Alan Friedman: “Il nuovo modo di fare giornalismo come lo intendo io è il documentario”

Il giornalista nonché esperto economico e geopolitico si gode la sua carriera di produttore cinematografico. Tra Lisbona e New York arrivano le anteprime sul biopic su Giovanni Da Verrazzano e il racconto di come (ri)nascono Milano e la grande moda. Poi non rinuncia a dire la sua anche su altro. Come Trump, verso il quale è durissimo. L'intervista di THR Roma

Quella voce inconfondibile, l’ironia, l’arguzia, l’entusiasmo nel raccontare. Alan Friedman è sempre lui, che parli in tv, scriva uno dei suoi saggi o si presenti nell’inusuale veste – per noi, non per lui che percorre questo mondo da decenni – di produttore e autore di documentari. Dopo il cult My Way – The Rise and Fall of Silvio Berlusconi, diretto da Antongiulio Panizzi e cosceneggiato proprio dal giornalista, ecco che cala una coppia d’assi straordinaria.

A Lisbona, al festival del cinema italiano in Portogallo, accompagna Milano: The inside story of Italian Fashion di John Maggio, in cui ha messo tutta la sua competenza e conoscenza in un settore economico e creativo che ha frequentato a lungo; a New York porta invece, per il 500enario dell’arrivo dell’esploratore in quella che sarebbe divenuta la metropoli simbolo dell’Occidente, Giovanni Da Verrazzano: dal Rinascimento a New York City. Nello stesso giorno, in barba a ogni (in realtà solo italica) scaramanzia, il 17 aprile del 2024.

Come produttore esecutivo – grazie alla Beaver Lake Pictures – e sceneggiatore ripercorre la storia moderna e rinascimentale con la stessa curiosità con cui ha saputo appassionarci a economia e geopolitica.

Dentro i suoi film c’è quella verve che l’ha reso un narratore del reale, un’analista e allo stesso tempo intrattenitore unico nel suo genere. E che probabilmente, nel cinema, trova una realizzazione ancora più piena.

Come inizia la sua storia nel cinema?

Ho cominciato a produrre documentari 20 anni fa, avevo una società a Londra, la Diverse, con la quale lavoravo molto con la BBC. L’ho poi venduta nel 2006, ma la passione per questo genere non si è affievolita e l’ho riscoperta tutta, non solo come produttore ma anche e soprattutto come autore, tra il 2015 e 2016 con My Way – The Rise and Fall of Silvio Berlusconi, tuttora, lo dico senza falsa modestia, il documentario definitivo su Silvio Berlusconi.

Per anni è stato su Netflix e Amazon ed è stato un punto di riferimento per il racconto di un uomo che ha colpito l’immaginario di tutti, prima ancora di essere un protagonista della storia recente, italiana ed internazionale.

L’inizio di una nuova grande carriera per lei. Ora ci sono altri due grandi progetti che esordiranno lo stesso tra il 15 e il 17 aprile 2024. In cui lei attraverserà l’Atlantico come uno dei suoi protagonisti

Dopo quell’avventura con l’ex premier, ho avuto la voglia e il desiderio di raccontare un mondo che avevo conosciuto bene, quello della moda delle grandi maison italiane, la Milano che l’ha fatte crescere, i grandi nomi che l’hanno composta: Versace, Gucci, Giorgio Armani.

Nasce così Milano: The inside story of Italian Fashion. Ho assunto un regista americano pluripremiato, John Maggio, e abbiamo cominciato a ripercorrere quegli anni. Il film uscirà in sala in Italia il 27 maggio 2024 – ma l’anteprima assoluta sarà il 15 aprile a Lisbona, alla Festa do Cinema Italiano – e poi lavoreremo perché possa essere distribuito a livello globale.

Neri Marcoré, voce narrante del documentario Giovanni da Verrazzano: dal Rinascimento a New York City

Neri Marcoré, voce narrante del documentario Giovanni da Verrazzano: dal Rinascimento a New York City

Il 17 aprile, in occasione del cinquecentenario del suo arrivo nella baia di quella che sarebbe diventata la Grande Mela, volerò a New York, al Paley Center for Media, perché ci sarà la prima di Giovanni Da Verrazzano – Dal Rinascimento a New York City (con la voce narrante di Neri Marcoré) il racconto di come un uomo del Rinascimento degli inizi del ‘500, scopre davvero l’America. Perché lui ci arriva, volontariamente e non per caso come Cristoforo Colombo, e questo lo rende più importante di quest’ultimo. Con lui le coste atlantiche, la parte più settentrionale diventano una realtà, si porta fino al fiume Hudson che prenderà il nome di chi arriverà decenni e decenni dopo che lui ne aveva persino tracciato la posizione topografica. È il più importante degli esploratori e scopritori delle Americhe.

Il Generale Massimo Panizzi, comandante dell'istituto geografico militare di Firenze indica la rotta di Giovanni da Verrazzano nella sua impresa del 1524

Il Generale Massimo Panizzi, comandante dell’istituto geografico militare di Firenze, indica la rotta di Giovanni da Verrazzano nella sua impresa del 1524

Come produttore esecutivo e coautore ho scelto per la regia Giuseppe Pedersoli, il figlio di Bud Spencer, un genio. Da qui è iniziata una collaborazione che sono sicuro sarà lunga e molto bella.

Anche come autore cinematografico lei non ha perso il fiuto per gli scoop. In quello sulla moda ha voluto mettere un “what if” mica da poco.

In tutti i miei lavori ho cercato e voluto degli scoop. Dentro di me la parte giornalistica è troppo forte.

