Paolo Sorrentino al cinema Troisi: “Il Verdetto è un capolavoro che ha quella sintesi che io, per insicurezza, non ho”

Il regista Premio Oscar ha selezionato tre opere da presentare al pubblico romano: Il verdetto di Sidney Lumet, Voglia di tenerezza di James L. Brooks e Una storia vera di David Lynch. "Sono i film di un decennio in cui Hollywood ha saputo parlarmi di più con storie di cadute, risalite e seconde possibilità"

Arriva Paolo Sorrentino al cinema Troisi dopo il successo della prima edizione che ha avuto come protagonista il regista Damien Chazelle con “Parola di”, la carta bianca data dagli organizzatori dell’evento ai grandi autori del cinema nella scelta di tre titoli da introdurre al pubblico in sala per assistere alla proiezione di un capolavoro del passato.

Appena arriva al bar della sala premiata con il biglietto d’oro dell’Anica da due anni consecutivi, in pochissimi secondi il regista premio Oscar per La grande bellezza lo svuota: tutti si riversano in strada per vederlo in carne e ossa, il quale nonostante la folla di fans che lo circonda, preferisce sostare fuori dal cinema per fumare il suo amato sigaro, ancora oggi simbolo di benessere, potere e virilità, che ben si accompagna all’immagine del regista di successo.

Allo staff della sala che accorre invitandolo ad entrare risponde sornione: “Rimango ancora qualche minuto a parlare con questi bei giovanotti”. Ragazzi che oltre al rituale del selfie, colgono subito l’occasione per chiedergli consigli sulla professione. Alla domanda di un ventunenne che vorrebbe scrivere per il cinema Sorrentino risponde: “Ti devi esercitare per almeno altri 9 anni in cui scriverai cose brutte, poi arrivato ai 30 inizierai a scrivere cose interessanti e magari pure cose belle”. Il ragazzo, spento l’entusiasmo, incassa, serafico.

Chiediamo allora quali siano state le cose brutte che lui stesso ha scritto a quella età e il regista napoletano risponde, dopo aver fatto l’ultima prolungata tirata del suo cubano: “Le mie cose brutte non sono mai uscite fuori”.  Prima di entrare tentiamo di farci dire almeno il perchè della scelta dei tre film in programma: “Ancora devo capirlo perchè li ho scelti, spero che quando sarò dentro a presentarli qualcosa mi verrà in mente”.

Applausi scroscianti al suo ingresso in una sala gremita, per l’occasione è vestito con un loden blu che nasconde un cardigan ton sur ton, sopra una camicia azzurra, pantalone grigio e scarpe in camoscio marrone. Saluta con una battuta Roberto Gualtieri che poi ci confida di essere molto curioso della presentazione che Sorrentino farà del film: “È andato a pizzicare una gemma che ha una grandissima qualità. È un film quasi perfetto nella sceneggiatura, nella regia, nelle interpretazioni, grandissimi attori in tutti i ruoli, quindi voglio davvero godermi questa lezione fatta da un grande maestro su un grande capolavoro”.

La rassegna

“Ho scelto Il Verdetto di Sidney Lumet, Voglia di tenerezza di James L. Brook e Una storia vera di David Lynch, tutti e tre film degli anni 80 o al massimo degli anni 90 per due ragioni: la prima perché mettono al centro l’essere umano che è la cosa più importante di tutte, lo diceva anche Truffaut – e se lo dice Truffaut è esattamente come deve essere – ma soprattutto sono film totalmente inattuali perché sono film in cui gli americani erano molto bravi, ovvero quelli in cui si concedeva agli esseri umani una seconda possibilità, di rimediare i propri errori, alle proprie disfatte, alle proprie cadute” inizia il suo discorso di presentazione Sorrentino.

“Questo tema è profondamente inattuale perché la maggior parte dei film di adesso non perdonano la caduta, parlano solamente di come dovrebbero essere le cose e non di come si può rimediare agli errori e ai propri fallimenti. Credo di aver scelto questi film per due motivi: il primo è stato un grande momento del cinema americano, un momento in cui Hollywood ha saputo parlarmi ed è stato meraviglioso. Ora, forse, il cinema americano vale un po’ meno. Il secondo nasce dal fatto che io volevo vederli sul grande schermo perché li ho visti una volta sola in VHS, molto spesso pirata, quindi li ho visti male questi film, soprattutto Il Verdetto e Voglia di Tenerezza”, confida il regista tra le risate fragorose del pubblico in sala .

Con il creatore de È stata la mano di Dio nulla è lasciato al caso, perfino la musica con il quale ha fatto il suo ingresso in sala è stata scelta personalmente da lui: “Ho scelto Cruel Summer di Taylor Swift rifatta da un bravo dj perchè mi ha detto Spotify che è il brano che ho più ascoltato nel 2023″. Avreste mai immaginato che colui che ha scelto per La Grande Bellezza il brano A far l’amor della mai compianta abbastanza Raffaella Carrà fosse anche uno swiftie? A ben guardare anche quello usato nel suo film però era un pezzo remixato da un bravo dj di nome Bob Sinclar.

