The Gentlemen: l’alta società inglese e i gangster sono uguali. E Guy Ritchie li racconta bene

La serie firmata dal regista britannico di Lock&Stock - Pazzi scatenati e The Snatch - Lo strappo, torna per raccontare il mondo dell'aristocrazia britannica in declino, e che è disposta a tutto per mantenere lo status quo

Sono tutti dei gentlemen i personaggi di Guy Ritchie, che nella serie televisiva approdata la scorsa settimana su Netflix porta tutto il suo stile “gangster” originale, ma con una veste e un retrogusto decisamente diverso. The Gentleman, spin-off dell’omonimo film del 2019 con Matthew McConaughey e Colin Farrell uscito su Prime Video, vede come protagonisti Theo James, Kaya Scodelario e Giancarlo Esposito, in un thriller d’azione in salsa comica leggero e di grande intrattenimento.

C’è però qualcosa di strano, ma non in senso negativo. È una sensazione che – conoscendo il regista – fatica ad abbandonare la testa nel corso degli otto episodi. Questa nuova forma di Guy Ritchie funziona, il regista britannico ha scritto e diretto il film, mentre nella serie ha firmato la regia dei primi due episodi e supervisionato, come si dice, tutta la “baracca” nel ruolo di produttore esecutivo.

Il curriculum dell’autore di Hatfield parla chiaro: da RocknRolla a Lock & Stock – Pazzi scatenati, passando per The Snatch – Lo strappo, ha sempre raccontato le assurde parabole dei gangster britannici, dai più dilettanti ai più letali. In The Gentlemen il tratto risulta però più aristocratico, curato e pulito. Una fotografia molto alla Netflix, contrariamente alle scene più grezze, “sporche” e fredde dei suoi precedenti lavori.

Il marchio Guy Ritchie

I suoi archetipi e il suo stile narrativo, però, ci sono tutti. Anche alcuni dei suoi attori-feticcio tornano in questa esperienza seriale. Vinnie Jones è uno di questi, interpretando un leale guardiacaccia con il quale è difficile non empatizzare. E poi le sottotrame – come da marchio di fabbrica – si intrecciano in un groviglio di cavi fino a esplodere, lasciando il pubblico confuso e divertito, in attesa del prossimo colpo di scena, che arriva proprio poco dopo il precedente.

Anche la comicità, sostanzialmente, è rimasta le stessa, tra i fondamentalisti religiosi con l’incomprensibile accento di Liverpool, agli itineranti, arrivando agli incontri di boxe truccati, a sciroccati allibratori e a soci in affari di dubbia credibilità. Il tutto condito con zoom, rallenty e montaggi ritmati.

Ma è tutto più calmo, meno dinamico rispetto al Guy Ritchie di qualche tempo fa. È tutto più “posh”, come spesso dicono gli stessi personaggi nel corso della serie, dove il nuovo Duca di Halstead Edward Horniman scopre che suo padre faceva affari con un grosso cartello della marijuana, con il quale è costretto a collaborare se vuole che questi lascino la sua proprietà, sotto la quale hanno costruito un complesso sistema di piantagioni.

In questa commedia d’azione (dell’assurdo), Ritchie racconta l’aristocrazia inglese con immagini – appunto – aristocratiche, ma senza indorare la pillola, anzi mettendo gli spettatori nella lente giusta a fotografare quanto la stessa nobiltà inglese sia composta – alla pari degli scapestrati che provano a sbarcare il lunario – da veri e propri gangster pronti a tutto per mantenere lo status quo.

Daniel Ings in una scena di The Gentlemen

Daniel Ings in una scena di The Gentlemen

The Gentlemen, un cast incredibile

James (Divergent, The White Lotus) si muove sorprendentemente bene nei panni del nuovo Duca, sporcandosi le mani nel mondo criminale appena scoperto, ma conservando la puzza sotto il naso. Scodelario (Skins, Maze Runner) invece riesce perfettamente a incarnare la stoica donna d’affari del cartello Susie Glass, che gestisce l’impero della droga del padre con fredda pragmaticità.

Giancarlo Esposito interpreta il potente nobile – anche ricco di charme – Stanley Johnston (con la “t”, come spesso ribadiscono pronunciano il suo nome) disposto a tutto pur di acquistare la tenuta di famiglia degli Halstead. Un intreccio, quello di The Gentlemen, ben scritto e messo in scena. Scorre che è un piacere ed è un ottimo punto di inizio per scoprire lo stile di Ritchie, risultando più impomatato e pacato, meno virtuoso e – soprattutto – più puntuale sulla fotografia di una nobiltà in rovina, che raderebbe al suolo l’intero paese pur di conservare un briciolo di rilevanza.

E vedendo come crolla il castello di carte nel corso delle puntate, come l’azione segue questa stravagante e appassionante escalation in cui volano proiettili e parole forti (da gentiluomini), non si può che rimanere affascinati. E come diceva alla dogana il “cugino Avi” in The Snatch – Lo strappo, interpretato da Dennis Farina, quando gli chiedono se ha qualcosa da dichiarare: “Sì, non andate in Inghilterra”.