E se Marilyn incontrasse McQueen dopo aver ballato con Bogart? Hollywood, morituri te salutant

Riportare in vita attori per rimetterli nei panni di supereroi che hanno finito per odiare è inquietante oltre che poco etico. Perché c'è questa ossessione per questi zombie digitali? George A. Romero non ci ha insegnato davvero niente? (attenzione, nel pezzo c'è uno spoiler su The Flash)

Nonostante il flop commerciale e di critica, il The Flash di Andy Muschietti ha saputo suscitare una viva polemica artistica e culturale tutta imperniata sull’opportunità di “riportare in vita” digitalmente attori da tempo deceduti, magari in ruoli o operazioni molto lontane dal loro sentire.

Nello specifico, la questione è sorta attorno all’uso dell’uso delle immagini di George Reeves e Christopher Reeve, due degli storici interpreti di Superman che ebbero una storia quantomeno travagliata con il personaggio creato da Jerry Siegel e Joe Shuster. Nel finale del film di Muschietti (perdonate in anticipo lo spoiler ma è necessario) i due attori, digitalmente ricreati, tornano a indossare la cappa rossa dell’ultimo figlio di Krypton, così come Adam West torna nel costume di Batman. Ma allora, perché parliamo di Reeves e Reeve e non di West? Semplice, perché West, nel corso della sua vita, è sempre stato ben felice di essere ricordato nei panni del cavaliere oscuro (che, nella sua interpretazione, tanto oscuro non era) e ha rimesso il costume in più e più occasioni, mentre Reeves e Reeve hanno combattuto tutta la vita per riuscire a slegarsi dal personaggio che li ha resi delle icone mondiali.

I Supermen che hanno odiato il figlio di Krypton

Christopher Reeve, il protagonista del Superman di Richard Donner del 1979 e dei suoi tre sequel, si è più volte scagliato contro la mania di Hollywood di continuare a spremere un franchise fino a svuotarlo di tutta la sua bellezza, e una volta terminata la sua esperienza nei panni di Kal-El, non ha mai parlato volentieri di quei film, non si è mai prestato a comparsate in costume o revival di qualche tipo, cercando faticosamente di costruirsi una credibilità attoriale che l’interpretazione di uno dei personaggi fumettistici più famosi di sempre aveva gravemente compromesso (altri tempi, oggi le star fanno a pugni pur di interpretare un supertizio).

Quanto a George Reeve, storico interprete del formaggione blu in una serie di film e telefilm degli anni quaranta e cinquanta, la storia è più triste: la scelta di interpretare Superman rovinò la carriera ben avviata dell’attore e, pare, che questa sia stata poi la ragione del suo suicidio (all’età di quarantanove anni). Insomma, a giudicare dalla loro storia, dalle loro parole e dalle loro azioni, risulta difficile credere che oggi questi due attori sarebbero stati concordi nel tornare a svolazzare, anche se per un breve attimo, sui cieli di Metropolis. Ma sono morti e i loro eredi non si sono fatti sentire (o hanno trovato un accordo con la Warner).

Quindi, a chi interessa?

A noi dovrebbe interessare, perché le comparsate di zombie digitali (nel vero senso della parola) nel film di Muschietti potrebbe essere l’inizio di qualcosa di enorme. Ma andiamo con ordine e vediamo come ci siamo arrivati a questo punto, ok?

Altro che The Flash, ci ha incastrato Roger Rabbit (e Robert Zemeckis)

Grossomodo, è tutta colpa di un coniglio di nome Roger. Nel 1988, dopo i successi di All’inseguimento della pietra verde e, sopratutto, di Ritorno al futuro, Robert Zemeckis porta sullo schermo un progetto impossibile che persegue da una vita: Chi ha incastrato Roger Rabbit. Per realizzare il film, che vede a schermo dei personaggi a cartoni animati che si muovono e interagiscono con attori reali su veri set, Zemeckis si avvale di tecniche classiche e già sperimentate (le stesse viste in Pomi d’ottone e manici di scopa, per fare un esempio), combinandole con gli ultimi ritrovati della tecnologia digitale, sviluppati dai ragazzi della ILM di George Lucas nel campo della computer grafica e, soprattutto, del compositing, la tecnica che permette di fondere più immagini in maniera fotorealistica.

