Una volta ridevamo: ai Golden Globes l’esordio della stand up comedy arriva nel momento della sua grande crisi

L’81ª edizione della cerimonia introduce la nuova categoria in cui si sfidano Trevor Noah, Ricky Gervais, Chris Rock, Sarah Silverman, Amy Schumer e Wanda Sykes: ormai non sono né dissacranti, né sconcertanti. Tra paura della cancel culture e paura dei passi falsi

Né dissacranti né sconcertanti, divertenti, sì, ma con il freno a mano tirato: i sei comici scelti dai Golden Globes 2024 per la nuova categoria di miglior stand up comedy sembrano l’ombra di ciò che sono stati fino a non molto tempo fa. Cosa è successo? Non servono più di due parole per spiegarlo: troppo boomer. Non tutti, certo, ma l’impressione è che anche i più grandi performer non abbiano più idea del pubblico a cui le loro battute possono arrivare, complici anche le maggiori piattaforme streaming che rendono disponibili gli spettacoli in tutto il mondo.

A sfidarsi per il nuovo premio dell’81ª edizione dei Globes sono Ricky Gervais con Armageddon, Chris Rock con Selective Outrage, Amy Schumer con Emergency Contact, Trevor Noah con Where Was I, Wanda Sykes con I’m an Entertainer (tutti disponibili su Netflix) e Sarah Silverman con Someone You Love. Tre uomini e tre donne, in tutto sei dei nomi maggiori della commedia dal vivo, di particolare successo negli Stati Uniti. Tanto che questo primo Golden Globe alla stand up sembra più dedicato alla carriera che all’effettivo valore dei singoli show.

Dov’è finita la perfidia?

C’era un tempo in cui un’ora di spettacolo di Sarah Silverman provocava almeno un paio di sussulti ogni 10 minuti. Battute taglienti, pungenti, parole affilate come armi che arrivavano all’improvviso rendendo ogni difesa impossibile. Nel suo Someone You Love, il primo special per Hbo dopo oltre dieci anni (il precedente A Speck of Dust del 2017 era una produzione Netflix) Silverman però di “perfido” non ha più nemmeno la postura sul palco. Immobile, dietro l’asta del microfono, con lo sguardo quasi terrorizzato all’idea di fare un passo falso.

Non sbaglia le battute, ma non rischia nemmeno. Rimane nel seminato delle sue punchline anticattoliche, lei che si definisce “agnostica ma culturalmente molto ebrea”. E infatti non mancano nemmeno i riferimenti ai vecchi e ai nuovi nazisti. E un affondo, giustamente onnipresente negli spettacoli di tutte le donne performer nell’ultimo anno, al rovesciamento della legge a tutela dell’aborto negli Stati Uniti, la Roe vs Wade.

Non c’è molto altro, ma almeno Silverman non si piange addosso per il politicamente corretto, come fanno invece Ricky Gervais e Chris Rock.

Ricky Gervais in Ricky Gervais: Armageddon

Ricky Gervais in Ricky Gervais: Armageddon. Courtesy of Netflix

Qualcuno fermi Ricky Gervais prima che sia tardi

L’Armageddon di Gervais è uno spettacolo-ipotesi sui modi più stupidi con cui la specie umana si condanna alla sua stessa fine. Senza alcuna sorpresa, il più stupido di tutti per il comico britannico è l’attaccamento delle persone, del pubblico nel suo caso, alle parole. Gervais è entrato nel mirino “woke” dopo alcuni sketch offensivi sulla comunità transgender.

Dopo il primo video promozionale del nuovo spettacolo, in cui viene estrapolata dal contesto una battuta aspra e cattivissima, senza apparente ragione (ma attenzione, il suo copione è serratissimo studiatissimo, niente è posizionato a caso), Armageddon è diventato un caso mediatico ancor prima di arrivare su Netflix. Con una petizione online che ne chiedeva l’eliminazione dal catalogo della piattaforma.

Le parole incriminate sono quelle sul povero Timmy, bambino con la leucemia, ma anche piccolo criminale insopportabile e moralmente disgustoso. “Sapete come funziona”, dice Gervais? Timmy non esiste. È un personaggio immaginario frutto del suo pensiero, dentro una cornice di finzione che ha senso solo nei 60 minuti in cui le luci sono accese sul palco.

Non fa che ripeterlo, Gervais, che sul palco comanda lui e che non è vero che ci sono cose che non si possono dire, finché sono soltanto battute. Ottiene però uno strano effetto, quello dello zio ubriaco a Natale, che tutti cercano di zittire prima che rovini l’atmosfera di festa.

