Vincenzo Ferrera, nonostante una lunga carriera in teatro al fianco di Toni Servillo, Carlo Cecchi e Mario Martone, ha raggiunto la popolare per aver interpretato Beppe Romano, l’educatore comprensivo, buono e gentile di Mare Fuori, la serie diventata un vero e proprio fenomeno di costume che appassiona varie generazioni. Anche la quarta stagione, disponibile interamente sulla piattaformaRaiPlay, ha registrato numeri da record.
L’attore palermitano, ormai napoletano d’adozione, ci ha parlato di questo successo incredibile, inaspettato, dopo anni di gavetta e delle conseguenze che ha avuto nella sua vita privata e professionale. L’incontro che sicuramente gli ha cambiato la vita è stato quello con Carmine Elia, il regista della prima stagione della serie tv che l’ha fortemente voluto per quel ruolo , per poi richiamarlo anche in altri suoi lavori come Sopravvissuti e Noi siamo leggenda.
È diventato quasi il portafortuna di Carmine Elia?
Sicuramente (sorride, ndr). Devo dire grazie a Carmine Elia, che è sicuramente stata la persona che mi ha dato la possibilità, e a Michele Zatta di Rai Fiction se sono diventato Beppe Romano.
Ricorda ancora il provino?
Certo che lo ricordo. Con Carmine sono stati anche provini molto duri e io non sapevo se l’avrei superato, essendo io palermitano mentre gli altri erano tutti i napoletani. Probabilmente ho una napoletanità innata, una cadenza particolare avendo lavorato tanti anni con Servillo, oppure si sono fidati dei miei occhi, della mia proposta. Oppure un semplice colpo di fortuna.
Dopo anni di gavetta in teatro arriva la popolarità grazie ad una serie tv. Contento?
Ho sempre pensato che nel momento stesso in cui noi riusciamo a vivere bene di questo mestiere, soprattutto col teatro, abbiamo già vinto. Non è che mi mancasse nulla, da quando ho 19 anni fortunatamente non ho mai smesso, facendo le corna, di lavorare con i più grandi. Il fatto di azzeccare la cosa che mi ha portato anche popolarità fa sicuramente piacere.
Il teatro non le dava la stessa visibilità.
A me tanti anni in teatro con Toni Servillo mi hanno reso orgoglioso, così come i 25 anni con Carlo Cecchi, e poi con Mario Martone. Ovviamente uno vorrebbe diventare popolare ed esplodere quando recita L’Amleto, non c’è dubbio, ma fortunatamente ho scelto una serie che manda un messaggio talmente positivo e talmente importante, non stiamo parlando di un prodotto patinato solo per ragazzini, che va bene così.
La differenza, a parte l’aumento del cachet, è che adesso la fermano pure per strada.
Sì. E anche la possibilità di tornare un giorno in scena, quando ne avrò tempo, in cui i teatri magari si riempiranno perché c’è il mio nome. Ecco, questa sarà la differenza rispetto agli anni in cui facevo parte di grandi compagnie. Adesso potrò sperare di lavorare un po’ più in proprio, fare degli spettacoli miei.
Ha elegantemente glissato sui guadagni, si è tolto qualche sfizio?
Niente! Posso dirle che non riesco a farmi una vacanza, adesso poi che me la potrei pure permettere. Aspetto di trovare una pausa, ma certo non sono uno che spende e spande. Vedo invece i miei ragazzi (si riferisce agli attori della serie, ndr) che arrivano con super giubbotti di pelle e cose sempre nuove. Io sono un po’ morigerato, mi porto dietro un po’ il braccino corto del teatrante, prima o poi si sa che la curva può ridiscendere. Ma forse adesso effettivamente dovrei essere un po’ più rilassato da questo punto di vista.
Ha dato dei consigli ai suoi giovani colleghi che si comportano come delle superstar?
C’è un rapporto fraterno e filiale, purtroppo gran parte di loro potrebbero essere miei figli. Si comportano da superstar perché lo sono diventati veramente. A 20 anni, 25 anni quando ti capita una bomba del genere è difficile gestirla e fare un po’ il modesto, pensi di essere immortale. Finché ho potuto ho dato i miei consigli, per quanto ti possano ascoltare. Ho detto loro che non sempre in questo mestiere le cose vanno bene e quindi ho consigliato di continuare a studiare e coltivare il loro talento magari facendo anche meno gli influencer, quindi di passare più tempo nella recitazione che nella moda. Gli intelligenti mi ascolteranno e quelli che non mi ascolteranno si elimineranno da soli perché questo mestiere è così.
