Viaggio alle origini di Dune – Parte Due: ecco la vera storia di una saga di fantascienza come non l’avete mai vista (Cristo e islamisti compresi)

Viene da lontano l'epopea che oggi arriva sugli schermi con il secondo capitolo firmato da Denis Villeneuve: non solo Jodorowsky, Lynch e la versione tv, of course, o le droghe e l'ecologismo. Da sempre si evita l'elefante nella stanza di quest'opera storica: la metafora, evidente, della crisi mediorientale, i Mujaheddin, i Feddayin. Perchè, sì, i Fremen sono la metafora degli islamici radicalizzati, pronti a dare la vita per fermare, con qualsiasi mezzo, gli imperi colonizzatori. E Atreides è Gesù

Nel 1963 le tensioni tra gli USA e Cuba sono ancora altissime, nel mentre, gli Stati Uniti si stanno preparando a entrare ufficialmente in guerra contro il Vietnam del Nord e gli elicotteri delle forze speciali fanno piovere Agente Arancio sulla giungla, muore John Fitzgerald Kennedy, esce il primo album dei Beatles, Steve Ditko e Stan Lee creano la prima serie ufficiale di Spider-Man, la monarchia afgana di Mohammad Zahir Shah inizia a fare affari con l’Unione Sovietica, c’è il disastro del Vajont, Lawrence d’Arabia vince sette premi Oscar, i russi mandano la prima cosmonauta donna nello spazio e, sulla rivista Analog, inizia a venire serializzato il romanzo Dune World che, nella sua versione in volume, diventerà semplicemente, Dune. Che cambia la storia della fantascienza per sempre.

Scritto da Frank Herbert, Dune è un testo che, a uno sguarda superficiale, sembrerebbe poggiarsi su convenzioni narrative classiche: Paul Atreides, giovane erede di una nobile casata, viene catapultato su Arrakis, un pianeta desertico e inospitale noto anche come Dune. Qui si ritrova al centro di una lotta per il controllo della preziosa Spezia, una sostanza che permette il viaggio interstellare e conferisce poteri precognitivi.

Intrighi, battaglie epiche e misticismo

Tra intrighi politici, battaglie epiche e il misticismo del popolo Fremen (gli autoctoni ribelli del pianeta), Paul dovrà forgiare il proprio destino e assumersi il ruolo di messia che potrebbe cambiare le sorti dell’universo. In sostanza, la nascita di un prescelto che, compiendo il cammino archetipico dell’eroe dai mille volti di Joseph Campbell, realizza sé stesso e salva-redime il suo mondo.

Quante volte avete sentito questo soggetto? Un’infinità. E così è sempre stato, sin dagli albori del tempo perché questa è una delle strutture narrative più antiche e diffuse nella storia dell’umanità, declinata in una infinita quantità di modi diversi, variando le ambientazioni e il tono, aggiungendoci livelli di lettura stratificati e usandola per veicolare metafore, temi e significati anche diversissimi tra loro. Herbert, per esempio, la usa come uno scheletro per una storia di stampo ecologista (nei primi anni sessanta era un tema che stava diventando di grande attualità), su cui innesta le sue passioni, la sua visione politica e religiosa e un certo interesse per le droghe psicotrope di origine naturale.

Zendaya è Chani in Dune - Parte due

Zendaya è Chani in Dune – Parte due

Tutto nasce da un suo viaggio  a Florence, nell’Oregon, dove osserva le grandi dune e il deserto che assediava e “divorava” le cittadine, dalla sua frequentazione con l’amerindo “Indian” Harry, che gli racconta a lungo di come l’uomo bianco sia un colonizzatore che “mangia la Terra”, dalla sua passione per i fumetti di supereroi, dalla sua sfiducia nei confronti delle figure messianiche, dalla sua convinzione che le droghe possano davvero ampliare a dismisura le capacità del cervello umano.