Valerio Carocci, organizzatore del ciclo di film e anima e leader del Troisi e dei ragazzi del Cinema America, ha dato come timing per la presentazione in tutto 10 minuti che Sorrentino ha subito giocosamente contestato: “Sono troppi perché io non sono un critico e quindi non sono in grado di parlare così tanto di un film, insomma sono in grado di amarlo, però non è facile comunicare l’amore per un film. Poi ho visto anche come molti critici parlano dei film e mi sono detto, vabbè, forse lo posso fare anch’io, non che poi è così complicato. Tra l’altro la mia difficoltà nel parlare di questi film è dovuta al fatto che io non li ho rivisti, li ho visti all’epoca”.

La recensione de Il Verdetto di Paolo Sorrentino

E cosi ha tirato fuori i suoi appunti e ha iniziato a leggerci la sua originale e personalissima recensione del film in programma.

“Il Verdetto di Sidney Lumet è un film – spero che non abbiate letto anche voi Wikipedia perché l’ho letta io, sennò rischiamo di dire delle cose che già sapete – è un film del 1982 che è un miracolo, perché è di quelli che a Hollywood girano per decine e decine di produzioni e di solito finiscono nei cestini. Invece questo film è stato fatto e il paradosso è che veniva dato in mano ad attori che erano sempre contrari a quello che aveva scritto David Mamet, che invece è il più grande sceneggiatore vivente che ci sia insieme a Lawrence Kasdan.

Lo doveva fare Robert Redford che disse a David Mamet – ‘lo voglio interpretare come un crociato che sta su un cavallo bianco’ – e giustamente David Mamet non capì che cosa volesse dire e quindi Robert Redford non fece più il film per disaccordi con David Mamet. Successivamente il film è finito in mano a Sidney Lumet. Le ragioni per cui amo questo film sono tante, la principale direi è che loro toglie tutto, parole, inquadrature, qualsiasi cosa perché è molto sicuro di sé come filmmaker.

Questo per me è una specie di punto di arrivo, quello di togliere: perchè io invece, essendo insicuro, metto solamente ed è un film dove c’è una sintesi magistrale tra scrittura, regia e interpretazioni. Forse è il film dove meglio si amalgamano questi tre elementi, gli attori sono strepitosi, Paul Newman che di solito era un attore molto critico verso se stesso, in pratica ha quasi sempre detto di non aver fatto grandi interpretazioni, però salvava la sua interpretazione ne Il verdetto.

È un film molto confortante, perché si segue per due ore questo uomo bellissimo che è Paul Newman e si comprende anche che la bellezza non è servita a niente perché è un uomo disperato. La grandezza della sceneggiatura sta nel fatto che di solito nei film si raccontano uomini che cadono. Invece secondo me una delle grandezze di questa sceneggiatura sta nel fatto che dalla prima inquadratura si stabilisce che quest’uomo è già caduto ed è già disperato e può solamente risalire.

È un film meraviglioso perché qui sono tutti miserabili, acciaccati, affannati e stanchi. Sono tutti in difficoltà, tranne uno che è James Mason che fa la parte del cattivo, ma che non fa proprio la parte del cattivo, fa la parte di chi sa sempre come si sta al mondo. Il film in questo senso è catartico perché ci dice una cosa meravigliosa, che non sempre quelli che sanno come si sta al mondo hanno la meglio. Qualche volta succede anche che hanno la meglio gli altri, quelli che non sanno come si sta al mondo, cioè noi, gli appassionati di cinema, perché sono quelli che in pratica non sanno vivere, altrimenti non staremmo qua al cinema a perdere così tanto tempo.

È un film in cui Lumet rende bellissimo tutto ciò che è difficile da rendere bello, cioè rende bellissimo il buio, rende bellissimo il freddo, rende bellissima la neve, rende bellissima la disperazione, rende bellissimo l’alcolismo, l’amore mancato con questa donna che è Charlotte Rampling. È anche uno stranissimo film in cui il noir, che è impersonato dal personaggio di Charlotte Rampling, si mescola con il più classico dei film, con quelli che oggi chiamano legal movie o legal feature.

Questa è un connubio molto interessante. Un’altra cosa meravigliosa di questo film, che solo gli americani sanno fare, che accosta gli americani ai grandi uomini di chiesa, è realizzare il processo come se fosse una messa, cioè come se fosse un rito e quindi la dimensione del processo assume i contorni del grande spettacolo, esattamente come lo è una messa per i cattolici”.

Le parole del sindaco di Roma, Roberto Gualtieri

“È un bellissimo film, un capolavoro: mi ricordo che lo vidi quando uscì e poi l’ho rivisto in tv. Grandissimo regista, che può approfittare di un Paul Newman strepitoso che interpreta la parte di un avvocato allo sbando che si riscatta vincendo questa causa. Straordinario David Mamet, lo sceneggiatore. Come sempre con il cineasta Sidney Lumet si va oltre il genere di partenza  per arrivare ad una valenza molto più generale. Un grande classico. Il pubblico accorso questa sera al Troisi poi è la dimostrazione di come quando le sale affrontano con capacità innovativa e di qualità la programmazione le persone poi al cinema vengono volentieri”.