Duemilanove. Su MTV, nel decennio in cui il canale era (ancora) un contenitore di programmi eterogenei che sapevano raccontare il nostro Paese nelle sue sfaccettature, da Avere vent’anni a In Italia, fa il suo esordio I soliti idioti. Una striscia comica quotidiana ideata da Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio che, rifacendosi un po’ alla commedia all’italiana e a un programma cattivissimo (e irresistibile) come l’inglese Little Britain, si prende gioco, a suon di stereotipi e satira, dell’italiano medio.
Un programma anticipatore e apripista. Una serie di brevi sketch comici che conoscono la viralità ben prima di Instagram e TikTok diventando parte dell’immaginario (e vocabolario) collettivo al suo di “Gianlucaaaa” e “Dai, cazzo!”. Inevitabile quindi il passaggio dal piccolo al grande schermo con tre film – I soliti idioti – Il film (2011), I soliti idioti (2012) e La solita commedia – Inferno (2015). Ma se i primi due incassano quasi 20 milioni di euro, il terzo è un flop che non arriva al milione. Dieci anni e pace fatta tra Biggio e Mandelli dopo ecco che la coppia torna con un nuovo film, I soliti idioti – Il ritorno.
I soliti idioti 3 e maschere senza tempo
Ruggero De Ceglie e il figlio Gianluca, gli(im)moralisti Giampietro e Marialuce, gli zarri della Barona milanese Patrick e Alexio, la postina Gisella, la coppia di omosessuali, Fabio e Fabio. Le maschere ci sono tutte e non sono minimamente invecchiate. Un po’ perché l’Italia e il mondo, nonostante tanto sia cambiato in questi dieci anni, nel profondo sono rimati gli stessi. Anzi, sono solo peggiorati. E un po’ perché i personaggi nati dalla mente di Biggio e Mandelli sono senza tempo. Delle tele sulle quali poter proiettare, di volta in volta, qualsiasi bruttura, difetto, vizio o debolezza.
Con I soliti idioti 3 riprendono i loro personaggi e li immergono nella contemporaneità. A fare da sfondo alle loro storie l’unica città possibile: Milano. La più europea e moderna ma, allo stesso tempo, anche la più provinciale. Dentro c’è tutto quello che contraddistingue il nostro presente: la crisi climatica e le case ecosostenibili di un futuro che è già qui, l’intelligenza artificiale (con un omaggio a Her di Spike Jones) e la tv dei people show e dei quiz, la fluidità e i gratta e vinci, l’aggressività immotivata e il bisogno di sentirsi accettati dalla società che conta.
Una struttura narrativa troppo esile
Il filo conduttore che collega i vari segmenti è la famiglia, tra il complesso rapporto padre e figlio di Ruggero e Gianluca alla voglia di maternità di Marialuce passando per gli zarri Patrick e Alexio alle prese con una paternità inaspettata. E sono proprio loro due i personaggi che funzionano di più perché così – tristemente – reali nel saper cristallizzare una gioventù di periferia fatta di sigarette elettroniche, sessismo, calcio e giornate passate al bar.
Ma I soliti idioti 3 ha una struttura narrativa troppo esile. Un’ora e trenta di sketch ininterrotti che, già a metà della sua durata, finisce per ripiegarsi su se stesso e depotenziarne la forza. Non basta una gag più divertente di un’altra. Serve un’idea più forte alla base, delle fondamenta sulle quali costruire un film. Perché l’impressione è quella di assistere ad una giustapposizione di scene comiche. E così, quello spirito anticipatore che aveva contraddistinto il duo e i loro personaggi, finisce per lasciare posto a un retrogusto stantio. Menzione d’onore a Giordano De Plano, attore capace di illuminare la scena qualsiasi ruolo interpreti.
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