L’epifania arriva alle undici di sera, impiastrata di terra e sudore, illuminata dalle torce di migliaia di telefonini e dai fumogeni da stadio che – chissà come chissà perché – ce l’hanno fatta a superare i tornelli. Lui, Travis Scott, ancora col fiatone dopo oltre un’ora di mega show, osserva le 60mila persone davanti a lui. Alla sua destra il Palatino, alla sinistra l’Aventino. È emozionato. “Thank you all so fuckin’ much for making this happen here, in Circus Maximus, in just a few days. Thank y’all so fuckin’ much for this”. Improvvisamente è tutto chiaro. Questo è il posto giusto.
Nonostante tutto – considerando la turbolenta genesi del concerto – Roma si è dimostrata il migliore dei luoghi possibili per ospitare un concerto che già odora di storia. Roma e il suo Circo Massimo, che peraltro è il titolo (in latino, Circus Maximus) di una nuova canzone del rapper 32enne nonché del film-evento/concerto da lui sceneggiato e diretto da Harmony Korine, Nicolas Winding Refn e Kahlil Joseph tra gli altri, uscito il 29 luglio in alcune sale americane (e chissà se lo vedremo qui). Nomen omen.
Valido per tutti i romani, notoriamente i primi e più feroci detrattori della città: a volte succedono cose belle, a Roma. Dai concerti – Arctic Monkeys, reunion dei Guns’ and Roses, Imagine Dragons solo per citare alcune delle band ospiti – passando per la visita di Martin Scorsese con tanto di masterclass alla Casa del Cinema, l’Estate Romana è tornata a far parlare di sé, non solo nelle cronache locali.
E il concerto di Travis Scott – con tanto di inaspettato e clamoroso featuring di Kanye West che nei cinque minuti di permanenza su palco ha (meritatamente) rubato la scena – è in assoluto la più grande e imprevedibile sfida estiva vinta. Con buona pace di chi ha sentito “scosse di terremoto” nella propria casa, causate dalle migliaia di piedi che saltano all’unisono. A volte basta cambiare punto di vista per trasformare un potenziale disagio in una fonte di orgoglio. Pensare ad esempio che non capita tutti i giorni che uno dei rapper più eclettici e influenti della scena contemporanea scelga l’Italia e Roma (e non Milano, per dire) per tenere un concerto. A maggior ragione quando si tratta della prima data in assoluto per presentare il suo nuovo album, Utopia – album dei record che ha totalizzato 128 milioni di ascolti il giorno del lancio.
Ma quello che è avvenuto lunedì 7 agosto – nel mese che “Roma non è un bel posto”, citando una notissima canzone rap romana – ha, va detto, dell’utopico. La decisione di ospitare il concerto a Roma, è giunta dopo il clamoroso “No” dell’ultimo momento (27 luglio) da parte de Il Cairo, dove doveva essere inizialmente tenuto l’evento, all’ombra delle piramidi di Giza. E la richiesta, da parte dell’entourage di Scott, è giunta all’amministrazione capitolina e agli organizzatori/promotori, la LiveNation – artefice peraltro della maggioranza dei mega-concerti che hanno rivitalizzato Roma questa estate – martedì 2 agosto, a sei giorni dall’evento.
Tanti temevano il disastro, il fallimento, la tragedia. Va detto, la fama di Travis Scott lo precede, purtroppo anche in negativo: nessuno può dimenticare quanto avvenuto nel 2021 durante l’Astroworld festival (venue da lui creata a Houston, sua città natale), quando, nel caos della mischia, nell’esaltazione del pogo più sfrenato, persero la vita dieci persone. E nelle ore precedenti al concerto al Circo Massimo, mentre la più antica arena del mondo si riempiva, bastava fermarsi a parlare con uno dei centinaia di steward in pettorina gialla (sono state assoldate tre distinte società per far fronte alle necessità di risorse umane per la gestione dei flussi), o con uno dei poliziotti in borghese o non, per vedere teste scuotersi, parole di preoccupazione.
Ma sbaragliando tutti i pronostici, l’eterna Capitale delle incompiute, grazie a una sana e concreta partnership pubblico-privato, ha compiuto il miracolo in sei giorni, dimostrando una capacità di problem-solving invidiabile. Ecco che il palco utilizzato solo due giorni prima per il concerto, sempre al Circo Massimo, degli Imagine Dragons, è stato abilmente “riciclato” seguendo le direttive del vulcanico Scott – grandissimo amante dell’architettura, noto per essere molto esigente in quanto a estetica nei suoi eventi.
Il risultato? Un allestimento di altissimo livello, con uno sperone di roccia artificiale che si stagliava al centro del palco allungandosi sulla passerella fino al centro del pit, circondato da un imponente muro di casse sul quale il 32enne si è appollaiato per un paio di canzoni. Lingue di fuoco e gittate di nebbia si alternavano dai cannoni, giocando con i laser, i fari e le proiezioni sui maxischermi laterali, per un effetto futuristico-apocalittico: se Mad Max e Ken Shiro organizzassero un rave party nelle terre di Mordor, ecco, sarebbe proprio così.
Al resto ci ha pensato la fanbase internazionale e super variegata del rapper/trapper, che ha letteralmente “vaporizzato” i biglietti – in particolare nell’ambita area Pit – in poche ore, spostando ferie o tornando dalle vacanze pur di esserci. L’effetto finale è quello che possono regalare solo gli eventi di alto standing internazionale. La lounge area popolata di vip – dalla cantante Emma Marrone al calciatore della Roma El Shaarawy, da Bebe Vio a rappresentanti autoctoni della scena rap come Gemitaiz e la LoveGang126 – l’arena pullulante di giovani e giovanissimi a petto nudo e toppini a triangolo, abbondanza di trecce e treccine, ragazzini accompagnati dai genitori accanto a navigati fan tatuati da capo a piedi, tutti insieme a cantare a squarciagola ogni singola traccia di Travis Scott, che ha presentato una selezione di brani da Utopia (una tra tutte Fe!n, che ha fatto vibrare non solo la terra, ma anche le casse toraciche di tutta l’arena), ma non ha tralasciato i mega-hit meno recenti come Sicko Mode e Goosebumps.
Ed ecco un altro “miracolo”: non capita tutti i giorni di assistere a un concerto a Roma di un artista internazionale nel quale si ha la piena consapevolezza che il pubblico comprenda ogni singola parola che proviene dal palco. E per questo bisogna ringraziare la Gen Z. I (bistrattati, anche loro) ragazzi di oggi.
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