Paolo Del Brocco a THR Roma: comprendere il mercato non vuol dire tarpare le ali agli autori

La replica dell'amministratore delegato di Rai Cinema in seguito al suo intervento al Bellaria Film Festival e alla polemica che ne è nata: "Non si deve escludere la possibilità di provare a cimentarsi anche su storie scritte da altri, sul cinema di genere, o su un cinema di narrazione. Semplicemente si può fare 'palestra' in tanti modi senza per questo sentirsi sminuiti: ecco il senso del mio appello ai registi"

Gentile Direttore,

mi trovo costretto a scriverti in merito alla ricostruzione giornalistica dell’incontro avvenuto sabato 11 maggio a Bellaria nel corso del Film Festival. Sono costretto perché, avendo letto l’articolo da voi pubblicato in data 12 maggio, molte persone mi hanno chiamato preoccupate per la mia salute mentale (!!!). La domanda più ricorrente è stata: ma come fai a dire queste cose quando i comportamenti tuoi e della società che dirigi sono stati, e ancora sono, totalmente di segno opposto visto che Rai Cinema è uno dei principali motori del cinema d’autore e del cinema giovane?

Quindi meglio fare chiarezza e spiegare i concetti espressi visto che evidentemente il tono, forse troppo colloquiale che avevo scelto, preferendolo ad uno più istituzionale/burocratico, non è stato compreso o probabilmente non si è voluto comprenderlo, preferendo estrarre alcune frasi dette qua e là da un contesto più complesso attribuendo loro un valore universale e apodittico, costruendoci addirittura i titoli. E di questo sono sinceramente dispiaciuto e anche un po’ amareggiato.

La sintesi giornalistica non giustifica stravolgere il senso di un dialogo durato più di un’ora.

Paolo Del Brocco, Chiara Sbarigia e Marco Cucco al Bellaria Film Festival 2024

Paolo Del Brocco, Chiara Sbarigia e Marco Cucco al Bellaria Film Festival 2024

Ma andiamo per ordine. Ho accettato, nonostante i numerosi impegni di questo periodo, di andare a Bellaria credendo fosse utile offrire un punto di vista a giovani interessati a capire le dinamiche della nostra industria del cinema, visto il tema del panel “Italia oggi: Quali scenari per il cinema italiano del futuro?”

In un intervento dal tono piuttosto informale, che si è svolto in una piazza alla presenza di molti ragazzi, ho fatto un’analisi della situazione attuale del mercato cinematografico che poggiava su alcune riflessioni dettate dalla mia esperienza professionale e dal ruolo che ricopro. Nel corso del ragionamento ho sottolineato un punto in particolare: il mercato oggi non riesce più ad assorbire molti dei film che vengono prodotti e dunque è necessaria un’attenta e puntuale riflessione. Si tratta di un problema sia quantitativo che qualitativo.

In questo contesto ho fatto l’esempio dei registi esordienti ai quali mi sono sentito di rivolgere il consiglio di impegnarsi su vari fronti, non di dedicarsi ad un cinema di profitto come qualcuno sta dicendo, ma semplicemente di non escludere la possibilità di provare a cimentarsi anche su storie scritte da altri, sul cinema di genere, o su un cinema di narrazione. Semplicemente si può fare “palestra” in tanti modi senza per questo sentirsi sminuiti. Tutto qui.

In generale, la riflessione principale che emergeva chiaramente dal mio intervento riguardava la necessità di trovare un equilibrio (non solo per i giovani e/o aspiranti registi) tra visione autoriale e dimensione industriale, tra prospettiva personale ed il gusto del pubblico. Occorre a mio avviso rifocalizzare la finalità della narrazione verso storie che possano anche incontrare il pubblico della sala, che, per chi si appresta a fare cinema, non può essere considerato un elemento “accessorio”.

Non significa in nessun modo tarpare le ali all’autorialità e non deve essere vissuto come un elemento offensivo. Credo che un film diventi cinema ed esperienza cinematografica quando viene effettivamente visto, quando incontra un pubblico piccolo o grande che sia. Nel rispetto dei diversi pubblici del cinema. Il mio discorso era volto quindi a sottolineare in maniera pragmatica l’importanza dell’accessibilità delle opere in un momento in cui il mercato sala e piattaforma faticano moltissimo ad assorbire un certo tipo di lavori. Quando essere o voler essere autori diventa “manierismo” si va contro il vero cinema d’autore. Questo voleva essere un suggerimento, detto forse usando una terminologia impropria, a chi si appresta ad intraprendere una carriera nel cinema.

