
Alessandro Borghi e Supersex sono tra le ricerche più ossessive della Rete in questi giorni. Eppur il nostro ha una filmografia che solo a percorrerla fa venire le vertigini. Proviamo ad accennare alcuni dei suoi personaggi più amati. Solo per farci un’idea. Numero 8 e Aureliano in Suburra il film e la serie grazie a Stefano Sollima; a fianco di Patrick Dempsey nella serie Diavoli nella parte del broker Massimo Ruggero, spietato e dolente.
Stefano Cucchi, un ragazzo pestato a morte dalla polizia, in carcere, in Sulla mia pelle, la storia vera dello scandalo carcerario più atroce degli ultimi anni in Italia. Scoperto da Claudio Caligari, l’underdog del cinema italiano scomparso dopo soli tre film cult (in trentadue anni) in Non essere cattivo.
E ancora quei non protagonisti struggenti e tenerissimi come Boccione de Il più grande sogno o il Chicano di Fortunata di Sergio Castellitto. Solo per citarne qualcuno.
Lui è uno che non ha paura di sfide e confini. Sta girando a Madrid con Alejandro Amenabar, Il prigioniero (El Canutivo) – “l’ho appena conosciuto, insieme a molti del cast artistico e tecnico, è, sono fantastici” -, con quella voglia di scoperta di chi ha l’ambizione di conquistare il mondo. Ci sta riuscendo benissimo se è vero che recentemente è stato coprotagonista amatissimo – con l’amico e sodale e fratello Luca Marinelli – ne Le otto montagne, distribuito in più di 50 paesi e ora Supersex è arrivata ad essere terza nella classifica mondiale di Netflix, con più di 3,2 milioni di visualizzazioni, tra le serie non in lingua inglese. E nella top 10 in più di 60 paesi.
Alessandro Borghi è da anni la vera star del cinema italiano, capace com’è di ballare tra ambizioni smisurate in un mainstream d’autore e cinema indipendente ed esordi rischiosi.
Parliamo di uno degli attori europei più completi e stimati ma anche di un ragazzo di 37 anni, appena divenuto padre, che ha sempre rifiutato i salotti buoni del cinema italiano, le conventicole, per cercare sfide che superassero i confini asfittici di un paese che ha tanto talento quanti ostacoli per esprimerlo.
Prima di iniziare l’intervista, dobbiamo capire se siamo sulla stessa lunghezza d’onda: siamo d’accordo sul fatto che Rocco Siffredi sia un personaggio epico?
Hai visto, sentito che roba, hai visto quanto è bello? Nel bene e nel male lui è un alieno.
Uno che sa farti innamorare e sconvolgerti, spesso nell’ambito della stessa frase.
Direi che è una definizione perfetta. Non potrei dirlo meglio. È proprio vero.
È stato, nel lavoro fatto in Supersex, più importante il suo peso nell’immaginario erotico mondiale o la conoscenza con lui?
Intanto ti dico che è stata una delle cose più difficili che io abbia mai fatto. Però questi due elementi, pur importantissimi, sono arrivati in seconda battuta.
La decisione di fare la serie è arrivata dopo aver letto la sceneggiatura di Francesca Manieri, quando ho capito che c’era davvero la possibilità di raccontare un mondo che tutti pensano di conoscere ma nessuno conosce veramente. Il porno, che ha tutta una parte nascosta, e la vita privata di un essere umano, che ora è mio amico, ma all’inizio non lo era. Il modo in cui lei ha deciso di trattare la materia mi ha convinto a cimentarmi in questa follia.

Supersex. (L to R) Alessandro Borghi as Rocco, Gaia Messerklinger as Moana in episode 4 of Supersex.
Poi conoscerlo mi ha confermato la bontà della scelta, ma confesso che io non me l’ero immaginato diverso da come poi è entrato nella mia vita, Rocco.
Ci ho parlato qualche volta al telefono, prima che potessi solo immaginare di interpretarlo in una serie, e avevo già intuito alcune sfaccettature che mi avevano colpito, così quando poi siamo stati a stretto contatto non è stato difficile provare un affetto come quello che si è instaurato tra di noi. Quell’affetto che mi ha fatto entrare in profonda connessione con lui.
