Jesse Eisenberg torna alla regia con A Real Pain tra “piccoli problemi e traumi globali”

"Vorrei fare un film all'anno, se mi fosse permesso" ha dichiarato il regista che ha appena presentato il suo secondo lungometraggio al Sundance con protagonista Kieran Culkin mentre ha già una pellicola musicale in cantiere

A Real Pain vede protagonisti Jesse Eisenberg e Kieran Culkin nei panni di due cugini che vanno in Polonia, paese natale della nonna, per partecipare a un tour sull’Olocausto. Il film, che partecipa al concorso drammatico del Sundance Film Festival, segna la seconda volta di Eisenberg dietro la macchina da presa per un lungometraggio.

Eisenberg, che a Park City presenta anche il film Sasquatch Sunset, ha parlato con The Hollywood Reporter della scelta di Culkin, delle riprese in un campo di concentramento e delle sue aspirazioni future di regista, compreso il suo prossimo lavoro, per cui si sta già preparando.

Cosa ha ispirato A Real Pain?

Mi sono sempre interessato alla Polonia. La mia famiglia è originaria di lì. Ero molto legato alla zia di mio padre, che è nata nel 1912 ed è rimasta in Polonia fino all’età di 9 anni. Mi raccontava sempre di come avesse un rapporto meraviglioso con i polacchi. Era un po’ in contrasto con le cose che avevo sentito da piccolo sui rapporti tra polacchi ed ebrei. Mi interessava molto esplorare questo aspetto nella prima opera teatrale che ho scritto, che si chiamava The Revisionist e aveva come protagonista Vanessa Redgrave, il cui personaggio era basato sulla mia cugina sopravvissuta alla guerra.

Ho pensato molto a come sia possibile conciliare la sofferenza per i propri piccoli problemi quando si viene da un trauma globale di due generazioni prima. L’altro aspetto è che volevo davvero fare un film in Polonia. Ho pensato di scrivere esattamente quello che avrei voluto fare, e di fare un tour in tutte le città in cui volevo andare.

Per il suo debutto nel lungometraggio, aveva scelto di non essere il protagonista. Cosa l’ha spinta a diventare co-protagonista del suo secondo lavoro da regista?

Non penso mai di scrivere qualcosa per me, perché recito più spesso in lavori di altri. Ma quando sento di poterlo fare al meglio, lo faccio. In questo film, volevo interpretare il ruolo di Kieran perché era quello più appariscente e interessante. Ma io e i miei produttori abbiamo pensato che, con il carico di lavoro che avevo come regista, sarebbe stato troppo difficile interpretare un ruolo che deve essere così distaccato e libero. Kieran è così meraviglioso che sono felice di non averlo fatto.

E Kieran Culkin com’è entrato a far parte del film?

Mia sorella ha letto 20 pagine della mia sceneggiatura e mi ha detto che c’era solo una persona al mondo che poteva interpretare quella parte. Le ho chiesto: “Chi?” E lei ha risposto: “Kieran Culkin”. Lei adora Succession e io non l’avevo vista. Così mi sono informato e mi è apparso subito chiaro che era perfetto per quel ruolo, perché riesce a portare un senso dell’umorismo e un’intensità che rendono questo personaggio così imperscrutabile.

Che cosa ha comportato girare in un campo di concentramento?

È un processo molto strano. Lavoravamo con produttori che avevano realizzato molte produzioni che richiedevano scene in campi di concentramento. Avevo scritto la sceneggiatura per Majdanek (un campo di concentramento in Polonia, ndr), perché è proprio vicino alla città da cui proviene la mia famiglia, ma abbiamo avuto dei problemi. È un luogo sacro e le persone che lo gestiscono sono giovani e brillanti accademici che hanno un grande rispetto per la storia e per il luogo. Non vogliono che venga trasformato nel set di un film di Hollywood. Stavamo valutando il budget, e si parlava di qualcosa come un milione di dollari per costruire qualcosa di simile a Majdanek, anche per una semplice scena. Ovviamente non potevamo permettercelo. Abbiamo aperto un dialogo con le persone che gestiscono il luogo e siamo riusciti a spiegare che la sceneggiatura è stata scritta pensando a Majdanek nello specifico, e che non stavamo cercando di presentarla come Auschwitz nel 1942, ma come Majdanek nel 2022. I personaggi rispettano il luogo, proprio come farebbero dei normali turisti.

Una volta che hanno capito la nostra intenzione e una volta che ho detto loro che le nostre riprese erano totalmente in accordo con la loro missione – che è quella di far capire alla generazione attuale cosa è successo in questo campo – hanno accettato. Abbiamo modificato la sceneggiatura un paio di volte per trovare le parole esatte. Abbiamo avuto diversi incontri molto delicati e riflessivi per mettere a punto ogni parola e gli aspetti storici. È diventato un rapporto così incredibile che abbiamo persino usato una voce fuori campo scritta dalla giovane guida con cui stavamo lavorando.

Con due film già realizzati, quali sono le sue aspirazioni future come regista?

Ho già il mio prossimo film, ci stiamo attrezzando. È un musical e siamo alle prime fasi. Vorrei fare un film all’anno, se mi sarà permesso.

Intervista modificata per motivi di lunghezza e chiarezza.

Traduzione di Nadia Cazzaniga