Il dispiacere però nasce dal fatto che nell’articolo vengono estrapolate delle frasi da me pronunciate in momenti differenti che sono state riprese strumentalmente, titolando per di più il servizio in modo malizioso, stravolgendo così il senso del discorso. Per esempio: “Il cinema deve abbandonare velleità autoriali” oppure “Il cinema d’autore non ha più pubblico”. Ieri ho letto un altro intervento riportato dal vostro giornale da parte della direttrice del Festival di Bellaria che dice: “…vorrei partire dalle parole estremamente dure di Paolo Del Brocco che ha detto che bisogna fare i ‘mestieranti’, perché è questo di cui l’Italia ha bisogno, non di sguardi di autori…”. Mai espresso un concetto del genere e qui sembra di stare su Scherzi a parte.

Ma come può essere possibile che il responsabile di Rai Cinema, a capo di un’azienda che ha finanziato, non per obbligo ma per scelta editoriale, solo negli ultimi 5 anni ben 117 opere prime, 66 opere seconde, e che ha coprodotto e continua a coprodurre centinaia di film d’autore, possa esprimere un concetto di questo tipo se non all’interno di un ragionamento molto più articolato?

Una società che ha fatto emergere tra i tanti talenti Alice Rohrwacher, i fratelli D’Innocenzo, Susanna Nicchiarelli, Jonas Carpignano, Roberto De Paolis, Laura Bispuri, Pietro Marcello e, più recentemente, Carlo Sironi, Laura Samani, Federica Di Giacomo, Maura Delpero, Alessio Rigo De Righi e Matteo Zoppis, Giulia Steigerwalt, Chiara Bellosi, Adele Tulli, Margherita Vicario, o prodotto i documentari di Gianfranco Rosi, Roberto Minervini, Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, Stefano Savona, Alessandro Cassigoli e Casey Kauffman, Yuri Ancarani, non può essere accomunata ad un titolo come: “Le velleità autoriali ammazzano l’industria”. Non è credibile.

Forse, caro direttore, era il caso di approfondire e dare maggiore spessore ad un ragionamento articolato e portato avanti durante un colloquio lungo un’ora, ben conoscendo la storia dell’azienda che dirigo, anche grazie alle decine di interviste fatte dove ho sempre difeso i tantissimi film di giovani dicendo che “dalla quantità nasce la qualità e che se non si investisse sui nuovi talenti non ci sarebbero gli autori del futuro”. Penso che sarebbe stato più opportuno cercare di comprendere meglio il senso complessivo del mio intervento.

Per concludere, data la storia dell’azienda che guido, pensavo fosse impossibile distorcere o mal interpretare il senso di ciò che stavo dicendo al di là delle singole frasi riportate fuori contesto. Frasi che non solo non rappresentano il mio modo di pensare, ma che non possono assolutamente definire la mia visione sul cinema e l’impegno con cui la società che dirigo ha operato all’interno dell’industria.

Rappresentiamo da anni la casa degli autori, dai più giovani ai meno giovani, e abbiamo sempre incoraggiato e seguito la nascita e la crescita di gran parte dei nuovi talenti. Il nostro lavoro sta lì a dimostrarlo e proseguirà sulla stessa linea con la speranza che anche chi racconta il mondo del cinema lo ami abbastanza per evitare inutili polemiche e improprie polarizzazioni.

Il cinema è di tutti quelli che partecipano alla sua creazione, di quelli che lo raccontano e anche di tutti quelli che lo guardano.

Spero con questa mia di aver chiarito a tutti, a partire dai vostri lettori, il reale senso del mio intervento a Bellaria.

*Paolo Del Brocco, amministratore delegato di Rai Cinema

 

La risposta del direttore di THR Roma a Paolo Del Brocco

“Mi sembra evidente, da questa lettera, come Valeria Verbaro (che ha la mia piena fiducia e che ha registrato l’intero convegno) abbia riportato fedelmente parole e pensieri del convegno e che la malizia sia più in chi legge che in chi scrive. Faccio l’esempio della parola “mestieranti”, mai scritta dalla giornalista che anzi ha espresso il concetto con compiutezza in una frase chiarissima – “i registi per continuare devono diventare più contemporanei, aderire a una realtà diversa” – ma riportata, in un secondo articolo, come pronunciata dalla direttrice artistica del festival ospitante.

Segnalo inoltre che il giornalismo, non essendo pedissequa e compiacente restituzione in tempo reale di quanto avvenuto, necessita di sintesi. Sintesi che, come è evidente dal dibattito del giorno successivo ospitato sempre dal Bellaria International Film Festival, è stata la stessa attuata anche da un’organizzatrice culturale di grande esperienza e da quattro cineasti di talento e di ottima intelligenza.

Detto questo, siamo ben felici di essere un terreno di dibattito e chiarimento su temi così importanti e rimarremo sempre a disposizione per essere sede di costruzione e confronto e riflessione su di essi”.  B.S.