Posso essere volgare nella prossima domanda.
Fai pure.
Ho notato una cosa sui suoi personaggi. Che quelli apparentemente più fragili sono in realtà i più forti, i più coraggiosi. E quelli che dovrebbero affrontarla a cazzo duro la vita, da Rocco a Numero 8, sono di cristallo, hanno dentro ferite enormi
Questa è un’interpretazione molto interessante a cui non avevo mai pensato, ma sono d’accordo con te, non può essere un caso. Se devo trovare un motivo per questo ossimoro psicologico che cerco nei miei ruoli, penso di poterlo individuare in una riflessione che faccio spesso prima di sceglierli. Ovvero il tentativo di cercare di raccontare qualcosa di mai scontato, di evitare ciò che è stato già fatto o risulti bidimensionale, di volere un personaggio che non possa avere un solo modo di essere impersonato.
Per questo spesso pretendo sempre di metterci qualcosa dentro qualcosa che neanche regista e sceneggiatore avevano considerato.
In fondo Numero 8 sarebbe piaciuto anche se fosse stato un coatto a senso unico, un giovane ambizioso e violento che voleva portare avanti una dinastia criminale. Ma a renderlo unico è la rottura che ha dentro, il rapporto complicato con il padre, il suo saper portare lo spettatore a riconoscersi, a empatizzare laddove mai penserebbe di poterlo fare. E così Rocco.
E con questo ti ringrazio, perché rispondo a un’altra domanda che Fano tutti.
Quale?
Perché fare una serie su Rocco?

Rocco, Rocco e Rocco. Il vero Rocco Siffredi in una foto con Alessandro Borghi che lo interpreta, adulto, in Supersex, e Saul Nanni, che lo impersona da ragazzo
Già, perché?
Perché non stai facendo una serie su un pornodivo, ma su un’epoca e su un ragazzo partito da Ortona che ha conquistato il mondo diventando il miglior a fare il suo lavoro e vincendo più di 40 oscar del suo settore. Portando avanti una serie di imprese in cui magari io e te non ci cimenteremmo, non faremmo mai gli attori, i registi, i produttori di porno, ma di cui ci interessa la storia, perché vale la pena raccontarla come parabola esistenziale e professionale.
Una grande forza e una grande ferita dentro. Vale solo per i suoi personaggi oppure anche per lei?
Non ho una grande ferita, ma sono uno che soffre. Che sguazza nella malinconia, nel dolore e nella nostalgia di attimi passati e irripetibili, anche se magari in futuro ce ne saranno di migliori e a volte ne ho pure la consapevolezza.
Questo mi mette in una condizione di instabilità emotiva che non è negativa, che anzi coltivo e un po’ mi piace pure. In questo sono diverso da Rocco, lui una ferita, una voragine dentro ce l’ha. Però potrò dirlo davvero solo a 59 anni.
Lei e Rocco non siete poi così diversi, lo sa, vero?
Un mese fa Rocco, mentre stavamo lavorando alla promozione della serie, mi ha guardato tutto serio e mi fa: “tu lo sai che questa non è solo una serie su di me, ma pure su di te?”. Ha ragione. Credo che condividiamo un profondo senso della libertà, che lui ha espresso pienamente nel sesso, facendone una forma espressiva, a un certo punto l’unica di cui era davvero capace, ed è stato, è così uno stendardo di libertà nel paese in cui è più difficile parlare di sesso. Per motivi religiosi, sociali, antropologici.
E poi ci accomuna il fatto che per noi conta solo il giudizio di chi amiamo, di coloro di cui desideriamo costantemente prenderci cura. E tra loro c’è anche il nostro pubblico, per il quale affrontiamo il nostro lavoro con una abnegazione totale. Dei pettegolezzi, di ciò che pensano tutti gli altri ce ne frega poco, dei pregiudizi altrui ancora meno. E questo accade pur stando in un mondo in cui il giudizio altrui è un’ossessione per tutti.
