Barbara arriva a Hollywood: gli ottant’anni dell’attrice Bouchet, andata oltre la “commedia scollacciata”

Nata il 15 agosto del 1943 e originaria di Liberec, l'icona del cinema di genere cresce e comincia la sua carriera oltreoceano per trovare poi fortuna in Italia, dove ad aspettarla trova i film poliziotteschi e il cinema horror

Barbara Bouchet compie 80 anni. Panico fra i “boomers”. L’attrice è nata il 15 agosto del 1943 e questa data così clamorosa ci arriva addosso senza alcun preavviso.

Nonostante le innumerevoli apparizioni televisive degli ultimi anni, Barbara Bouchet è, per così dire, “cristallizzata” in un immaginario anni ’70: la bionda esotica che popolava i sogni di una generazione, ideale proseguimento di un modello femminile che in Italia era esploso con Anita Ekberg e poi era trasmigrato in tv con le gemelle Kessler (che sono del 1936, quindi appena di qualche anno più grandi).

Ma proprio perché Alice & Ellen erano personaggi tv potevano osare molto meno: certo, le loro gambe non finivano mai (da cui il mitico Carosello con lo slogan “Omsa, che gambe!”, assieme a Don Lurio), ma per arrivare a mostrare un ombelico si sarebbe dovuta attendere la Carrà. Ed erano ancora gli anni ’60, decennio che le Kessler dominano sul piccolo schermo (i loro sketch con Alberto Sordi sono memorabili).

Negli anni ’70, al cinema, Barbara Bouchet può andare molto più in là. Però non si limita alla cosiddetta “commedia scollacciata”: è un decennio in cui nel cinema italiano proliferano generi diversi, dopo il peplum che ha monopolizzato gli anni ’50 e il western figlio dei turbolenti anni ’60.

Quindi Barbara sfonda anche nel “poliziottesco”, nel thriller e nell’horror. In fondo i due titoli che ancora oggi salvaguardano la sua fama sono il noir meneghino Milano calibro 9 di Fernando Di Leo, di recente restaurato dalla Cineteca Nazionale, e l’horror Non si sevizia un paperino di Lucio Fulci.

Poi ci sono anche commedie sexy, per carità, partendo dai “decamerotici” come Una cavalla tutta nuda e Racconti proibiti di niente vestiti. Ma la sua carriera è diversa da quelle, per dire, di Gloria Guida, o di Edvige Fenech, o di Anna Maria Rizzoli. È più variegata, con titoli francamente più interessanti.

L’odissea di Barbara Bouchet

Inoltre, a scorrere la sua filmografia compaiono nomi che la memoria aveva rimosso. Negli anni ’60 lavora con due ottimi registi come Jack Lee Thompson e Richard Quine, compare in un episodio della famosa serie Star Trek e nel 1969 può sfoggiare un ruolo in Sweet Charity – Una ragazza che voleva essere amata, il musical di Bob Fosse ispirato a Le notti di Cabiria di Federico Fellini. Inoltre, in questi giorni sono ricomparse sui social alcune sue foto assieme a Sharon Tate, dove scorre tanta bellezza (di entrambe) da perderci la testa.

Sharon Tate e Barbara Bouchet nel 1966

Sharon Tate e Barbara Bouchet nel 1966

Tutto questo per dire che all’inizio di quel decennio Barbara lavora a Hollywood. Faceva parte di un famoso corpo di ballo, The KPIX Dance Party, con il quale partecipò a molti show televisivi, tentando contemporaneamente la fortuna nel cinema. Del resto ha sempre detto di essere prima di tutto una ballerina, e la sua famosa danza sexy in Milano calibro 9 viene da lontano. Ma come ci era arrivata, a Hollywood?

Qui si apre un capitolo della sua vita che pochi conoscono. E ripercorrendolo, si scopre come le vicende di una diva sexy e popolare possano incrociare la storia del ‘900. Barbara era nata a Reichenberg, una città che oggi si chiama Liberec ed è situata in Repubblica Ceca: infatti ogni tanto si legge che sarebbe cecoslovacca, quando invece è tedesca purosangue (il suo vero cognome è Gutscher, adottò lo pseudonimo “francesizzante” in America e poi lo tenne buono anche in Italia).

Ma nel ’43, quando lei nacque in pieno conflitto mondiale, Liberec/Reichenberg era tedesca, perché faceva parte dei Sudeti occupati dalla Germania hitleriana dopo gli accordi di Monaco del ’38. Ovviamente, dopo la fine della guerra la famiglia Gutscher dovette condividere il destino di tutti i tedeschi della regione: vennero espulsi, mentre la Cecoslovacchia entrava nell’orbita sovietica, e furono a lungo sfollati in un campo profughi della Germania occupata dagli americani.

Nel ’48 i Gutscher ottennero un visto per gli Stati Uniti e così Barbara crebbe a San Francisco, in California. Diciamo che poteva andarle peggio. Le citate Kessler, per dire, erano nate in Sassonia e dopo la guerra si ritrovarono a studiare danza a Lipsia, nella RDT. Fuggirono in Germania Ovest, e poi a Parigi, quando avevano già 18 anni (erano gli anni ’50, il Muro non era ancora stato costruito…).

Gli sguardi di Mauro Bolognini e Piero Tosi

Dopo questa odissea, Barbara arriva in Italia nel 1970, e da lì in poi la storia è nota. Ci piace chiudere questi auguri ricordando un momento del suo lavoro in Italia che per lei corrisponde a una tesi di laurea: il film Per le antiche scale, di Mauro Bolognini (1975), un ruolo da protagonista accanto a Marcello Mastroianni.

Barbara ha lavorato anche con Luciano Salce e Pasquale Festa Campanile, ma lei dice sempre che Bolognini fu il suo esordio in serie A. E il merito, lei lo sottolinea con forza, fu di un personaggio che ha contribuito come pochi, dietro le quinte, alla grandezza del nostro cinema: il sommo costumista Piero Tosi.

Barbara Bouchet per la mostra PIERO TOSI. ESERCIZI SULLA BELLEZZA. Gli anni del CSC. 1988-2016. / PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI

Barbara Bouchet per la mostra PIERO TOSI. ESERCIZI SULLA BELLEZZA. Gli anni del CSC. 1988-2016. / PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI

Fu lui a vestirla in quel film, fu lui a suggerire a Bolognini di ingaggiarla. E fu sempre Tosi, in uno dei suoi seminari al Centro Sperimentale di Cinematografia, a vestirla come una gentildonna del ‘400 uscita da un quadro del Pollaiolo.

Quel costume e quel trucco servirono solo a un’esercitazione con gli allievi del CSC e non apparvero mai in un film, ma restano lì, fermati nel tempo, a suggerire una carriera che avrebbe potuto essere e non è stata. A parte Bolognini e i pochi citati, Barbara Bouchet non ha incontrato grandi registi sulla sua strada. Al grande pubblico va bene così, ma qualche rimpianto rimane.