Ahsoka, la recensione: la nuova serie di Star Wars con Rosario Dawson è l’anti-Andor

L'attrice, affiancata da Natasha Liu Bordizzo, Mary Elizabeth Winstead e il compianto Ray Stevenson, recita nei panni dell'ex Jedi nello show disponibile su Disney+

In Ahsoka, la serie disponibile su Disney+, navi sfrecciano nello spazio, attraccano su pianeti alieni con una strana assenza di peso, come se potessero parcheggiarsi sui vostri piedi senza che ve ne accorgeste. Si tratta forse di una sfortunata restrizione del budget per gli effetti speciali della serie? Uno sforzo deliberato per imitare l’estetica delle origini animate dello show? Una metafora inconscia per un titolo che, almeno in due dei suoi otto episodi, soffre troppo spesso di una certa mancanza di gravità drammatica?

Questo non vuol dire che Ahsoka sia del tutto priva di peso emotivo, ma per poterla apprezzare appieno, bisogna avere familiarità con lo show che la precede. Star Wars Rebels, andato in onda dal 2014 al 2018 su Disney XD. Gli spettatori che non hanno visto Star Wars Rebels o The Clone Wars, o una qualsiasi delle storie con protagonista Ahsoka Tano antecedenti alla sua prima apparizione in live-action interpretata da Rosario Dawson in The Mandalorian e The Book of Boba Fett, non saranno confusi. Lo showrunner, Dave Filoni, soprattutto durante la prima puntata, ha fornito un numero sufficiente di informazioni per soddisfare chiunque abbia una vaga curiosità.

Per gli spettatori che non hanno sperimentato queste vicende nei loro contesti originali, sarà difficile impegnarsi a fondo in una serie in cui il più grande antagonista (il nefasto Grand’Ammiraglio Thrawn), la figura di ispirazione più importante (l’eroico Ezra Bridger) e personaggio principale della mitologia di quell’universo(Anakin Skywalker) sono inizialmente semplici spunti di conversazione.

Di cosa parla Ahsoka?

Se si dovesse dire di cosa parla Ahsoka, su un piano tematico più ampio, si potrebbe dire che quando non si affrontano completamente i rimpianti e i traumi del proprio passato, non si può forgiare un nuovo futuro. Ma se sentiamo solo parlare di questo passato, lo si deruba della sua capacità di comunicare emozioni. Se si toglie la ricchezza delle narrazioni che si sviluppano nell’arco di decine di episodi, ci si ritrova con una serie principalmente insipida, anche se ricca di personaggi potenzialmente interessanti, e con un’eccezionale interpretazione del compianto Ray Stevenson, la cui presenza carismatica è commovente.

Stevenson viene introdotto per la prima volta nella serie nel ruolo di Baylan Skoll, un misterioso mercenario che organizza un’audace evasione dalla prigione con l’aiuto del suo cupo apprendista (Shin Hati interpretato da Ivanna Sakhno). Baylan insiste sul fatto che non sono Jedi, ma che brandiscono spade laser e che lui è in grado di fare cose Jedi con la mente. Il loro obiettivo? Morgan Elsbeth (Diana Lee Inosanto), che passa tutto il tempo a parlare di far tornare il Grand’Ammiraglio Thrawn dall’esilio, presumibilmente per aiutare l’Impero a colpire di nuovo.

Nel frattempo, Ahsoka (Dawson), l’ex Jedi che ha studiato sotto Anakin Skywalker, si trova su un pianeta desertico in rovina a fare l’Indiana Jones alla ricerca di una specie di macchinario nascosto. Il gadget in questione è una sfera scintillante che, a quanto pare, è una mappa del luogo dell’esilio di Thrawn, o lo sarebbe se Ahsoka riuscisse ad attivarla. L’amica di Ahsoka, la verdissima Generale Hera Syndulla (Mary Elizabeth Winstead), suggerisce che la chiave per sbloccare la mappa potrebbe essere Sabine Wren (Natasha Liu Bordizzo), che un tempo era l’apprendista di Ahsoka. La serie è molto incentrata sulla figura del mentore, soprattutto se imperfetto, prima che si verifichi un qualche tipo di allontanamento basato sulla testardaggine.

Ben presto, tutti si mettono alla ricerca della mappa e convergono su Sabine, che si è lasciata alle spalle il suo passato di aspirante Jedi e di Mandaloriana per starsene in isolamento con il suo adorabile gatto bianco Loth (peluche disponibile nei negozi a Natale).

È in gioco niente meno che il destino della galassia.

