Sangue, macerie e proiettili: è la Civil War di Alex Garland. Un film spaventoso ed esaltante. Che costringe a guardare dritto dentro l’obiettivo

Ci voleva un inglese per raccontare gli Stati Uniti. Uno sguardo esterno, acuto, lucido, feroce. La pellicola prodotta da A24 meriterebbe più visioni tanta è la potenza e la stratificazione del suo racconto costruito con maestria. Un'opera di grande cinema che parla di politica e della sua assenza, di giornalismo e della necessità di prendere una posizione

“Che tipo di americano sei?”. La risposta a questa domanda può cambiare il corso della tua esistenza se hai un fucile puntato contro negli Stati Uniti raccontati da Alex Garland in Civil War. Un paese diviso e devastato da una guerra civile in un futuro non troppo lontano dal nostro in cui le forze occidentali del Texas e della California e l’alleanza della Florida si stanno avvicinando a Washington DC. È lì che presidente con il volto di Nick Offerman si nasconde tra le mura della Casa Bianca mentre prova e riprova discorsi dal tono sicuro. “La più grande vittoria della storia del genere umano”. Ma la realtà è ben diversa.

Una scena di Civil War di Alex Garland

Una scena di Civil War di Alex Garland

È per questo che la reporter di guerra Lee Miller – chiamata come la prima fotografa ad entrare a Dachau (Kirsten Dunst), il suo anziano mentore Sammy (Stephen McKinley Henderson) e il giornalista Joel (Wagner Moura, l’ex Pablo Escobar di Narcos) sono diretti nella capitale degli Stati Uniti. Vogliono immortalare l’atto finale della guerra e di un uomo che avrebbe dovuto unire invece che dividere il Paese chiamato a guidare.

A loro si accoda Jessie (Cailee Spaeny, Coppa Volpi a Venezia 80 per Priscilla che conferma la sua bravura), giovane fotografa inesperta di vita e di scatti ma determinata a seguire le orme della sua eroina Lee. Ecco allora che il click della macchina fotografica e quello dei proiettili esplosi a migliaia tra le strade americane finisce per confondersi. Un’arma per testimoniare e una per uccidere.

Una visione anticipatrice

Accompagnato da polemiche e grandi aspettative, Civil War – la produzione più costosa di A24 con un budget da 50 milioni di dollari – è un film clamoroso. Alex Garland dopo aver anticipato i dibattiti sull’intelligenza artificiale in Ex Machina, ora anticipa il collasso “della più grande democrazia del mondo”. Lo fa nell’anno delle presidenziali, del ritorno di Donald Trump e del suo slogan Make America Great Again, dei licenziamenti di massa delle grandi aziende in crisi, dei saccheggi, delle dispute mai sopite sul dilagare delle armi da fuoco, delle guerre nel cuore dell’Europa e del genocidio del popolo palestinese a Gaza.

Un film – in sala dal 18 aprile con Leone Film Group in collaborazione con Rai Cinema – scritto nel 2020, prima ancora dell’assalto – l’anno successivo – a Capitol Hill messo in atto da un nutrito gruppo di sostenitori del tycoon repubblicano che hanno risposto alla sua chiamata all’insurrezione dopo la sconfitta contro Joe Biden.

Una scena di Civil War di Alex Garland

Una scena di Civil War di Alex Garland

Civil War e lo sguardo lucido di Alex Garland

Ci voleva un inglese per raccontare gli Stati Uniti. Uno sguardo esterno, acuto, lucido, feroce. Civil War non spiega i retroscena, non si sofferma sui dettagli che hanno portato al collasso. Eppure tutto è chiaro in chi guarda. Manca il contesto generale, ma quei “vuoti” siamo noi spettatori a sapere come riempirli. Quelle immagini, quelle dinamiche le conosciamo. Ne siamo ormai assuefatti – anche grazie a tanto altro cinema non altrettanto potente – al punto da scorrerci sotto gli occhi distrattamente tra un reel di un gattino e la foto di un tramonto.

È qui che Garland ci vuole condurre. Scegliendo come protagonisti un gruppo di giornalisti che, con imparzialità e distacco, dovrebbero raccontare al mondo ciò che vedono, Civil War suggerisce che forse è arrivato il momento di farsi delle domande, di porsi dei dubbi, di prendere una posizione. Non si può più “tenersene fuori”. Nel loro viaggio in macchina per le strade di un paese sventrato, Lee, Sammy, Joel e Jessie si imbattono in corpi appesi, fosse comuni, omicidi a sangue freddo, esplosioni. Attraversano un inferno fatto di alberi che bruciano nel buio della notte e si riscoprono vivi in mezzo alla morte.

Un film che lascia attoniti ed esalta

Un gruppo di attori eccezionali su cui spicca Kirsten Dunst. La sua Lee è donna impassibile pronta a premere il “grilletto” della macchina fotografica in qualsiasi circostanza. Dove c’è violenza e dolore, lei vede uno “scatto bellissimo”. Ma quella sicurezza, quella freddezza, quella lucidità lasciano spazio al panico, all’emozione, all’empatia. Alla responsabilità, sua come nostra, di non restare indifferenti.

Cailee Spaeny in una scena di Civil War

Cailee Spaeny in una scena di Civil War

Civil War meriterebbe più visioni tanta è la potenza e la stratificazione del suo racconto. Un film spaventoso che lascia attoniti per ciò che mostra ed esalta per la maestria con cui è costruito. Dall’incredibile lavoro sul suono (accompagnato da una colonna sonora spiazzante che intreccia rap, rock e blues) alla solida regia (con una lunga sequenza d’azione immersiva) passando per la tensione e l’inquietudine abilmente smorzate da momenti di umanità.

Il miglior film di Alex Garland che, dopo il passo falso del finale di Men, torna con un’opera di grande cinema. E una previsione catastrofica di ciò che ci aspetta. Un mondo guidato da uomini mediocri, piccoli moralmente, deboli che non sanno cosa significhi davvero fare politica. Ma questo lo sapevamo già. Quello che Civil War cerca di dirci, tra sangue, macerie, cecchini e razzi, è di non voltare lo sguardo altrove. Ma di guardare dritto dentro l’obiettivo. Click.