Il suo Rocco Siffredi in alcuni casi sembra un allucinato Joker di Joaquin Phoenix del porno
Intanto grazie. Uno splendido paragone, lui è un genio. Credo che il tutto nasca dal fatto che sin dall’inizio sentivo la necessità di evitare qualsiasi imitazione, mimesi con Rocco. Sarebbe stato grottesco e per questo ho voluto crearmi una mia immagine di Rocco. Perché, ed è la cosa più motivante e difficile di questo ruolo, dovevo essere una persona che è già un personaggio, che da decenni interpreta se stesso, perché l’amico con cui vado a cena, che frequento con la sua famiglia, non è quello che tutti conoscono, hanno visto, nei film e non.
Rocco è un’altra cosa, poi si mette la maschera da Joker – anzi, direi qualcuno di meno cattivo – e interpreta Siffredi. A partire dalla sua lingua, uno strano italiano con cui maschera da sempre la sua provenienza, tradita per qualche istante solo da qualche vocale improvvisamente troppo chiusa. Lui è abitato da tante entità, che devi conoscere, amare e rispettare. E raccontare.
Il regalo che mi ha fatto è stata mostrarmele e poi farmi vedere il vero Rocco. Rocco Tano. E questo ha attraversato la mia testa, la penna di Francesca Manieri, costruendo contraddizioni e verità che rivediamo in Supersex.

Supersex. (L to R) Alessandro Borghi as Rocco in episode 4 of Supersex.
Come Sollima, uno dei suoi maestri, lei sembra costantemente doppio: italiano in film o serie internazionali, e molto internazionale nelle opere italiane. E torno a dire, vale anche per Rocco.
Stefano è più di un maestro. Mi ha preso per mano e portato per primo nel mondo del cinema, che tanto amavo da spettatore ma che non pensavo di poter fare da attore, non a questi livelli.
Lui e Claudio Caligavi mi hanno insegnato a stare sul set. Non che gli altri non siano stati fondamentali, ma loro due, in modo radicalmente diverso, mi hanno fatto amare il cinema e la libertà. E me ne hanno fatto capire l’importanza.
Ricordo che stavo sul set di Suburra tutti i giorni. Quel cast aveva tanti bravissimi attori, da Favino a Germano, quindi io andavo a guardarli lavorare, a imparare, anche quando non avevo scene da girare.
Di Sollima ricordo che mi aveva capito come uomo, non solo come attore, e all’inizio di ogni giornata di lavoro, di ogni scena veniva subito da me, a mostrarmi affetto e attenzione, perché capiva che ne avevo bisogno. Lo faceva con la stessa forza e cura con cui pretendeva il massimo sul set, perché lui è uno che ti spinge al limite nella performance, che pretende tanto.
È uno che mi ha fatto fare 20 volte una scena di cui ha montato il terzo take, solo per capire dove potevo arrivare, ma allo stesso tempo coglieva subito una tua intuizione, se buona, e la metteva nel film.
Riguardo alla tua domanda, credo che alla base di quello che dici ci sia qualcosa di banale di cui ci dimentichiamo troppo spesso. Non è un peccato, uno sminuirsi, capire come rendere internazionale un film o una serie. Anzi, più che internazionale, universale. Prendi Supersex, in fondo è un coming of age di un ragazzino di provincia che attraverso un enorme dolore insegue un sogno sacrificando sull’altare dello stesso la sua idea di amore.
Se chiudo gli occhi e sento queste ultime parole, potrebbero valere pari pari per La La Land.
Capito? Parlo esattamente di questo. Ora, ovvio, è bellissimo immaginare Rocco che fa Ryan Gosling e pure il contrario.
Francesca Manieri ha un’altra definizione geniale di Supersex, che è “fondamentalmente è una serie su un uomo che ci mette sette episodi a dire ti amo”. Decostruendo la figura di quest’uomo, trovi il suo cuore, quello che ha davvero in mezzo al petto, e diventa qualcosa, qualcuno di universale da mostrare al mondo. Pur essendo una storia italianissima.
Per Diavoli ha studiato economia e simulato il lavoro di broker. Per Supersex ha lavorato come attore porno?