E ancora dal suo disprezzo per il sistema feudale che, a detta sua, in una maniera o nell’altra continua a dominare il mondo, dal suo forte interesse per il periodo storico della conquista del Caucaso (dove l’impero russo se l’era data di santa ragione con la Resistenza musulmana) e dalla lettura del Signore degli Anelli (pubblicato meno di dieci anni prima) di J. R. R. Tolkien, romanzo che negli USA aveva avuto un impatto enorme sulla controcultura ma pure sulla narrativa fantastica e fantascientifica, diventando paradigma del concetto di “world building”, la costruzione di un mondo con una sua storia, una sua geografia, una sua personale mitologia, coerente e credibile, per quanto immaginario, fantastico o speculativo.

Il magma di Dune, la saga

La risultante di queste influenze e passioni è Dune, un romanzo che riesce a prendere questo magma ispirativo, fonderlo e dargli una forma nuova e originale. Il libro diventa un classico istantaneo della fantascienza e, nel corso degli anni, vende milioni di copie, diventando fonte di ispirazione per tante altre opere (una su tutte, la più nota: Star Wars).

Come succede sempre, se un libro diventa un fenomeno, qualcuno vuole trasporlo sullo schermo. La storia dei tentativi di portare il romanzo di Herbert al cinema o in televisione è infinitamente lunga e complessa e non è il tema di questo articolo, vi basti sapere che si sono vari tentativi andati a vuoto (il più noto è quello di Alejandro Jodorowsky, ma non è certo il solo) e tre trasposizioni effettivamente andate in porto: quella meravigliosamente disastrosa di Dino De Laurentiis e David Lynch, del 1984, quella mediocre e televisiva, degli anni duemila, e lo straordinario Dune di Denis Villeneuve, la cui seconda parte raggiunge i nostri schermi in questi giorni.

Rebecca Ferguson e Lady Jessica in Dune - Parte due

Rebecca Ferguson e Lady Jessica in Dune – Parte due

Ora, ognuno di queste opere si è dovuta confrontare con dei problemi ovvi, come la visionarietà del mondo di Herbert e i mezzi necessari per rendergli merito, ma anche la complessità dell’opera stessa, il suo ondivago andamento narrativo, una certa spigolosità del personaggi e via dicendo e, a ognuno di questi problemi, gli autori coinvolti hanno dato risposte diverse, certe volte buone, certe volte non buone e certe volte pazze (ciao, David Lynch, parlo che te, mio amato genio).

Quello che però hanno fatto tutti, alla stessa maniera, indistintamente, è l’ignorare l’elefante nella stanza che sta proprio alla base di Dune, cioè il fatto che i buoni della storia sono i Fremen e che i Fremen sono una metafora degli islamici radicalizzati, pronti a dare la vita per fermare, con qualsiasi mezzo, gli imperi colonizzatori che stanno invadendo la loro casa.

Non credo che debba sottolinearvelo io, ma Muad’Dib (il nome di battaglia scelto da Paul Atreides) suona come Mujaheddin (colui che è impegnato nella guerra santa), Fedaykin (i migliori guerrieri Fremen) è molto simile a Fedayyin (devoti pronti al sacrificio, guerrieri e membri della setta musulmana degli Assassini, il nome è usato anche per identificare la Resistenza Palestinese) e poi, ovviamente, la Jihad che… è la Jihād, la sacra guerra religiosa.

Ci sono mille altri esempi, tra i nomi, le parole e le usanze e il luogo dove vivono, tra i Fremen e il mondo islamico, specie quello combattente, ma non mi voglio dilungare perché è abbastanza ovvio che tutto Dune è un’opera letteraria che si basa su  rimandi con il reale (a cominciare dalla Spezia che è tanto droga che ti apre le porte della percezione, quanto il petrolio nascosto nelle sabbie del medioriente), utili ad Herbert per raccontare la società e il mondo del suo tempo, sottolineandone le molteplici storture.

