oniriche e il tempo ritrovato

Giovedì 14 il festival è cominciato già nel pomeriggio con la proiezione di opere prime e lungometraggi italiani, di cui diverse provenivano da scuole di cinema come Civica Luchino Visconti di Milano o il Centro Sperimentale di Cinematografia. Spiccava in generale una certa atmosfera onirica, come ne La primavera è primavera anche in città, vincitore del festival, in cui seguiamo due anziani signori milanesi, Leonetti Di Ciotolo e Felice Trovati, mentre trasportano un misterioso oggetto, la cosiddetta Bicicletta Revisionista, “un orologio a pendolo costruito con parti di bicicletta in grado di modificare lo scorrere del tempo”.

E lì dentro c’è la storia di Milano che passa fra le chiacchiere dei due uomini mentre ricordano il primo Leoncavallo, le risse coi fascisti, l’omicidio di Fausto e Iaio. Lo sguardo passa attraverso cantine, vecchie case, cementine, pagine della Gazzetta dello Sport incorniciate decenni fa per una vittoria di Coppi, biciclette intatte dal 1939. Il tutto mentre dei violinisti suonano in una ciclofficina. Si parla senza dirlo di libertà che viene dalla noia e dal tempo ritrovato, o forse dalla bicicletta che “non inquina, non occupa spazio e non assorda”, discreta, rapida ed elegante mentre sgattaiola via fra le strade imbottigliate della città.

Da Brecht ai diritti umani

E poi c’è la regista Isabella Balestri che racconta il cinema delle origini attraverso il personaggio mai esistito di una donna che avrebbe lavorato come operatrice per i Lumière; c’è la storia di un artista salentino che decide di salvare degli ulivi secolari; quella di Pirelli raccontata però attraverso la Vita di Galileo di Brecht e le fughe di un gatto diviso tra la comodità di una casa e la curiosità per ciò che accade fuori. L’amore di una vita di una coppia di ottantenni è invece il mistero indagato in Solitudine a due di Lilian Sassel, vincitore del premio opera prima, mentre il riconoscimento di Rai Cinema è andato a Il cielo è mio di Ayoub Naseri, su un padre e un figlio che riescono a fuggire dall’Afghanistan nel 2021 e ad arrivare in Italia, divisi fra il desiderio di costruire una nuova vita e il dolore dell’esilio.  Altre menzioni sono state date a The Deal di Chiara Sambuchi, su una donna nigeriana vittimi di tratta e diventata poi assistente sociale, e Life is a Game di Luca Quagliato e Laura Carrer, che mescolando realtà e animazione, toccava tematiche più delicate, fra diritti civili e umani.

Guerre, visioni, clima

I film più interessanti li abbiamo trovati però nella sezione internazionale. Vincitore del concorso è Eat Bitter, della regista centrafricana Pascale Appora-Gnekindy e della cinese Ningyi Sun, che segue un frammento di vita di un ingegnere cinese di stanza nella Repubblica Centrafricana, Luan, incaricato di costruire una banca nella città di Bangui, e di Thomas, raccoglitore di sabbia centroafricano. Vediamo Luan lontano da casa, le chiamate con la moglie, il figlio con cui ha perso i contatti, la vita quotidiana in un paese straniero, nuovi amici che festeggiano il suo compleanno, la guerra civile che incombe, la manodopera che manca, la pessima qualità dell’edificio in costruzione, la fatica e la difficoltà di sperare in una vita migliore.

E poi Thomas, che lavora per occuparsi dei suoi figli, che non riesce mai a tenersi una compagna perché tutte si stancano di lui, la madre che ha sempre la sua da dire. E il suo sogno di mettersi in proprio e diventare finalmente venditore di sabbia lui stesso: ma per questo bisogna lavorare e raccogliere sabbia fino a risparmiare tanto da potersi comprare una canoa. Lo sguardo delle due registe è lucido, ironico, estremamente concreto e situato. Attraverso Luan e Thomas parla di guerre, crisi climatica, di un sistema economico profondamente iniquo, di interessi, risorse.

Sulle tracce della Wagner

Di Repubblica Centrafricana si parla anche in The Rise of Wagner del francese Benoît Bringer, che ricostruisce la storia della compagnia militare privata Wagner e del suo leader Prigozhin attraverso le inchieste di giornalisti soprattutto russi che hanno cercato la verità sui crimini di guerra perpetrati in Siria e in Repubblica Centrafricana e mostrando come la presenza della Wagner in Africa e Medio Oriente coincida con punti di interesse importanti per la Russia, delicatissimi e legati in soprattutto a risorse fossili.

Wartime notes di Barbara Cupisti invece attraversa l’Ucraina in guerra, fra Odessa, Kyiv, Irpin, Bucha, ascoltando le parole di chi è andato via e di chi è rimasto, mentre Baghdad on Fire di Karrar Al-Azzazy racconta di una irachena di diciannove anni che si lascia alle spalle un matrimonio forzato e diventa una combattente per la libertà e l’uguaglianza, fra manifestazioni, scontri con la polizia, momenti di leggerezza e di tragedia.

Il Premio Amici Cineteca Milano è andato infine a Return to Raqqa di Albert Solé e Raul Cuevas, sul giornalista spagnolo Marc Marginedas, rapito dallo Stato Islamico in Siria nel 2013. Documentari importanti e densi capaci di dare voce a persone, mondi e sofferenze che sullo schermo prendono forma e smettono di apparire remoti.