“Quello è Will Smith?”

Un approccio simile è quello adottato anche da Chris Rock, con un’attenuante: il suo Selective Outrage è stato il primo evento in diretta lanciato da Netflix (ora è possibile guardare sulla piattaforma una versione montata in post-produzione), fattore che probabilmente ha inciso sulla decisione di usare un repertorio “sicuro”, già collaudato. Con la sua solita mimica e gli sketch ormai saturi, Rock si salva solo per l’attesa risposta allo schiaffo di Will Smith, ricevuto sul palco degli Oscar 2022.

E anche in questo caso la risposta è debole, molto più debole di quella improvvisata durante lo show di Dave Chapelle, un altro controverso e famosissimo stand up comedian ai ferri corti con la comunità Lgbtqia+. Nel  momento di confusione successivo all’aggressione armata al comico, Rock corre da dietro le quinte, mentre l’aggressore viene malmenato sul palco dalle guardie del corpo, per dire semplicemente “Quello è Will Smith?”.

L’episodio, avvenuto a maggio del 2022, è diventato una presenza costante negli special di stand up comedy dell’anno appena concluso. È usato come simbolo della tensione che si è creata tra i comici della vecchia generazione e la loro platea, ma anche come giustificazione per un repertorio pigro, che preferisce offendere il pubblico piuttosto che osservarlo, conoscerlo meglio e colpirlo a fondo, divertendosi con esso e non a sue spese.

Con più classe lo fa persino una delle più grandi stand up comedian dell’ultimo decennio, Amy Schumer, che rinuncia alla cosiddetta observational comedy, rivolta alle situazioni comuni e collettive e si focalizza esclusivamente su di sé. In Emergency Contact scherza sul suo aspetto, sulle sue malattie, sulla sua maternità e sul suo matrimonio, preferendo l’autoreferenzialità al rischio di esporsi davvero con battute inedite.

Più applausi che risate

La comicità, tuttavia, è estremamente soggettiva e nulla nega che questi spettacoli siano davvero i migliori dell’anno, i più strutturati, i più efficienti anche a livello di scrittura e tempi comici. C’è un ritmo delle battute che è come un rito, ognuno ha il suo, ma alla fine funziona sempre, se studiato bene. Due, forse, funzionano meglio degli altri: quelli di Wanda Sykes e Trevor Noah.

Wanda Sykes in I'm an Entertainer

Wanda Sykes in I’m an Entertainer. Foto di Aaron Ricketts/Netflix © 2023

In I’m an Entertainer, Wanda Sykes è innanzitutto l’unica dei sei che sceglie di decorare il palco con elementi significativi, un’enorme sagoma dei suoi capelli afro. Ed è già questa una dichiarazione di intenti: il suo è uno spettacolo politicamente impegnato, dal punto di vista della donna nera e queer che è, della bambina afroamericana che è stata, quella che viveva isolata in un bosco della Virginia con la nonna.

Parla di tensioni razziali, di minacce alla democrazia, a partire dall’assalto a Capitol Hill e persino di fine del mondo, come Gervais in Armageddon. E non mancano certo battute a sfondo sessuale o sketch grotteschi che però spesso sfociano in riflessioni più serie, quelle contro il patriarcato per esempio. Solo che Sykes sa di voler ridere con il pubblico e non del pubblico. Non si pone al di sopra e non propone uno spettacolo in apparenza sofisticato, da togue-in-cheek, direbbero gli umoristi britannici. È raffinata nella scrittura, volutamente rude nella performance. Divertentissima, come sempre.

Gli applausi a scena aperta, tuttavia, vanno a Trevor Noah con Where Was I. L’unico dei sei che si ricorda quanto una grande battuta sul finale porti alla standing ovation. Scrive uno spettacolo coerente e circolare fino all’ultimo minuto e, grazie alla sua prospettiva esterna di sudafricano che vive negli Stati Uniti, riesce a sferrare fendenti che pochi comici statunitensi potrebbero permettersi.

Chi oserebbe scrivere cinque minuti di sketch contro l’inno americano senza beccarne il doppio di fischi? Come per Sykes, la sua observational comedy ha radici sociali e “impegnate”. Suscita più approvazione che risate, perché spinge a riflettere sui difetti della collettività, soprattutto americana. Ma più di ogni altra cosa, Noah comprende che è molto più divertente prendersela con le categorie privilegiate, per ribaltarne il potere usando il palco, piuttosto che andare contro chi non può o non sa difendersi. Sorprendente, vero?