In quello su Milano e la moda gli scoop sono più evidenti, da Armani che parla del rapporto con il suo partner alla comune volontà di Morgan & Stanley, Santo Versace, Domenico Di Sole e Tom Ford di rimuovere Donatella Versace dai vertici dell’azienda di famiglia per metterci Tom Ford e creare così un’asse Gucci-Versace che probabilmente avrebbe cambiato il destino del settore. Avrebbe potuto magari rimanere centrato, quel mondo, più sugli stilisti, gli artisti e meno sul lato industriale che ha portato alle proprietà multinazionali di tutte le maison più importanti.

Ma ce n’è uno anche in Giovanni Da Verrazzano: se è vero che l’esploratore di Greve in Chianti era stato incaricato dai francesi di riscoprire le America, lo è ancora di più che la missione fu a lui affidata sì dal Re di Francia, ma finanziata da una famiglia di banchieri fiorentini (lo stesso Giovanni Da Verrazzano era braccio destro di Rucellai), quella dei marchesi Gondi.

La grande novità, scoperta grazie all’aiuto dell’archivista dell’Università di Firenze Marco Calafati, è l’aver trovato questo documento del 20 marzo del 1523 in cui si certifica il prestito dei marchesi Gondi al re di Francia per la somma di 700 scudi.

Il marchese Bernardo Gondi, antenato dei banchieri rinascimentali che finanziarono Giovanni da Verrazzano

Il marchese Bernardo Gondi, discendente dei banchieri rinascimentali che finanziarono Giovanni da Verrazzano

Berlusconi, Tom Ford, Giovanni Da Verrazzano. Grandi storie, pionieri more than life, che avrebbero potuto cambiare la Storia con la s maiuscola?

Certo, è interessante guardare dentro queste avventure umane e scoprire come una decisione, un’alleanza, un semplice prestito possono cambiare i destini di un pianeta. Immagina Versace con Tom Ford: magari la crisi per la maison italiana non sarebbe arrivata e ora la sua storia e probabilmente quella della moda sarebbero diverse, forse anche radicalmente.

Per lei il documentario è la naturale evoluzione del giornalismo?

Sì, è proprio così. Io penso che il giornalismo sia anche e probabilmente soprattutto racconto, che alla documentazione, alla ricerca, all’investigazione tu debba unire una capacità di raccontare a tutti ciò che hai scoperto. E così il documentario, negli ultimi anni in cui le immagini sono così importanti, è un modo potentissimo di mostrare queste storie, di dar loro corpo.

Non a caso questa dimensione di narrazione l’ho investigata da autore scegliendo proprio per Giovanni Da Verrazzano anche una parte di drammatizzazione, di messa in scena, con Carlo Pedersoli jr. (figlio di Giuseppe Pedersoli, il regista) il nipote di Bud Spencer (da cui ha preso il nome), ha interpretarlo, vista l’incredibile somiglianza.

Qual è il segreto del grande successo, in sala, nei festival e sulle piattaforme, del genere documentario secondo lei?

Che possono piacere al grande pubblico, a cui porti grandi storie, vere peraltro, con una spettacolarizzazione importante, dovuta ai mezzi tecnici più moderni ma anche a forme di narrazione meno compassate rispetto ai decenni scorsi, dove c’era una visione troppo classica del genere. Ma allo stesso tempo piacciono anche a un vecchio giornalista come me, che ne può fare uno straordinario strumento di lavoro.

Di sicuro è il genere cinematografico che ha saputo evolvere di più, trovare linguaggi più innovativi e diversi, sperimentare nuove strade mentre altrove si rimaneva ancorati ai soliti schemi.

Da dove nasce quest’amicizia con la famiglia Pedersoli? Non è che per questo le è venuta anche voglia di raccontare il mito Bud Spencer?

Anche questa è un po’ una storia da film. Siamo stati presentati da un avvocato, amico comune e pronipote di Curzio Malaparate, Niccolò Rositani Suckert. Devo ringraziarlo, perché Giuseppe è un uomo pieno di talento e serio, incredibilmente creativo nella produzione come nella regia.

Carlo Pedersoli jr nella parte di Giovanni da Verrazzano

Carlo Pedersoli jr nella parte di Giovanni da Verrazzano

E infatti dopo questo viaggio tra Lisbona e New York (poi Giovanni Da Verrazzano finirà, il 23 e il 24 aprile anche a Firenze) con la mia società Beaver Lake Pictures, siamo già alle prese con un altro progetto, interessante e ambizioso, di cui non voglio e posso dire nulla, però.

Su Bud Spencer lascio a lui l’onore, ha una sua società, la Smile Productions, con cui so che farà grandi cose.

È più facile o più difficile in questo mondo essere documentaristi e giornalisti? In fondo un tempo il mondo era diviso tra ideologie e superpotenze, più leggibile, ora ci è rimasto solo di essere trumpiani o antitrumpiani. Per il resto tutto è più difficile da capire

Guarda, sono ben felice di dare giudizi su politica estera, economia, quello che vuoi quando faccio il giornalista. Ma con il cappello da produttore e autore mi va di parlare di cinema, di come cerco la verità cinematografica e un arco narrativo piacevole, fuori dai miei punti di vista e le mie visioni personali: qui dobbiamo parlare di estetica, di bellezza e di verità che vadano oltre le ideologie.

Sono due mondi diversi ed è giusto tenerli separati. Sono un uomo felice, grato e fortunato perché posso fare il giornalista, saggista, autore cinematografico, nella stessa vita. Ed è giusto dare spazio a ognuna di queste anime senza mischiarle.

Ci riprovo facendole una provocazione: meglio Trump come imprenditore e personaggio televisivo o come politico?

Donald Trump starebbe meglio in prigione.

Ne verrebbe fuori pure un bel documentario.

No comment (ride, ndr).