Non dev’essere semplice prendere un cult e dargli un’origine nuova. Tanto meno se quel cult è un horror, con Gregory Peck, uscito nel 1976, considerato uno dei capisaldi del genere, seguito da quattro sequel meno fortunati. Le premesse non sono da poco, e soprattutto non lasciavano ben sperare, tanto più visto il livello delle ultime produzioni a basso costo nel campo del terrore. A sorpresa, invece, Omen – L’origine del presagio riesce nell’impresa e supera le aspettative.
In sala dal 4 aprile 2024 con 20th Century Studios, il sorprendente esordio al lungometraggio di Arkasha Stevenson (qualcosa dice che risentiremo presto questo nome) è un’introduzione continuativa ma al contempo autonoma, adatta sia agli adepti della saga che ai novelli. È funzionale al primo film di Richard Donner ma non ne presuppone la visione a tutti i costi.
In una Roma che è un po’ Rieti e un po’ provincia (e un aeroporto di Fiumicino dislocato all’Eur), una giovane futura suora viaggia alla volta della capitale per avviare il suo percorso religioso. Dalla partenza con grande entusiasmo, il convento femminile in cui la trasferiscono si fa presto teatro oscuro di un passato inquietante. Margaret si ritrova immersa con tutta se stessa in una cospirazione ereditata da secoli e generazioni, volta alla ricerca di un ineluttabile anticristo: il ben noto Damien della saga, interpretato da Harvey Stephens nella prima pellicola.
Roma e la Chiesa, il fulcro della storia
La Roma del 1971 è al centro di una storia criptica e inquietante, indissolubilmente legata alle vicende storiche di quegli anni. Tra proteste studentesche, fumogeni, pantaloni a zampa e Raffaella Carrà. Ma forse, ancora di più, al centro di tutto – elemento degno di nota, poiché non particolarmente frequente nel genere horror – c’è la narrazione a tutto tondo dagli occhi di una donna. Che passa per la sua vocazione, ma anche per la sua disinibizione, seppur per una sola sera. Passa per i dubbi e per la paura della stessa Margaret, sospesa tra quello che aveva sempre creduto il suo destino e i primi ripensamenti di un’esistenza sempre più lontana da quella che credeva che fosse e che progettava per sé.
Omen – L’origine del presagio: l’Anticristo ha origini capitoline
Cast: Andrea Arcangeli, Nicole Sorace, Nell Tiger Free
Regista: Arkasha Stevenson
Sceneggiatori: Arkasha Stevenson, Tim Smith, Keith Thomas
Durata: 120 minuti
Nonostante la sceneggiatura non particolarmente vasta né densa di dettagli, Stevenson sfrutta tutti gli elementi a sua disposizione, ma lo fa in maniera coerente, non disturbante (per quanto poco possa essere calzante usare questo termine in questo contesto). A metà tra horror e thriller psicologico, Omen regala una serie di sequenze terrificanti, difficili da digerire anche dopo essere usciti dalla sala. Mostra slasher e mostri, sangue, ferite e corpi smembrati, contaminando lo stile americano anche con un tocco più italiano, apportato anche dalla ricorrente location capitolina e dai ruoli astratti dei bravi Andrea Arcangeli e Nicole Sorace. Fa una ricerca retrospettiva – non richiesta ma ben accetta – sin dall’inizio: da quelle inquadrature a prominenza medievale alle tonache che celano sguardi ossessivi. Dai dipinti satanici ai colori tenui e cupi della scenografia. Quasi a imporre quell’alone di inquietudine già dalle prime scene, da addirittura ben prima di introdurlo, quell’anticristo attorno a cui ruota tutta la saga.
Omen, un prequel impavido
Ciò che è davvero lodevole, allora – tanto più in un esordio alla regia – è la volontà di rischiare, in un genere in cui si va spesso sul sicuro. Arkasha Stevenson non si limita a seguire pedissequamente la sceneggiatura, neppure prendendo in dotazione il prequel di un film considerato cult. Apporta del suo, con tutti i rischi del caso, dando vita ad una produzione che per una certa voglia di rischiare sembra a tratti indipendente.
Indaga la mitologia del suo precedente (o successivo, che dir si voglia) ponendosi continue questioni, senza mai adagiarsi sugli allori, come avrebbe potuto. Il risultato è stupefacente e estremamente inquietante. E chissà che, nell’ambito di un genere ormai saturo, non dia adito ad altre future storie impavide e politiche. Proprio come questa.
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