L’esperienza apre la mente a Zemeckis che inizia a pensare: ma se posso farlo con i cartoni animati, perché non con le persone vere? Da quel momento in poi, il regista inizia a concepire un utilizzo degli effetti speciali più raffinato e invisibile rispetto a quanto fatto fino a quel momento da, tanto per fare un nome, il suo amico Steven Spielberg. Queste riflessioni trovano una prima e brillante applicazione nel suo film successivo, Ritorno al futuro – parte II, in cui Zemeckis, oltre a usare gli effetti speciali (pratici e digitali) sia in maniera tradizionale, sia per tornare dentro le scene girate per il primo capitolo della sua saga a base di viaggi nel tempo, inquadrandole da punti di vista alternativi e portando in scena, allo stesso momento un gran numero di Michael J. Fox.

Successivamente, con La morte ti fa bella, il regista comincia ad esplorare le possibilità offerte dagli effetti digitali per replicare e deformare i corpi umani e poi, nel 1994, combina tutte le esperienze fatte fino a quel punto in un unico grande film, Forrest Gump, dove tra voli di piume e gambe mozzate al povero Gary Sinise, Zemeckis si diverte anche a piazzare Tom Hanks a confronto con veri personaggi storici la cui immagine viene recuperata da firmati d’archivio, trattata digitalmente e fotocompositata. Personaggi storici morti, sia chiaro. A nessuno viene in mente se l’operazione sia lecita e nessuno si domanda se, per esempio, John Lennon, sarebbe stato interessato a partecipare al film di Zemeckis. Forse lo hanno chiesto a Yōko Ono che, mentre intascava l’assegno, ha assicurato tutti che suo marito non vedeva l’ora di partecipare a una pellicola di Hollywood a base di buoni sentimenti e torta di mele.

Comunque sia, ormai il vaso di Pandora è aperto e Zemeckis continua a rovistarci dentro. Gli archivi storici non gli bastano più perché sono troppo limitati mentre la grafica digitale sta facendo passi da gigante. Perché limitarsi a recuperare qualche vecchio filmato quando si potrebbe costruire, o ricostruire, digitalmente un attore? Nel 2004, sempre a firma del regista di Ritorno al futuro, esce Polar Express, un cartone animato digitale che utilizza la performace capture, una tecnica che permette di catturare (e registrare in un archivio eternamente a disposizione, cosa da non trascurare) le performance di un attore, per poi trasporle su personaggi digitali. Negli anni successivi, questa innovazione sarà un game changer per il mondo del cinema e farà la fortuna di film come Il signore degli anelli, Il pianeta delle scimmie e mille altri (e, incidentalmente, renderà anche Andy Serkis in una sorta di Boris Karloff del ventunesimo secolo).

Da Ritorno al futuro a The Flash. Il cinema del reale, non più dipendente dal reale

