Il “green border” del titolo, il confine verde, è quello che separa l’oscurantismo della Bielorussia di Lukashenko dalle meravigliose sorti e progressive dell’Unione europea, dalla Polonia democratica… Alt. Siamo sicuri che sia davvero così?
Non lo siamo affatto. E Green Border, diretto dalla veterana polacca Agnieszka Holland, è un apologo durissimo e straziante su ciò che avviene lungo quel “confine verde”, nelle foreste della grande pianura che rende pressoché indistinguibili la Polonia e l’antica Russia Bianca (questo significa “Bielorussia”). Scopriamo, così, che i due paesi sono indistinguibili anche politicamente. Su entrambi i lati del confine i migranti provenienti per lo più dall’Asia vengono picchiati, derubati, costretti a dormire per terra o in campi improvvisati, espropriati di ogni diritto umano e civile. I bielorussi li spediscono in Polonia; i polacchi li rimbalzano in Bielorussia, e così all’infinito. È un ping-pong crudele dietro il quale si nascondono interessi economici e politici. Le guardie di confine polacche – così come l’opinione pubblica del paese – vengono indottrinate: “Non sono esseri umani, sono armi di Putin e di Lukashenko”. Quindi vanno rispediti indietro, senza pietà.
Green Border ha un inizio e una fine molto illuminanti. All’inizio una famiglia di siriani arriva a Minsk accolta con tutti gli onori: in aereo le hostess sono gentili, all’aeroporto li attende un veicolo che li porterà in Polonia, nella leggendaria Ue. È tutta una finta. Alla famiglia si aggrega una signora elegante, che parla un inglese perfetto e viene dall’Afghanistan. Il loro viaggio è stato pagato da un parente che li aspetta in Svezia, a Malmoe. Sembra una gita turistica. Ma al confine comincia l’inferno. Il “taxi” scarica tutti a un posto di blocco, dopo essersi intascato 300 euro di bonus, e nella notte vengono tutti ricacciati in Bielorussia.
La fine – non è uno spoiler – è per certi versi ancora più terribile. Una didascalia ci informa che siamo al confine con l’Ucraina. Arrivano anche lì profughi, ma sono profughi diversi. Entrano in Polonia per sfuggire alla guerra. Sono disperati, ma ben vestiti, visibilmente benestanti. Chi si porta il gatto, chi la gabbia del canarino. Le guardie polacche le accolgono con garbo, perché sono nemici di Putin. Holland fa capire benissimo che esistono profughi di serie A e profughi di serie Z, anche se è naturalmente doveroso aiutare gli ucraini assaliti dai russi.
Nel mezzo, il film alterna le vicende terribili dei migranti con alcuni quadretti di vita quotidiana polacca. Un giovane soldato che si sta costruendo casa, aspetta un figlio, sembra un bravo ragazzo ma di notte, con i suoi compagni, deve fare il lavoro sporco. Alcuni militanti di un’associazione umanitaria che invece fanno sforzi eroici per aiutare i migranti; a loro si aggrega una psicologa che abita a pochi chilometri dal confine, e mette a disposizione la sua casa come centro logistico. Scopriamo che chi si comporta da essere umano, in Polonia, rischia il carcere.
Green Border è un “j’accuse” violentissimo contro il governo di Varsavia. Dovrebbe uscire in Polonia il 22 settembre e sarà interessante seguire le reazioni in patria. In Italia lo distribuisce Movies Inspired, che qui a Venezia si è aggiudicata un altro notevole film in concorso, il tedesco La teoria del tutto. Tra l’altro i due film condividono l’uso del bianco e nero, che nel tedesco è una scelta squisitamente estetica, qui accentua il tono cupamente documentaristico del film. Non ci stupiremmo di ritrovare Green Border sabato, tra i film premiati.
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