Chi tra questi giovani attori con cui ha lavorato porterebbe in una sua compagnia teatrale?
Giacomo Giorgio e Massimiliano Caiazzo e posso dirle anche Artem, perché l’ho trovato in questa stagione con una vena di commedia non indifferente. Non è facile fare la commedia, con dei tempi comici naturali che non mi aspettavo avesse.
Solo maschietti?
Sì. Ho pensato anche alle donne e tra le grandi non vedo l’ora di lavorare con Pia Lanciotti e ce lo siamo anche detto.
Io mi riferivo alle giovani attrici, Lanciotti e Guidone fanno già teatro.
Faccio più fatica a misurarmi con le ragazze perché dobbiamo ancora capire chi tra loro può essere più incisiva nel teatro.
Quanto c’è di Vincenzo Ferrera in Beppe Romano?
Molto, ognuno di noi porta tanto di sé quando interpreti un personaggio. Non bisogna fare finta di niente, chi stravolge rischia di diventare anche molto finto. Porto la mia esperienza di padre, questo lo dico sempre. Ho un ragazzo di 15 anni. Porto il mio essere affettuoso, empatico, una persona molto da contatto. Questo probabilmente ha colpito il pubblico ed è stata la mia fortuna.
Questo significa anche non le daranno mai un ruolo da cattivo?
Spero proprio di no. A me piacerebbe molto fare il cattivo. In Italia è molto difficile fare un discorso del genere perché ci si basa anche molto sul viso, sui tratti somatici. Io ho un connotato come diceva Carlo Verdone da buono, quindi anche se potrebbe essere una grande sfida, non riesco a capire perché non si riesca da una faccia da buono a risultare cattivo perché alla fine potrebbe risultare anche molto più incisivo. Invece in Italia si gioca facile.
È difficile scrollarsi di dosso un personaggio che si commuove spesso e che spesso fa commuovere?
È vero! I momenti più commuoventi della serie riguardano sempre qualche scena dove c’è Beppe Romano. Spesso coincide con l’andata via o magari con la morte di uno dei personaggi, forse perché si era creato un rapporto talmente bello ed empatico che quando il personaggio va via o muore coincide con l’abbandono dell’attore dal progetto e quindi per me è sempre una spada nel cuore profonda.
Qualche esempio?
Con Chiattillo (Nicolas Maupas) non riuscivamo ad andare avanti, ne abbiamo fatto solo una buona, perché ci siamo sforzati. Non riuscivamo a non piangere. Con Kubra (Kyshan Wilson) la stessa cosa. Il mio modo di commuovermi in certe dinamiche è assolutamente reale.
Qual è la scena più difficile che ha dovuto girare?
Sicuramente la scena con Kubra, quando c’è la mezza confessione di essere il suo papà. È stata una scena molto difficile, anche se in questi casi, se parte bene, è sempre buona la prima. C’è stato un momento in cui tutto era diventato veramente reale, in cui Kyshan non si è fermata e ha cominciato a piangere tanto, perché comunque probabilmente c’era qualcosa di simile anche nella sua vita privata e quindi ci siamo dovuti calmare un attimo. Portarla a termine è stato molto complicato, proprio perché era tutto troppo vero.
In un certo senso anche lei è un influencer visto i tanti messaggi che riceve da ragazzi ed educatori.
Se fossero così gli influencer sarebbe magnifico. Quando ti arrivano messaggi come quello che ho ricevuto l’altro ieri che diceva “ho ricominciato a studiare per fare l’educatore grazie a Beppe” allora pensi che non è più un gioco, che può servire a qualcosa, non perché uno vuole essere presuntuoso, però nel mio piccolo è come se avessi cambiato un po’ la vita di una persona tramite un personaggio che non esiste.
Visto che è siciliano, Mare Fuori non le ricorda Mary per sempre e Ragazzi Fuori?
Mary per sempre è un film sconvolgente per noi palermitani. Nell’89 avevo 16 anni e il disagio giovanile del carcere minorile Malaspina dell’epoca noi non lo sconoscevamo. Un posto a soli 4 chilometri da dove recitavamo noi, in cui c’erano i ragazzini che passavano una vita peggiore di quella che noi abbiamo messo in scena. Sicuramente Mare fuori è una costola di Ragazzi fuori, anche se nel film di Risi gli attori erano veramente presi dalla strada, li conoscevo più o meno tutti, erano veramente dei galeotti. Da noi i ragazzi sono così bravi perché comunque hanno studiato nelle scuole di recitazione, questa è la differenza. Lì c’era molta realtà e qua invece ci sono dei veri attori.