Ma, tornando a Zemeckis, negli anni successivi continua a sperimentare con il digitale, andando alla ricerca di risultati sempre più realistici e indistinguibili dal vero (con pellicole come La leggenda di Beowulf e Canto di Natale), inseguendo il miraggio di un cinema del reale, non più dipendente dal reale. Un cinema senza set, senza attori, completamente libero dai limiti della materia e del tempo. Ora, sia chiaro: Zemeckis è un genio e il suo percorso è mosso da una spinta artistica e da una immaginazione senza limiti. Il suo cammino nel mondo del digitale è quasi da kamikaze perché batte strade ancora molto sperimentali (e, per questo, non sempre convincenti), per portare al pieno sviluppo una sua visione assoluta e totalizzante. Holllywood, a differenza sua, è più pragmatica e prende il suo sogno e lo smonta in tante piccole cose diverse, più gestibili, versatili e commercialmente interessanti. Passano gli anni e le molte sperimentazioni del regista trovano applicazione in praticamente ogni tipo di produzione, il photo compositing passa da una soluzione all’avanguardia per realizzare scenari e storie impossibili a un comodo sistema per allestire set senza allestire set, mentre la performance capture e gli attori digitali aprono possibilità di nuovi sfruttamenti per vecchie glorie. Senza stare ad annoiarvi con una lunga lista di titoli, saltiamo direttamente al 2014 e a Rogue One: a Star Wars story, film del 2014 in cui fa capolino Peter Cushing (morto nel 1994), inquadrato in un campo lunghissimo per non evidenziare la sua natura di zombie digitale, e 2019, quando Mark Hammill in The Mandalorian e Robert De Niro e Joe Pesci, in The Irish Man, tornano sugli schermi in una versione ringiovanita di decenni. Infine, arriviamo all’oggi, con un Harrison Ford che torna a picchiare nazisti con la forza dei suoi trent’anni e George Reeves, Christopher Reeve e Adam West a indossare le calzamaglie. Immagino che l’andamento della parabola via sia ormai chiaro, no? Le tecnologie della foto composizione, del de-aging, della performance capture e delle ricostruzioni digitali, è ormai matura e Hollywood sta timidamente (nemmeno troppo) prendendo la rincorsa per una rivoluzione che le permetterà di avere a disposizione tutti gli attori che vuole, presi al meglio della loro forma, sempre disponibili. E mentre per gli attori ancora in vita la questione sarà contrattuale (sì, avete diritto a registrare il mio aspetto e la mia performance per poterla riutilizzare in film futuri, a patto che mi paghiate, oppure, no, non ne avete il diritto), la faccenda si fa più spinosa per quegli attori e attrici scomparsi magari da tempo, la cui volontà sarà interpretata dagli eredi, dove presenti, o da un fumoso silenzio-assenso di comodo, visto che i morti non parlano.

Le conseguenze dell’orrore (di un eterno ritorno)

È abbastanza evidente che il sistema produttivo hollywoodiano stia facendo dei sogni bagnati su un film dove Marilyn Monroe incontra Steve McQueen, balla con Humprey Bogart, si innamora di Heath Ledger e ride con Robin Williams, sulle note di una colonna sonora scritta e cantata da un Jim Morrison reinventato da una IA. Ormai è solamente una questione legale, non di possibilità tecniche. Ma, per quanto il parere degli avvocati sia importante, è davvero questo l’unico scoglio? Possibile che nessuno si stia domandando se è giusto “riportare in vita” qualcuno per fargli girare un film concepito dopo la sua morte? Se è eticamente accettabile decidere per i morti e coinvolgerli in operazioni che non hanno avuto modo di valutare?

Davvero Andy Muschietti non si è fatto nessuno scrupolo etico nel tornare a fare indossare il costume dell’uomo d’acciaio a due attori scomparsi che avevano detto, in maniera abbastanza evidente, che con Superman non volevano più avere niente a che fare? Comandano solo i soldi e le opportunità economiche anche in una materia del genere? Probabilmente, sì e l’unica speranza è che il pubblico rifiuti (in maniera consapevole o istintiva, poco importa) questo tipo di operazioni. Per ora non è successo e anzi, sono state accolte con un certo interesse ed entusiasmo, ma è l’effetto novità e non è detto che duri. Bisogna sempre sperare nelle persone e nel fatto che sappiano capire cos’è giusto e cos’è sbagliato. E, lo dico chiaramente, per quanto mi piacerebbe tantissimo vedere Bruce Lee in un film di John Wick, io credo che risvegliare i morti sia sbagliato.

Possibile che George A. Romero non ci abbia insegnato niente?