Frankenstein è donna, il desiderio un circo surreale: benvenuti nel (nuovo) mondo di Lanthimos

Idee magniloquenti, amplessi e capovolgimenti di ruoli ineluttabili in un incredibile Ottocento retrofuturista. Dopo aver demolito le nostre certezze per anni, il regista greco approda alla Mostra del cinema con Poor Things, un film chiassoso e ostentato. Accolto in Sala Grande da applausi. E da risate

Autori che si trasformano: Yorgos Lanthimos. Che cosa c’entra l’applauditissimo Poor Things (in italiano sarà Povere creature!) con gli altri film del regista greco? Risposta facile. C’è il gusto dell’eccesso e dell’orrore, la critica e la satira sociale portate al punto di incandescenza, la facilità con cui questo blend già di per sé bizzarro vira verso il fantastico o il mitologico. Ma è uno schema che funzionava con i suoi primi film, DogtoothThe Lobster o Il sacrificio del cervo sacro, mentre La favorita già segnava il passaggio verso qualcosa di diverso, anche se la crudeltà dei rapporti umani e soprattutto amorosi restava in primo piano, sostenuta da attori eccellenti e pronti alle prove più estreme (basti pensare alla via crucis che affrontava Olivia Colman proprio ne La favorita).

Rovesciamenti facili facili

In Poor Things ritroviamo Emma Stone e un’attenzione ostentata fino allo sfinimento per il mondo femminile e le violenze a cui sembra condannato. Solo che tutto poggia sulle spalle insieme fragili e sovradimensionate di uno steampunk da 140 minuti sorretto da una serie di rovesciamenti facili facili. Il mostro di Frankenstein non è un uomo ma una donna che non ha più niente di mostruoso come dice già il nome, Bella Baxter (appunto Emma Stone), nata dal corpo di una suicida e dal cervello del figlio che portava in grembo. Mentre il mostro, almeno esteriormente, è il suo creatore Godwin Baxter (Willem Dafoe), chirurgo dal volto deforme e ricucito perché già sottoposto a esperimenti indicibili dal padre medico vittoriano. È Godwin detto God, cioè Dio, che cresce quella deliziosa creatura con l’amore di un padre, anche se un padre molto padrone. Fino a quando la povera Emma esaurite le bizze, le rabbie e gli stupori infantili della prima parte, la più divertente, non diventa adulta a velocità record e va incontro ai mostri veri.

Willem Dafoe in Poor Things di Yorgos Lanthimos

Willem Dafoe in Poor Things di Yorgos Lanthimos

Che sono naturalmente i maschi, primo il seducente Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo) avvocato trombone e sedicente grande amatore, che sottrae l’innocente Bella al promesso sposo fessacchiotto McCandless (Ramy Youssef) per imbarcarla letteralmente in un lungo viaggio di formazione tra Lisbona, Alessandria e Parigi fitto di amplessi, di altri incontri e di insegnamenti, ma anche meccanico, prevedibile e di gusto non sempre sopraffino. Come l’incredibile Ottocento retrofuturista del film, reso da scenografie così brutte e da un uso così insistito del fish-eye che se non lo squalificano per abuso di colpi sotto la cintura magari arriva agli Oscar, come devono fare ormai tutti i film in concorso a Venezia.

Corpi e desideri

La parte più divertente di Poor Things, accolta con risate e applausi come del resto tutto il film in Sala Grande, è il progressivo e ineluttabile capovolgimento di ruoli che si verifica in viaggio. Con Emma Stone sempre più cosciente del proprio corpo, dei propri desideri, della propria dignità, ma anche libera e sfrenata come la bambina che ancora è, dunque capace di demolire la corazza del viveur fino a farne uno schiavo tremante e furibondo. Emma Stone e Mark Ruffalo del resto sono straordinari e le loro scene da sole varrebbero il film, pensiamo su tutte a quella specie di “antologia del ballo nei secoli” riveduta e corretta dalla follia dei personaggi in cui si producono durante una festa.

Ramy Youssef e Emma Stone in Poor Things di di Yorgos Lanthimos

Ramy Youssef e Emma Stone in Poor Things di Yorgos Lanthimos

Purtroppo però a questa prima parte ne segue una seconda pesante, didattica, soprattutto terribilmente scontata in cui la concupitissima e disponibile Bella inizia a prostituirsi un po’ per caso un po’ per gioco e con assoluta innocenza finisce in un bordello a Parigi dove scopre, nell’ordine, le miserie del sesso a pagamento (ma anche i tesori di conoscenza che ne derivano), l’amore con un’altra donna e gli insegnamenti del socialismo. Infine torna a Londra per affrontare il mistero delle proprie origini in un crescendo di idee magniloquenti e scontate rivestite da un femminismo non meno trito ed esteriore.

Poor Things, una celebrazione gastronomica

Che un regista impegnato per anni a demolire le nostre certezze – estetiche, morali, narrative – si sia convertito a questa chiassosa e gastronomica celebrazione dei valori più ovvi e oggi consensuali fa riflettere sul modo in cui oggi i film vengono concepiti e realizzati. Non abbiamo letto il romanzo dello scozzese Alasdair Grey su cui è basata la sceneggiatura di Tony McNamara, già autore de La favorita. Ma il risultato finale è decisamente meno brillante e ancora una volta spropositatamente lungo: 140 minuti. Chissà se dopo Venezia, come si usava una volta, Lanthimos ci rimetterà mano. Scommetteremmo di no.