“Non tutto deve essere Andor”

Un mantra che bisogna ripetersi mentre si guarda Ahsoka è: “Non tutto dev’essere Andor” e, in quanto a etica, Ahsoka non è proprio l’anti-Andor. Ma ci si avvicina molto. Andor era tutto gravità. Quando le astronavi in CGI si muovevano nell’atmosfera, si potevano sentire interi pianeti tremare al loro passaggio. Era un mondo saturo di violenza pre-fascista, tanto che non c’era spazio per molti elementi fondamentali di Star Wars. Le schermaglie erano sanguinose, viscerali e caotiche. Non c’erano creature carine e l’unico robot presente era profondamente triste. C’erano degli easter egg, ma si aveva la sensazione che, notandoli, si facesse un grande disservizio alla critica marxista di fondo.

Se Andor era un whisky complesso, invecchiato fino a raggiungere la massima affumicatura in un barile su misura, Ahsoka è un seltz duro, fruttato e frizzante. Tutto sembra un riferimento, e se non capite perché la telecamera si sofferma su un personaggio di sfondo, un disegno o un pezzo di tecnologia, sicuramente un fan più accanito lo capirà. Il gatto Loth è solo la più importante tra le miriadi di creature adorabili dello show, anche se probabilmente è l’unica a far esultare gli spettatori per ogni fusa o rantolo. L’unico concorrente del felino per lo spazio sugli scaffali dei negozi di giocattoli sarà probabilmente il fidato droide Chopper del Generale Syndulla, le cui braccia gesticolanti e il cui linguaggio fatto di fischi e di bip può essere facilmente tradotto come “Comprate il mio Funko Pop”. Meno divertente è stata la spalla robotica eccessivamente cauta di Ahsoka, doppiata da David Tennant, anche se negli episodi iniziali riesce a strappare belle risate.

Gran parte di Ahsoka è così spudoratamente adattata ai bisogni mercificati del pubblico che quando, nel secondo episodio, una scena in un porto di spedizione si trasforma in un futile trattato sull’amoralità del capitalismo, è difficile prenderla sul serio. Ma non tutto dev’essere Andor!

Una serie ricca di azione

Filoni è più impegnato a fornire intrattenimento e immagini immediatamente emblematiche, spesso chiaramente ispirate agli antecedenti animati dello show. Ahsoka è piena di azione. Quando non è piena di spiegazioni, ma è il tipo di azione che è meglio apprezzare per istantanee piuttosto che in modo cumulativo. Ci sono diverse scene in cui Ahsoka o Sabine affrontano più droidi contemporaneamente, e la coreografia o il flusso delle battaglie sono difficili da ricordare. Ma Ahsoka in posa con le sue due spade laser o il fruscio del vestito di Sabina mentre si muove sono indelebili.

A parte la piattezza di molti sfondi e ambientazioni virtuali della serie (la computer grafica non aspira nemmeno al realismo), tutto in Ahoska ha l’aspetto giusto, dalla tonalità della pelle di Syndulla agli involucri che avvolgono i lekku di Ahsoka (le protuberanze sulla testa che caratterizzano la specie Togruta) a ognuna delle vesti vaporose. Complimenti anche ai costumi di Shawna Trpcic e a Maria Sandoval, Cristina Waltz e Alexei Dmitriew del team di parrucchieri e truccatori.

Naturalmente, “il look giusto” arriva solo fino a un certo punto, ed è frustrante quanto Filoni e compagnia abbiano puntato, per tre serie, sulla perfezione con cui Dawson incarna il look di Ahsoka, senza darle nulla da fare. Non solo Bordizzo ha l’aspetto giusto, ma ha anche un arco narrativo ben definito in soli due episodi, tanto che la serie potrebbe anche chiamarsi Sabine. O forse potrebbe chiamarsi Dov’è Syndulla? perché Winstead impressiona così rapidamente che quando poi passa un lungo periodo solo come ologramma ironicamente divertito, è uno spreco.

Da questi primi due episodi non si può capire molto della recitazione di Sakhno, ma i suoi lineamenti spigolosi e il suo sguardo gelido attirano la telecamera. Inoltre, trae beneficio dal condividere alcune scene con Stevenson, la cui cupa autorità, si capisce subito che Baylan ha abusato così tanto del suo potere da essere stanco, lo rende l’unica figura dello show che sarebbe stata assolutamente in grado di funzionare anche in Andor. La sceneggiatura fa sì che tutti i personaggi che tornano da Rebels vivano nel passato, mentre Baylan e Shin vivono nel presente, rendendo facile tifare per loro, anche se con sfumature tristi nel caso di Stevenson. Non sapremo mai in che direzione Ahsoka avrebbe potuto portare la carriera della star di Rome, ma si parlerà di lui.

C’è la possibilità che quando alcune delle persone di cui tutti continuano a parlare faranno finalmente la loro comparsa in Ahsoka, l’intero show acquisterà l’immediatezza che attualmente manca. Persino Andor, che non tutti gli show di Star Wars devono emulare, è iniziato lentamente, ma non è mai stato insipido.

Traduzione di Pietro Cecioni