Suzume, la recensione: la connessione con la natura e l’elaborazione del lutto

Makoto Shinkai fa viaggiare i suoi protagonisti al centro di un Giappone che sembra una cartolina dove tutto prende vita. Un film commovente che mette al centro i sentimenti e le relazioni

Suzume dimentica tutto ciò che è accaduto. Porte incantate, gatti parlanti, sedioline animate e cartoline dal Giappone. L’enorme connessione con la natura e con gli affetti. Questo e molto altro è al centro della pellicola di Makoto Shinkai. Un road trip dove esploriamo con i protagonisti, Suzume e Sōta, gli angoli più belli del Giappone nel tentativo di salvare il mondo da un gigantesco verme che provoca dei terremoti. Se in Weathering with you Shinkai trattava di un mondo colpito dal cambiamento climatico, in Suzume fa riferimento al terremoto e allo tsunami del Tōhoku del 2011 che hanno causato una catastrofe in tutto il Paese.

Una scena di Suzume

Una scena di Suzume

Suzume, la trama

Suzume Iwato è una studentessa, rimasta orfana all’età di 4 anni dopo che la madre è rimasta uccisa nello tsunami del 2011. Un giorno incontra un misterioso e affascinante sconosciuto, Sōta, e da quel momento ha inizio il loro viaggio per salvare il mondo. Tutto prende vita nella pellicola di Shinkai: i gatti parlano e le sedioline si animano. Si scopre che Suzume, senza saperlo, ha messo in atto una catena di eventi disastrosi che coinvolge Daijin, gatto parlante, la pietra di volta che teneva chiuso il portale aperto da Suzume.

Un tappo tra il mondo dell’Altrove e il mondo reale. Apparentemente malvagio, il felino sta cercando di liberare il verme gigante in modo che possa entrare nel mondo reale per causare terremoti catastrofici. Ad aiutare Suzume c’è Sōta, il Chiudiporta. Il giovane misterioso insegue questi portali – un’eredità tramandata dalla sua famiglia – cercando di impedire a Daijin di creare scompiglio e di chiudere le porte prima che si verifichino disastri naturali. Purtroppo il suo compito si complica quando il gatto lo trasforma nella sediolina di Suzume. Una sediolina a tre piedi, ricordo della madre scomparsa.

Daijin in una scena di Suzume

Daijin in una scena di Suzume

Il futuro non fa così paura

L’animazione rende ogni fotogramma come se fosse un dipinto di questo Giappone catturato con cura e precisione. Un magnifico scenario che fa da sfondo al tema dell’elaborazione del lutto che, come il terremoto, scombussola la vita di Suzume. Rimasta orfana fin da piccola, la giovane donna fa dei sogni lucidi dove vede sua madre. La chiama. La cerca. Poi si sveglia e così svanisce anche l’immagine della figura materna.

Una madre preponderante che, senza mai apparire sullo schermo, guiderà la figlia verso l’ultima porta, quella decisiva. Dopo aver sacrificato Sōta per salvare il resto del mondo, la protagonista cerca disperatamente un modo per attraversare l’Altrove, il luogo in cui le anime vanno a riposare. Un duplice viaggio della protagonista che, cercando di salvare il mondo, salva anche sé stessa. Suzume riesce a raggiungere l’Altrove, un luogo dove era rimasta intrappolata da piccola mentre cercava la madre.

Quei sogni lucidi non erano altro che ricordi e quella figura materna era lei stessa da adulta che, una volta superata la barriera con l’altro mondo, riesce a interagire con la se stessa bambina, consolandola e riportandola a casa. Così Suzume imparerà a non avere più paura.

Sōta in una scena di Suzume

Sōta in una scena di Suzume

Makoto Shinkai: l’omaggio a Studio Ghibli

Makoto Shinkai è il primo fan dello Studio Ghibli e di Hidetaka Miyazaki e con Suzume ha cercato di omaggiare il maestro dell’animazione. In una scena del film, durante un viaggio in macchina, si sente la sigla di Kiki – Consegne a domicilio, il brano Rouge Message. Un omaggio confermato dallo stesso regista.