“Eileen è incredibilmente sola”. Segretaria in un carcere minorile, rimasta sola con un padre che non si stacca mai dalla bottiglia, la protagonista del film di William Oldroyd, alla seconda opera dopo il folgorante esordio Lady Macbeth, nasce dalla penna di Ottessa Moshfegh per un libro omonimo del 2015 che diventa sceneggiatura a quattro mani col marito – anche lui scrittore – Luke Goebel.
A interpretarla Thomasin McKenzie, che già avevamo visto nei panni dell’intraprendente ragazzina ebrea nascosta dalla mamma antinazista Scarlett Johansson in Jojo Rabbit e doppelgänger di Anya Taylor-Joy in Ultima notte a Soho: “È una giovane privata di qualsiasi connessione umana e di un amore realmente sano”, racconta del personaggio che la catapulta negli anni sessanta, come per la Ellie dell’horror del 2021 di Edgar Wright. “È per questo che lascia la possibilità a Rebecca di esercitare un tale potere su di lei”, continua in riferimento al personaggio vestito dalla co-star Anne Hathaway.
“Ho dovuto scavare nelle sfaccettature di Eileen senza lasciare che influenzasse le mie. Dovevo cercare di proteggermi. Stavo anche studiando psicologia all’università nel periodo delle riprese, perciò la ricerca sul carattere del personaggio e le interviste a chi lavora nelle prigioni mi hanno intrigata molto”.
Isolata nel lavoro e nella vita privata, in un New England austera e bloccata, la vita di Eileen viene scombussolata quando una nuova psicologa, dallo charme avvolgente e lo sguardo magnetico, si trasferisce nella struttura in cui lavora.
Eileen secondo il regista William Oldroyd
“Come regista speri negli incidenti fortunati che cambino il corso degli eventi. Avere Anne Hathaway nel ruolo di Rebecca è stato uno di questi”. Assorbito il potenziale del testo su pagina di Moshfegh, andando a scavare in un’altra interiorità femminile dopo il debutto con Florence Pugh (stavolta, inoltre, doppio visto il binomio Eileen/Rebecca), William Oldroyd ha usufruito del carisma dell’attrice premio Oscar, amplificandolo nella messinscena: “È come se una stella del cinema entrasse in un mondo in cui non c’entra niente. Un’aliena da cui la protagonista è attratta. Avere Anne non poteva che aiutare ad alimentare un simile atteggiamento. Tanto che la prima scena che ha girato con Thomasin è stata quanto mai realistica. È la sequenza del bar, dove Rebecca chiede alla giovane di ballare. L’impaccio del momento da parte della collega è risultato autentico”.
Il dramma del film, dalle atmosfere hitchcockiane, si dirama quando la psicologa chiederà alla ragazza un atto estremo a causa di un incidente da cui non sanno come uscire. Non, almeno, senza la coscienza sporca. “Anche se il film, soprattutto sul finale, non dà mai un giudizio, lascia comunque con un dilemma morale”, spiega McKenzie. “È per questo che resta addosso. Sono le storie che più mi affascinano. Penso al recente Memory di Michel Franco con Jessica Chastain e all’effetto che questo tipo di narrazioni agiscono su di me, portandomi a fare altre domande, non a capire cosa è giusto e cosa è sbagliato. La mia protagonista si trova in una situazione difficile, quasi impossibile. La verità è che, però, si fa qualsiasi cosa pur di sopravvivere”.
Che è poi lo stesso lato di Eileen che ha convinto il regista a dedicarsi al progetto: “Non pensavo che sarebbe stato il mio prossimo film, sicuramente non quando ho letto il romanzo di Ottessa. Ma c’è stato un momento, mentre leggevo della scena di Eileen, Rebecca e la signora Polk, in cui ho pensato: sarebbe bello vederla in diretta. Non capita spesso che tra la pagina scritta e le immagini proposte su schermo ci sia un così evidente equilibrio. E unito alla domanda ‘Cosa farei io in quelle condizioni?’ la storia mi ha permesso di interrogare il pubblico”. Un filo, l’andare sempre oltre il limite, che lega i due film della sua carriera: “Con Lady Macbeth, però, era più definito. Con Eileen non si sa fin dove ci si può spingere”.
Ottessa Moshfegh e Luke Goebel, tra vita privata e scrittura
Da interrogare, dunque, è forse l’ideatrice di una storia che, ormai, ha quasi dieci anni da quando ha visto per la prima volta la luce, e che arriva il 30 maggio nelle sale italiane distribuita da Lucky Red. “Sono cresciuta nel New England negli ottanta ed è come se il Massachusetts e alcune zone limitrofe fossero rimaste congelate”, racconta Ottessa Moshfegh. “Come se racchiudessero in sé un mistero che volevo scoprire. Così è subentrato il noir e l’immaginazione mi ha portata fino ad una donna pienamente realizzata che arriva in un posto in cui non si sente a proprio agio. Era la combinazione dei due pianeti: un ambiente immobile e la modernità che lo invade”.
Due universi rappresentati da Eileen (l’immobilità) e Rebecca (il moderno). “Ci sono voluti anni prima che decidessi di adattarlo. Di per sé anche il libro ha un impianto cinematografico. Ma grazie alla collaborazione di Luke ho avuto la possibilità di sviluppare una certa oggettività rispetto al romanzo. Se per la sceneggiatura di Caseway avevamo la lesione celebrare per capire cosa influenzava la protagonista di Jennifer Lawrence, qui dovevamo scavare a fondo per indagare cosa muovesse Eileen. È stata la sfida maggiore: immaginare l’inaspettato”.
E se c’è da indicare cos’è che funziona del loro duo lavorativo (ma anche nella vita), per la scrittrice risiede nel “saper condividere lo stesso linguaggio e apprezzare le ambiguità dei personaggi”.
“Anche il rapporto con Will è stato immediato fin dalla partenza”, assicura Luke Goebel. “Ha un istinto molto forte, quasi non avrebbe avuto bisogno di noi. Ma è nata una collaborazione intensa, che ha visto collidere il mondo del regista con la prospettiva brillante di Ottessa. Di certo anche noi, vivendo e lavorando insieme ogni giorno, abbiamo avuto modo di sviscerare il materiale di partenza per tramutarlo in ciò che era necessario per il film. Così abbiamo fatto incontrare delle persone sole, con il personaggio di Eileen che non sa cos’è la privacy, che non ha mai avuto una vera relazione con l’altro e che per questo affronta l’esplorazione della sessualità e del suo intimo con un approccio psicologico unico”.
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