La tv è morta, viva la tv: il piccolo schermo domina il mercato nel rapporto APA sull’audiovisivo italiano

La tv "tradizionale" totalizza nel 2022 ricavi pari a 7,9 miliardi di euro, occupando il 73% del mercato. Sale in ripresa, raddoppiano gli investimenti nei film, bene i documentari e l'animazione. Ma preoccupa la crescita dei costi di produzione e la scarsità di tecnici: per Borgonzoni "va cambiato il tax credit e in generale la legge cinema"

Cara, vecchia, analogica e immortale tv. Lo dice anche il quinto rapporto sulla produzione audiovisiva nazionale dell’APA (l’associazione dei produttori dell’audiovisivo), presentata il 13 ottobre a Roma nella giornata di chiusura del MIA: il primo amore degli italiani – dei produttori e non solo – era e resta la tv, mezzo che totalizza nel 2022 ricavi pari a 7,9 miliardi di euro.

Insomma algoritmo sì, ma con calma: se pure la presenza ingombrante dell’ex tubo catodico è destinata, secondo gli analisti, a decrescere di quattro punti tra il 2024 e il 2025, la sua quota mercato è ancora il 73% del totale. Parlano i numeri: nel 2022 i ricavi dei vod a pagamento (le piattaforme: tra le altre Netflix, Disney+, Prime Video) sono stimati sul miliardo di euro, mentre i ricavi della pubblicità video display (servizi Avod, cioè quelli con la pubblicità come YouTube) si attestano su un valore pari a 1,5 miliardi.

Centrale, in questo scenario, la posizione della Rai: “Siamo da sempre un pilastro – ha commentato ieri al MIA il direttore generale Rai Giampaolo Rossi, unico uomo in un panel completamente al femminile –  Ma manteniamo questa centralità a fatica, data la riduzione delle risorse a nostra disposizione. Ai tempi di Tinny (Andreatta, oggi vicedirettore contenuti italiani Netflix, seduta un paio di poltrone più in là, ndr) gli investimenti della Rai ammontavano a 300 milioni, con costi di produzione del 30% più bassi di quelli di oggi: comunque meno di quanto investa la tv pubblica tedesca. Oggi investiamo tra i 180 e i 190 milioni in fiction, 140 nel cinema, 6 nella produzione di documentari. Ma attenzione, se la Rai scricchiola sugli investimenti nel settore dell’audiovisivo, ne risentirà tutta la filiera”.

Il panel di APA al MIA

Il panel di APA al MIA

Le sale cinematografiche: bene ma non benissimo

La sala cinematografica, fortemente penalizzata dalla pandemia Covid-19, registra ricavi per soli 0,3 miliardi: è in netta ripresa dai tempi del lockdown, ma ancora lontana dai valori pre-pandemia. I ricavi cumulati dalle prime 50 imprese del settore, tuttavia, riprendono a crescere, mentre continua il processo di acquisizioni e aggregazioni nel settore della produzione.

Gli investimenti in film destinati alla sala cinematografica sono più che raddoppiati fra il 2017 e il 2022, passando da 263 milioni a 581 milioni di euro (+121%), mentre quelli complessivi in produzioni originali italiane è di 1.800 milioni di euro.

Ma in cosa si investe? In film (notevole il dato in crescita sul genere “soprannaturale”) e serie di finzione per tv e piattaforme (55% del totale), con una preferenza spiccata per i generi drammatici e crime e un “boom” dei prodotti  teen. Ma si registra anche una crescita importante dei documentari, passati da 40 film all’anno a 120, per un investimento totale di 38 milioni (a trainarlo è la Rai, leader del settore, seguita da Sky e Discovery) e dell’animazione (116 milioni).

“Sky negli ultimi 10 anni ha investito 15 miliardi tra produzione e diritti, di cui 11 in Italia – è intervenuta Antonella D’Errico, vice presidente esecutiva dei contenuti per Sky Italia – l’Italia è un paese centrale per Comcast e Sky: a novembre lanceremo il nuovo canale tematico Sky Crime e ci sarà presto un grosso investimento sulle produzioni originali nel paese, in particolare nei documentari di genere crime”.

Considerando i soli lungometraggi per tv lineare, pay e piattaforme, gli investimenti complessivi in opere di finzione hanno raggiunto i 672 milioni. L’ingresso in campo delle piattaforme è stato, inevitabilmente, determinante:”L’Italia è un paese su cui Netflix ha fatto investimenti importanti – ha detto Andreatta – e oggi affrontiamo due sfide: raccontare anche all’estero un’Italia contemporanea e diversa, e imporre i nostri prodotti fino a fargli raggiungere lo status di fenomeno, come accaduto con i k-drama coreani”.

Sulla stessa linea Antonella dominici vice presidente per l’Europa meridionale, l’Africa e il Medio Oriente per Paramount+ e Pluto tv: “Tra pochi mesi lanceremo la nostra Miss Fallaci, che ha ottime possibilità per esportare all’estero una storia dalla forte identità italiana. E nel 2024 produrremo una ventina di prodotti unscripted, due dei quali in arrivo adesso in Italia (Drag Race Italia e Ex on the beach Italia, ndr). Siamo gli ultimi arrivati, ma abbiamo le stesse ambizioni degli altri”.

Un'immagine in esclusiva per The Hollywood Reporter Roma di Miriam Leone nella serie Miss Fallaci

Un’immagine in esclusiva per The Hollywood Reporter Roma di Miriam Leone nella serie Miss Fallaci

I problemi: tax credit, costi e allarme maestranze

L’incremento dei costi di produzione registrato a partire dal 2020, e la crescente scarsità di tecnici e maestranze, costituiscono una vera e propria emergenza per il settore, soprattutto in previsione di un’ulteriore crescita del mercato. La ricerca sottolinea le criticità del tax credit, che se ha incentivato la produzione esecutiva interna su prodotti internazionali, ha tuttavia avuto un effetto inflativo sul sistema. “I costi sono lievitati, diventando proibitivi per produzioni meno strutturate – ha detto il sottosegretario Lucia Borgonzoni chiudendo la presentazione – è chiaro che va cambiato il tax credit, e in generale la legge cinema. Questo è un sistema anche imprenditoriale: prendendo in mano la questione del tax credit ci siamo resi conto bisogna dobbiamo controllare maggiormente, la qualità di ciò che produciamo e capire quali criteri di accesso ai finanziamenti premino la qualità senza penalizzarla”.