Cocainorso, la recensione: viaggio stupefacente tra storia vera e leggenda

Gli anni Ottanta, 30 chili di cocaina caduta dal cielo e un orso completamente strafatto: Cocainorso è il cinema demenziale che arriva all'estremo, diventando (quasi) d'autore

Nel 2006 Elizabeth Banks era tra i protagonisti dell’horror demenziale Slither di James Gunn, in cui un parassita alieno si impossessa del corpo del ricco magnate Grant Grant interpretato da Michael Rooker, prima di invadere e penetrare il resto del genere umano. L’investimento era della Universal Pictures, ma il gusto era della Troma: la casa di produzione di Lloyd Kaufman e Michael Herz per cui Gunn ha lavorato, e in cui – si vede e lo ammette – si è divertito come un matto. Sensibilità comica tra i cui tratti distintivi si distinguono gambe mozzate ed elementi di scatologia, ma anche lo spaventosissimo Penis Monster, nomen omen, dotato di vita propria.

Una factory che ha partorito opere come Tromeo and Juliet, rivisitazione erotica e splatter del classico di William Shakespeare, o The Toxic Avenger sul vendicatore finito in un mare di rifiuti tossici, capace di influenzare registi come Joe Dante e Robert Rodriguez, che della Troma hanno ridimensionato l’irraggiungibile portato scurrile. Un bacino da cui Banks poteva uscire soltanto in due modi: o illuminata o traumatizzata. La decisione di dirigere un film come Cocainorso dimostra che entrambi gli effetti si sono concretizzati.

L’anima stupefacente degli anni Ottanta

La vicenda è reale. Erano davvero gli anni Ottanta quando un orso ha ingurgitato un quintale di cocaina, finendo in overdose e diventando un caso in Georgia. Secondo la leggenda, invece, “Pablo Eskobear”, così soprannominato, sarebbe stato responsabile di vere e proprie aggressioni, seminando il panico nello Stato. Il massacro, però, non è mai stato documentato.

A “rimediare” sono arrivati Jimmy Warden con la sua sceneggiatura e la mano di Elizabeth Banks come regista, che hanno riempito di intestini, sangue e cocaina l’intero parco naturale in cui risiede l’orsa – esatto, il nostro amico animale è una femmina: per la precisione, una mamma.

Una scena di Cocainorso

Una scena di Cocainorso

Cocainorso: tra eccesso e rigore

Eppure, nella sua comica demenzialità, Cocainorso ha qualcosa di inaspettato. Qualcosa che ne fa la sua fortuna e, ragionando per iperbole, la sua rovina. All’idea folle che un orso strafatto possa tenere in piedi una storia da solo, il film di Banks alterna un tono più trasgressivo a uno più disteso, quasi pacato, con un animale ora pronto a svegliarsi appena sente l’odore della droga, ora estasiato sotto una pioggia di polvere bianca: “It’s like cocaine Christmas!”.

Al gusto per il thriller, difficilmente definibile “serio” nonostante le intenzioni, Banks accosta l’amore per l’eccesso, che esplode nell’osservare il personaggio di Jesse Tyler Ferguson penzolare sanguinante dal ramo di un albero, o quello di Margo Martindale sparare a tutto spiano, tentando di centrare il predatore sulla barella di un’ambulanza in corsa.

Storia di orsi e famiglia

Cocainorso si concede il lasciapassare per essere il più goliardico possibile e l’autorizzazione per spargere interiora e mozzare dita delle mani, ma tenta anche di avanzare, nelle storie dei suoi personaggi, una riflessione più profonda sull’essere genitori. Il lutto e la fiducia, il voler diventare grandi e il bisogno di un briciolo d’affetto dai propri genitori sono cose che possono ferire quanto un artiglio infilzato nella carne. Come una Troma un po’imborghesita, il film resta comunque capace di imbarcarsi – in ogni senso – in un viaggio stupefacente.