(Ride di gusto). No, non ho fatto film porno, ma sono stato su vari set di film hard, a Budapest, con Rocco, e li ho studiati con attenzione. Da fuori. All’immedesimazione c’è un limite.
Ricordo la prima volta: ero sperduto e lui mi prende sotto braccio e mi fa “vieni a vedere come funziona”. E lì ho cominciato a intuire uno dei suoi talenti più importanti: è un grandissimo normalizzatore. Uno che prende una materia enorme e complessa, la schiaccia tra le sue mani sicure e forti e la fa diventare una palletta di carta stagnola che ti lancia e quando la prendi tu tutto sembra facile.
Mentre prendi al volo questa pialletta lui è lì a preoccuparsi di tutti, a chiedere se si divertono, se hanno bisogno di qualcosa, a programmare il giorno dopo in cui girerà 40 scene, a oliare alla perfezione un meccanismo difficile e faticoso.
Nessuno riesce davvero a comprendere il loro sforzo fisico, prolungato e logorante, enorme e continuato. Una fatica inenarrabile: loro stanno sul set dalle 7 del mattino alle 9 di sera facendo una cosa che fisicamente, ma anche mentalmente, non è sostenibile.

Foto di Scena, Super Sex – Da Sinistra a Destra: Alessandro Borghi; Gaia Messerklinger; Vincenzo Nemolato; Claire Loth
Su quei set cos’ha capito?
Alla fine ti rendi conto che in fondo il loro lavoro comincia quando finisce il nostro. O viceversa, devo ancora capirlo. E poi capisci che porno e piacere ormai, checché ne dica Rocco che ne ha fatto il suo veicolo espressivo unico di amore, libertà, sogno e rivalsa, non convivono più. È diventato un lavoro, tra uomini che cercano espedienti per mantenere un’erezione e ragazze che prima e dopo una scena, anche la più coinvolgente, guardano lo smartphone. Un lavoro in cui conta fare quello che si pensa il mercato voglia.
Capisci che è una metafora perfetta del cinema attuale tutto, un tempo trainato da amore e passione e che ora si scontra soprattutto con numeri e algoritmi. Ma Rocco ne soffre, lui a me diceva in quei giorni insieme “io ogni film dovevo innamorarmi, dovevo provare davvero certe sensazioni per restituirle, anche fisicamente. Dovevo fare l’amore per 10 ore e potevo riuscirci solo con un coinvolgimento reale”.
Uno specchio del nostro mondo, del cinema attuale, io riesco a capire alla perfezione cosa intenda. Perché di numeri e algoritmi non mi interessa nulla, per me questo lavoro è amore.
Rocco a Hollywood, o almeno a Los Angeles, ci è andato. Lei quando parte?
Dovevo farlo da più giovane, ma non mi sentivo all’altezza. Ora a 37 anni, con un figlio, mi sento vecchio. Allo stesso tempo ho la fortuna che in questi anni Hollywood sta dimostrando di poter venire da te, non è necessario volare a Los Angeles e stare mesi lì, il tuo lavoro può parlare per te anche con un oceano di mezzo.
Possono capire chi sei, che essere umano tu sia in grado di essere – cosa che penso gli interessi anche di più – oltre a cosa sai fare, anche da qui.
Però ai ragazzi molto giovani che vogliono fare questo lavoro dico di prendere i treni quando passano, non aspettare di sentirsi pronti. Se sei bravo e sei sano di mente, non ti senti mai pronto.

Supersex. Alessandro Borghi as Rocco in episode 4 of Supersex
Lei ora si sente pronto?
Io ora mi sento pronto e non lo nascondo, per me Hollywood è il punto di riferimento, ha costruito il mio immaginario. Un tempo la guardavo invidioso, ora curioso. Come la Spagna che affronterò Amenabar, la Francia, l’Inghilterra. Voglio andare ovunque, sperimentarmi nelle sfide più diverse.
Anche perché a Los Angeles ci sono andato sedendo a tavola e in sala con i miei miti, entrando dalla porta principale, ed è stata già la realizzazione di un sogno di suo. E alla fine se sarà destino, ci tornerò per lavorare.
Magari con Joaquin Phoenix!
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