Si è ispirato per il suo personaggio a Michele Placido?
Michele Placido era empatico, ma un professore un po’ diverso dal mio Beppe. Non mi sono ispirato tanto a lui, con cui ho lavorato tantissimi anni fa, però sicuramente è stato un punto di riferimento, anche perché alla fine la storia più o meno è quella.
Come spiega tutto questo successo della serie?
Il successo di Mare fuori credo sia dovuto allo spiazzare i ragazzini e i genitori su una realtà che fai finta di non conoscere. Quando sono andato in visita al Beccaria Milano ho trovato una tragedia di situazione. Mi sono anche chiesto ma se noi facessimo Mare Fuori in questa maniera, prendendo spunto dalla realtà, cambierebbero sicuro canale e ci avrebbero già cancellato dai palinsesti.
La chiamano dagli IPM reali?
Mi chiamano convinti che io sia un vero educatore, non hanno capito che faccio finta. Mi chiamano anche dalle carceri di massima sicurezza, sono stato a Bollate, a Spoleto, a Milano per dei dibattiti sul ruolo dell’educatore. E non è che ho portato lì la mia esperienza, ma ho capito che serviva parlarne, serviva una figura come Beppe per parlare di una professione che appunto viene sempre un po’ bistrattata ma che è la figura centrale degli IPM. Non se ne parla mai e fanno veramente una vita d’inferno. Ho una solidarietà collettiva da parte di tutti questi educatori che spesso mi dicono finalmente stai parlando di noi. Anche perché poi alla fine la parte rieducativa di questi istituti penitenziari è sempre molto marginale.
Che situazione ha trovato nella realtà?
Quando sono andato al Beccaria l’IPM di Milano, accanto a qualche educatore molto bravo ce n’era qualcuno pessimo. Ne ho avuto conferma parlando con i ragazzi, quando riuscivo ad entrare nelle loro grazie, perché è tutto molto complicato e difficile, perché non si fidano. Quando riconoscono in me Beppe, mi abbracciano e mi dicono che mi rispettano, ma bisogna stare molto allerta come se fossi in uno zoo.
Cosa le hanno detto questi minori?
Mi hanno raccontato e lo facevano anche davanti agli interessati stessi: “Lei non capisce niente, lei è una poveraccia”, così rivolgevano ad un’educatrice che non li trattava bene. Ho capito che non c’era un rapporto, in quei casi invece bisogna essere estremamente empatici e lì non ne ho trovata, tranne qualcuno. C’era un aspetto punitivo esagerato nei confronti dei ragazzi. Contesti comunque molto difficili.
In questa stagione il caro Beppe Romano chiagne e fotte come direbbero a Napoli.
Meno male! Perché probabilmente si stava instaurando in tutti un’idea di una certa fluidità che noi rispettiamo tantissimo, ma che in Beppe non c’è. Insomma è normale, finalmente non solo il comandante amoreggia, hanno finalmente scritto un qualcosa per cui possiamo rendere questo personaggio un po’ più virile.
Ha puntato pure in alto con la direttrice.
Queste direttrici non la scampano insomma, o l’uno o l’altro.
Come è andato questo rapporto intimo con Lucrezia Guidone?
Molto bene. Lucrezia è una grande attrice. Siamo fortunati ad averla perché ha portato la sua professionalità. È un’attrice molto seria che studia tantissimo pur avendo avuto la carriera che ha. Il suo è un ruolo che potrebbe fare tranquillamente con la mano sinistra invece si impegna, si arrabbia tantissimo se le cose non vanno bene, quindi è molto severa nel lavoro, quindi ottimo. Da questo punto di vista come attori adulti siamo veramente blindati.
Imbarazzo in qualche scena?
No, no. C’è tanta professionalità, l’importante è fidarsi l’un dell’altro, quando si diventa comunque amici non c’è imbarazzo, assolutamente no. E poi non è che abbiamo avuto queste scenone di sesso come le hanno avute i ragazzini. C’è solo qualche scenetta così che faceva intuire che ci sarebbe stato dell’altro, altrimenti saremmo diventati patetici.