Ma del suo tempo, appunto.

Dune 2

Timothee Chalamet, Denis Villeneuve e Zendaya alla presentazione del trailer di Dune: Part Two al CinemaCon

Se Herbert, nel 1963, vedeva i musulmani che si opposero all’invasione e del loro paese messa in atto dal corrotto e decadente impero russo (così simile alla casata Harkonnen) come degli eroi da trasformare in simbolo di resistenza contro la colonizzazione e gli imperialismi, il parallelismo diventava già molto spinoso appena quattro anni dopo la pubblicazione del suo libro, con lo scoppiare della guerra dei sei giorni tra Siria, Egitto, Giordania, Iraq ed Israele.

E le cose, anno dopo anno, si sono fatte sempre più complicate, con la guerra dello Yom Kippur, la Prima Intifada, Desert Storm, i fatti dell’11 settembre, Osama bin Laden, Al Qaida, l’Isis, la guerra in Afghanistan e via discorrendo, fino alla situazione attuale tra Israele e Palestina.

L’arrivo della saga di Dune al grande e al piccolo schermo

E ora, quelli di voi che ne sanno di Herbert mi diranno: “Ma lui vedeva i Fremen come eroici, Paul come un despota. È sempre stato scontento del fatto che i lettori abbiano visto nella storia del suo protagonista la genesi di un eroe e non quella di un tiranno fondamentalista che farà miliardi di morti, portando la Jihad in tutta la galassia!”.

Ed è vero, Herbert si è sempre battuto per far passare questo concetto, ma resta il fatto che una larga fetta del suo pubblico lo ha recepito così, forse perché lui non è riuscito a esprimersi al meglio o forse perché ha sopravvalutato i suoi lettori. Ma comunque, sia come sia, il libro, per quanto di successo, ha avuto un impatto relativamente limitato. I problemi grossi sono arrivati quando si è cercato di adattare Dune al grande e al piccolo schermo.

Il duello tra Timothée Chalamet e Austin Butler in Dune 2

Il duello tra Timothée Chalamet e Austin Butler in Dune 2

Perché fare cinema e serie televisive costa tanti soldi e non ti puoi proprio permettere di fare un’opera con un protagonista che prima agisce come un terrorista e poi sfrutta la religione per plocamarsi Imperatore-Dio, dando vita a una guerra santa galattica. Devi renderlo digeribile.

Per farlo, puoi contare su tre cose: la prima è l’ambientazione. Se è una storia di fantascienza, per una larghissima fetta di pubblico, non è una storia che ha attinenza con il nostro mondo. Il livello metaforico viene messo del tutto in ombra dalle stelle, le astronavi, gli effetti speciali e via dicendo. La seconda è il punto di vista. Se la storia è raccontata stando alle spalle del tuo talebano galattico, il pubblico si immedesimerà con lui e non si farà troppe domande sulle implicazioni delle sue azioni. La terza, è prendere un bel volto a intepretare il tuo genocida.

Se Atreides diventa Cristo

E così, Paul Atreides diventa letteralmente Cristo, nella versione di Lynch (con tanto di miracoli), una sorta di Conte Di Montecristo nella versione televisiva e il Batman di Nolan, nella versione di Denis Villeneuve (non l’eroe che ci meritiamo ma quello di cui abbiamo bisogno) e Hollywood può mandare in sala, in questo clima politico un film dove l’eroe è il corrispettivo spaziale di un leader di Hamas (vincente però), senza che nessuno faccia una piega o sollevi, quantomeno, un discorso a riguardo (ed è un peccato perché sarebbe interessante farlo).

L’elefante è sempre al centro della stanza ma diventa invisibile, celato ai nostri occhi dai fumi della Spezia.

Timothée Chalamet è Paul Atreides in Dune - Parte due

Timothée Chalamet è Paul Atreides in Dune – Parte due