Grandi maestri e giovani speranze, l’arte (necessaria) di costeggiare i bordi

La capacità di restare in contatto con la propria identità, di attingere al buio anche nel momento del trionfo: non è una cosa che si insegna. È solo l’esempio che conta. Come Martin Scorsese al suo incontro con gli studenti, come Zerocalcare, come il regista di Centocelle Trash Secco: “Se smetto di fare quello che faccio smetto di vivere”

Gli studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia hanno ricevuto la visita di Martin Scorsese, che si è seduto con loro a parlare di sé. Di quanto sia stato difficile all’inizio – non solo all’inizio – per lui. Gli allievi del primo anno del corso di sceneggiatura ne hanno scritto un film, subito. La sera stessa dell’incontro il testo era pronto. Bellissimo, lo abbiamo pubblicato qui. Racconta la lezione di Scorsese attraverso il dialogo in chat fra quelli che c’erano e l’unico che non è riuscito ad arrivare in tempo. Quando finalmente arriva, il disgraziato ritardatario, incrocia il Maestro sull’uscio. “Lei è la ragione per cui voglio fare cinema”, gli dice. “Tu sei la ragione per cui io continuo a farlo”, gli risponde Scorsese. È successo veramente, e io mi commuovo. Dicono che quando si è fragili ci si commuove di più, confermo. Del resto, siamo tutti fragili. Il più grande spreco di energie lo consumiamo nel non darlo a vedere ma poi perché, per chi.

Nelle stesse ore in cui Scorsese riceveva l’ovazione legittima alla Casa del Cinema Ilaria Ravarino è andata a Centocelle, in una soffitta “trovata” – si potrebbe anche dire senza preoccupazione occupata, visti gli esiti del Cinema America e le conseguenze delle cose, ma non si sa mai di questi tempi. È andata a trovare Trash Secco, artista che ha scelto per sé il nome dell’immondizia essiccata al sole. Autore di Bassifondi, film che arriverà al cinema il 15 giugno. Racconta che l’idea è nata parlando con suo fratello una sera che giravano fra i senza tetto di Ponte Sisto, a Roma. “Pensa se facessimo un film su due barboni”. Trash Secco ha lavorato con Achille Lauro, coi fratelli D’Innocenzo. Dice che quasi tutti, da lui, hanno preso tanto e dato poco ma pazienza, lui sta lì nel sottotetto occupato che abita fino a che può restare: “Se smetto di fare quello che faccio smetto di vivere”. E io, di nuovo, mi commuovo.

Penso a quanti hanno smesso di vivere, hanno rinunciato ad essere quello che sono per diventare quello che vogliono sembrare. Quello che la gente là fuori deve pensare che siano. Tanti, anche bravi nell’amputazione, nella dissimulazione. Però, che peccato. Hanno smesso di desiderarsi liberi. L’arte nasce dalle ferite, si sa. Il narcisismo è il suo nemico supremo, il più assiduo. Specchiarsi, mettere a posto i capelli per le foto, controllare che non compaiano all’orizzonte testimoni di antiche o recenti verità.

È una cosa che non si può insegnare, ai ragazzi più giovani che provano a scrivere pagine bianche. Non c’è scuola che possa. È solo l’esempio che conta, solo il modello. Mostrare qualcuno che lo fa. Che si perde, si rompe, conserva il suo buio. Lo guarda, ogni tanto. Attinge da lì. Non è l’applauso né il numero di follower la misura del successo. È la capacità di restare in contatto con la propria identità. Rivendicarla, anche silenziosamente. A volte funziona – Vinicio Marchioni racconta che torna a cercarla, periodicamente, nel silenzio dello studio e delle botteghe artigiane – a volte no, e resti ai margini. Ma costeggiare i bordi è un esercizio indispensabile per un artista. Anche quando diventi Zerocalcare, è quello il segreto. Non dimenticare mai quel giorno in cui la fame il bisogno il desiderio ti hanno detto vai, rischia, prova. Vai, che non puoi fare altrimenti. Mantenere vivo quel momento, sempre, anche nel tempo del trionfo.

Scorsese e Trash Secco non si sono incontrati, c’era il Papa del resto in agenda, lo capisco. Peccato però. Si sarebbero riconosciuti e amati, ne sono abbastanza sicura.