Per parlare della prima pellicola di Ishana Night Shamalayn, non possiamo parlare della pellicola di Ishana Night Shamalayn. Figlia del più noto M. Night, che già ha accompagnato sui set di Old e Bussano alla porta, oltre ad aver collaborato alla scrittura e direzione di alcuni episodi della serie di Apple TV+ The Servant, la nepo baby regista e sceneggiatrice – perché è davvero difficile così non appellarla – non solo segue le orme del papà nei lavori dell’autore, ma anche per il suo debutto al lungometraggio. Lo fa scegliendo prima di tutto il genere prediletto dal genitore: l’horror. E soprattutto costruendo il suo The Watchers – Loro ti guardano esattamente come avrebbe fatto il creatore di Unbreakable e Sign: incentrando il racconto su un plot twist che dà poi il senso all’intera storia.
Ma con l’esordio della giovane Shamalayn, classe 2000, diventa ancora più difficile circumnavigare il tema portante dell’opera, senza andarlo mai a sfiorare.
Ciò che ci spinge a cercare di evitarlo è il senso di responsabilità verso i possibili spettatori che, seduti nella sala cinematografica, aspettano di scoprire se la regista è altrettanto capace di sconvolgere le loro percezioni così come sanno fare le trovare narrative del padre. Dall’altra il desiderio, per un’analisi del film approfondita, di andare a toccare lì dove il folklore tirato in ballo diventa parte integrante della storia di The Watchers, andandone a ri-scoprire aneddoti, favole e mitologie. Per venire incontro a queste due esigenze, ci limiteremo a prendere una scena emblematica del film, ovvero quando Dakota Fanning si ritrova di fronte alla sua stessa immagine, diventando il doppio di se stessa.
Il Covo nel bosco
Mina (Fanning), giovane con un indicibile trauma alle spalle, si ritrova in mezzo ad un bosco da cui non può più scappare. Superato il “punto di non ritorno”, dovrà affidarsi ad altri tre prigionieri, che come lei si sono persi tra le alte fronde e che per sopravvivere all’oscurità passano la notte nel Covo – l’equivalente, anche qui, di altri “luoghi” del cinema di Shamalayn Senior, dalla cabina di Bussano alla porta alla vegetazione di The Village.
The Watchers - Loro ti guardano
Cast: Dakora Fanning, Georgina Campbell, Olwen Fouere, Siobhan Hewlett
Regista: Ishana M. Night
Sceneggiatori: Ishana M. Night
Durata: 102 min
Dei rumori, però, si sentono oltre lo specchio della casupola rettangolare. Sono “loro”, gli Osservatori, creature che escono di notte per guardare i loro pupazzi da intrattenimento, per poi ritirarsi e scomparire alle prime ore del giorno.
Mina e gli altri non devono fare altro che stare in piedi ed aspettare. Rimanere di fronte alla superficie riflettente che, però, li rende visibili per chi sta dall’altra parte, e che non fa altro che applaudire e urlare, magari arrabbiarsi quando i loro burattini non performano adeguatamente come dovrebbero. Mai dare le spalle, è una delle regole. Ma soprattutto mai lasciarsi tentare dal voler scoprire chi sono i propri spettatori.
Sebbene da qui The Watchers – Loro ti guardano apra a discorsi ben più contemporanei, legati alla società della performance e mescolando il cinema alto di Leos Carax col suo Holy Motors, in cui al personaggio-attore di Monsieur Oscar veniva detto che le telecamere erano tutte attorno, a quello popolare di Hunger Games dove la foresta diventa palcoscenico per occhi esterni che si divertono e intrattengono guardando i concorrenti nei giochi all’ultimo sangue, la riflessione sul mettersi in mostra e sull’essere l’oggetto dell’attenzione si sgonfia nella seconda parte.
Cambiare la propria pelle
La stessa che, forse ancor più della disamina sulla natura esibizionista dell’essere umano e, dall’altra, del suo istinto voyeurista, è il vero fulcro di interesse per la regista, che apre ad un mondo di tradizioni e culture, che abitano i territori più naturali e incontaminati – importante sottolineare come la storia sia ambientata in un paesino dell’Irlanda.
E così, nella sequenza dello specchio, diventa chiara l’istanza narrativa di The Watchers. Oltre all’idea di “guardarsi”, quindi di mettersi davanti a se stessi per ragionare su che tipo di persona si è e/o si è diventati (“Anche io sono malvagia”, si lancia in un momento di disperazione Mina), il film indaga come ogni svolta nella vita di una persona è indice di un cambiamento.
E come ogni cambiamento significa veder mutare la propria pelle. Mina ha vissuto un evento violento, una morte di cui si ritiene responsabile, e di cui da quindici anni si addossa ogni giorno la colpa, non potendo fare nulla per modificarlo. Non le piace, perciò, essere lei, tant’è che per svagarsi trascorre talvolta le serate in un locale decidendo di travestirsi, di cambiare identità. Basta una parrucca per essere qualcun altro, anche solo per il tempo di una birra.
The Watchers: quanto è difficile essere noi stessi?
Di fronte a chi non può mentire, ovvero uno specchio che riporta esattamente l’immagine così com’è, Mina viene guardata sia da chi è fuori dal Covo, sia da lei stessa. E, forse, non si era mai guardata così. Si avvicina piano all’oggetto. Si appoggia, cercando di sentire cosa c’è al di fuori, ma probabilmente anche al suo interno. Ciò che le viene restituito è limpido e cristallino. Una ragazza ferita, preda dei propri sensi di colpa quanto lo è degli esseri che l’attendono all’esterno del nascondiglio. È la Mina che poteva essere e la Mina che è diventata e, potenzialmente, quella che deve ancora diventare. È doppia perché è divisa, tra un ritratto che non le corrisponde (placido, angelico, fatato) e un turbinio emotivo che sono anni che non le dà pace.
Non a caso Mina ha anche una gemella. Una sorella che non vede mai, di cui evita le telefonate, da cui cerca di stare alla larga. Averla davanti potrebbe significare metterla ogni volta di fronte all’errore che ha compiuto (non a caso il “doppione” è fallato, con una cicatrice a ricordare il danno compiuto). Più si va avanti con The Watchers e più si comprende che gli Osservatori sono la possibilità – o la maledizione – di qualcosa di nuovo, di un ibrido in cui anche le persone sono destinate a trasformarsi. L’aspetto originario che si ha alla nascita (con la sua innocenza) e il mutamento che può fare male, a noi e agli altri, fino a spezzarci le ali.
Riconoscere “l’altro” è anche la maniera in cui ri-conoscere sé, ed è su questa falsariga folkoristica che volteggia l’opera, come la sovrapposizione dell’immagine di Mina allo specchio. Un momento di conciliazione. Il ricordo di un dolore vissuto – o di un torto, per gli Osservatori – che si fonde con un’immagine che può tramutarsi in qualcosa di diverso, di nuovo. La fusione di due realtà, cuore di tutti i personaggi – umani e non – di The Watchers.
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