Transatlantic, la recensione: troppo frettoloso e superficiale per essere la nuova Casablanca

Su Netflix la nuova miniserie di Anna Winger, co-creatrice di 'Unorthodox', racconta dell'eroica impresa di Varian Fry e Mary Jayne Gold, che portarono in salvo artisti e intellettuali europei durante l'Olocausto

Transatlantic, la serie Netflix, è il rovescio della medaglia di Agent Elvis, serie animata – sulla stessa piattaforma – con un inedito Elvis agente di spionaggio. Con Agent Elvis è andata così: irretisce lo spettatore con una premessa sciocca, battute politicamente scorrette e un adorabile scimpanzé che si masturba (assolutamente accurato dal punto di vista storico), sperando di catturare lo spettatore e convincerlo a seguire una serie che si addentra nell’esplorazione degli anni ’60 e ’70. In Transatlantic accade il contrario: si spera in una storia spettacolare e inedita sulla cultura europea degli anni ’30 e ’40, e ci si imbatte in battute politicamente scorrette, stranezze surreali e un adorabile cane (molto accurato dal punto di vista storico). Prendetela come volete.

Insomma, se Transatlantic arrivasse su Netflix con la garanzia di approfondire la storia del giornalista Varian Fry, dell’ereditiera Mary Jayne Gold e della casa di Villa Air-Bel, sarebbe caldamente da consigliare. Ma la serie, ideata dalla co-creatrice di Unorthodox Anna Winger e da Daniel Handler, è una spumeggiante storia d’avventura che punta più sul classico romanticismo hollywoodiano che non sul tema controverso dell’Olocausto. È più leggera e divertente di quello che potrebbe far supporre il tema affrontato. Transatlantic accenna solo superficialmente all’argomento – la punta della punta dell’iceberg e forse nemmeno quella – e, anche se dice qualcosa, è evidente che non sia abbastanza.

Transatlantic: una storia ispirata alla verità

La storia di Varian Fry, Mary Jayne Gold e della Villa Air-Bel è poco conosciuta, ma non significa che sia ignota. È stata descritta – più di una nota a pie’ di pagina, ma meno di un capitolo – nell’essenziale documentario della PBS Gli Stati Uniti e l’Olocausto ed è stata oggetto di numerosi libri. Transatlantic utilizza come fonte The Flight Portfolio di Julie Arranger – un romanzo molto accurato,”ispirato a fatti reali”. Quindi una serie “ispirata a” una fonte “ispirata alla” verità. E si vede.

La serie inizia a Marsiglia nel 1940. L’ex giornalista Varian Fry (Cory Michael Smith) lavora nell’Emergency Rescue Committee, un’organizzazione che si occupa di portare scrittori, autori e intellettuali europei fuori dalla Francia prima che il paese cada completamente in mano ai nazisti. Per lo più, Fry lavora all’interno del sistema burocratico, cercando di garantire visti e trasporti legali senza alterare il delicato equilibrio della neutralità americana, rappresentata da Corey Stoll nel ruolo del console Graham Patterson.

Cosa avviene nella serie su Netflix?

A dare una mano c’è Mary Jayne Gold (Gillian Jacobs), un’ereditiera di Chicago che ha deciso di usare il denaro del padre per aiutare i rifugiati come meglio può. Se Fry è determinato a rispettare la legge, Gold e il suo fox terrier Dagobert sono più disposti a corrompere, sedurre e a fare tutto il necessario per riuscire nell’impresa.

Nel corso di sette episodi da circa 50 minuti ciascuno, che non coprono un arco di tempo ben definito, Fry e Gold scoprono di dover cambiare idea su ciò che è necessario fare e su ciò che effettivamente sono in grado di fare. Ad aiutarli interviene un variegato assortimento di personaggi reali e inventati, tra cui il partigiano in fuga Albert (Lucas Englander), il funzionario americano Hiram Bingham (Luke Thompson), la coraggiosa Lisa Fittko (Deleila Piasko), il portiere d’albergo nordafricano Paul (Ralph Amoussou) e Thomas (Amit Rahav), un cittadino britannico che ha un legame con il passato di Fry.

Grazie Thomas, i protagonisti si ritrovano nel castello diroccato di Villa Air-Bel, stazione di sosta per intellettuali in fuga. Transatlantic si alterna tra il desiderio di essere un manuale di resistenza al nazismo e quello di farsi guida al surrealismo, riuscendo meglio nel primo caso e in modo più divertente ed esasperante nel secondo.

Ispirandosi a Casablanca

Casablanca è, è stato e sarà sempre l’apice dei thriller romantici basati sulla fuga da un paese devastato dalla guerra. La sua influenza è visibile nella struttura, nelle caratterizzazioni e nell’arco narrativo agrodolce di Winger e Hendler, più raramente nei dialoghi. Transatlantic privilegia un approccio divertito, tra evasioni, fughe e piccole truffe praticamente ad ogni episodio, nazisti arroganti, collaborazionisti francesi e una schiera di furfanti nobili e nefasti.

Il tutto si svolge a Marsiglia, ripresa più per la sua magnificenza turistica che per rappresentare la cupa atmosfera del tempo. La storia si sviluppa in modo così frettoloso che è a malapena possibile capire quale sia la reale portata dell’operazione, e il contributo di personaggi come Bingham o Miriam Davenport è estremamente marginalizzato.

Uno show superficiale, ma digeribile

Ci sono alcuni momenti godibili con i surrealisti – André Breton, Max Ernst e Hans Bellmer – che si aggirano intorno alla Villa, pronunciando frasi bizzarre e celebrando le festività in modo strano. Sebbene l’influenza del surrealismo sia raramente percepita nella serie, i titoli di coda, realizzati in un bianco e nero sgranato, catturano l’intersezione tra il surrealismo e l’espressionismo tedesco della Germania di Weimar in modo deliziosamente giocoso. Transatlantic avrebbe potuto sfruttare maggiormente questa eccentricità seguendo lo stile della scena d’apertura, in bianco e nero, richiamo all’arte dell’epoca, invece di cercare ad ogni costo l’accessibilità al gusto moderno.

Riuscirà a spingere gli spettatori a incuriosirsi del surrealismo e a scoprire l’importanza del lavoro di Fry e Gold? Transatlantic, ambientata in questo periodo storico e con una simile ambientazione, avrebbe potuto essere una grande serie. Ma non è questo il caso.