Le hanno proposto di fare anche il musical?
Sì, me lo hanno proposto ma non ho accettato, come gran parte del cast.
Perché non ha accettato?
Per me è una questione propriamente professionale, di fare Beppe tutto l’anno non mi andava proprio, volevo fare dell’altro. Fai Beppe per sei mesi l’anno, fare quello anche in un musical o in teatro sarebbe stato troppo. Poi all’epoca non era tanto chiaro il testo, non si capiva che ruolo avrebbe avuto Beppe. Alla fine hanno optato giustamente per Andrea Sannino per quel ruolo e tutto girava intorno a lui e Rosa.
Dica la verità non se la sentiva di passare da Cecchi e Servillo a Siani?
Era un tipo un doppio salto carpiato? Vabbè ma Cecchi e Servillo non fanno musical quindi non è stato per essere snob. Certo non mi sarebbero venuti a vedere, questo è indubbio. Certo è che vengo da un teatro classico, però canto, so cantare, quindi ero perfetto. Sarà per il prossimo musical.
Teatro, cinema e televisione, qual è la cosa che ad oggi soddisfa Vincenzo Ferrera maggiormente da un punto di vista professionale?
Assolutamente il teatro. Per me fare l’attore è soprattutto fare teatro, portare un personaggio per un’ora e mezza dall’inizio alla fine senza fermarsi. Non vedo l’ora di tornarci, ma spero di non portarmi sfiga da solo dicendo questo, che spesso uno torna al teatro quando in televisione e al cinema non lavora più. Spero di tornarci in maniera gloriosa, mi manca tantissimo la tournée. Sono un attore da tournée. Mi muovo con il mio trolley, il profumo del palco, quei cinque minuti prima del chi è di scena, il rapporto col pubblico. Questa riunione di persone viventi che è una cosa che mi manca tantissimo e che non trovi sul set.
E’ stato confermato per la quinta stagione, la storia con Sofia (Lucrezia Guidone) si evolverà?
Si dovrebbe evolvere, non so cosa stanno scrivendo, non credo che siano ben chiare le idee adesso, però si, la storia con Lucrezia dovrebbe evolversi.
C’è un no che le ha fatto male?
Credo di esserci rimasto male fino ai 28 anni. Ne ho avuti talmente tanti che ormai sono diventati ricordi perchè mi sono detto ma che me ne frega. Siamo sotto giudizio fino a 90 anni, chissà quante volte ancora ci rimarrò male.
Me ne dica qualcuno.
Avevo voglia di lavorare con Tornatore, per Baaria, e ci tenevo tanto a fare un provino ma non mi fecero fare neanche quello. Ci lavorarono un sacco di amici e allora ci rimasi molto male perché ho detto non mi danno la possibilità di fare un provino. Lui è uno dei maestri con cui vorrei lavorare.
Altri registi con cui le piacerebbe lavorare?
Con Paolo Sorrentino, pur avendolo conosciuto quando lavoravo con Servillo e lui era veramente alle prime armi. Portava i primi progetti della sua carriera a Toni. Adesso è diventato imprendibile.
Invece il sì di cui vai più fiero?
Mare fuori, e il teatro con Servillo. perché da palermitano, poter lavorare con loro in compagnia è stata una soddisfazione straordinaria.
I suoi concittadini, questo suo essere popolare grazie a personaggi napoletani come la vedono?
Ma io sono un outsider. I colleghi del teatro palermitano mi vedono come un napoletano, non ricordano che io sia palermitano perché lavoro poco a Palermo.
Che cosa sta facendo Vincenzo Ferrera in questo momento?
Sto girando un film per il cinema sulla storia di questa cantante popolare che era Rosa Balistreri, a cui noi siciliani siamo molto legati. Il regista è un giovane regista, Paolo Licata, famoso per un film che si chiamava Picciridda, che era andato molto bene. Poi sempre con Carmine Elia, una serie che si chiama Belcanto, sul canto lirico durante i moti del 48. Faccio un professore di musica amico di Giuseppe Verdi. Una miniserie per Raiuno con protagonista Vittoria Puccini e alcuni colleghi di Mare Fuori.
Fedele a mamma Rai.
Io sono ormai un figlio della Rai. A me Netflix non mi chiama.
Guardi che molti Mare Fuori l’hanno scoperta su Netflix.
Li ho fregati (ride, ndr), perché in ogni caso ci sono arrivato lo stesso entrando dalla finestra.
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