Peter Del Vecho e Juan Pablo Reyes: “Wish è originale, ma ha tutta la Disney racchiusa nel suo DNA”

"Abbiamo fatto una riunione e le persone dello Studios hanno raccontato cosa significa per loro lavorare per la casa di Topolino. Sono uscite parole come speranza, gioia, desiderio", dichiarano i produttori del film diretto da Chris Buck e Fawe Veerasunthorn. L'intervista a THR Roma, tra sogni e realtà

Fare parte di un’eredità. Un onore, ma anche una responsabilità enorme. Peter Del Vecho e Juan Pablo Reyes lo sanno bene. Importante come condensare in un’ora e mezza di film il DNA di una delle maggiori fonti di fantasia mai stata creata. I due produttori, entrambi sulla scia del successo fenomenale del sequel di Frozen (miglior incasso per un’opera animata con 1,446 miliardi di dollari) e di alcuni inciampi (da Raya e l’ultimo drago a Strange World), sono guidati da una buona stella, proprio come accade alla protagonista dell’ultimo film Disney, Wish, diretto da Chris Buck e Fawe Veerasunthorn.

Asha è la giovane che cercherà di salvare i sogni degli abitanti dell’isola di Rosas, tenuti stretti nelle mani del re Magnifico. All’interno di Wish c’è proprio tutto: inclusione, tradizione, rappresentazione, l’evoluzione degli standard della Disney. Nonché tanti riferimenti che fanno da omaggio ai cento anni della casa di Topolino, che invita il pubblico a festeggiare tutti insieme, dal 21 dicembre al cinema.

Con quanti anni di anticipo bisogna cominciare anche solo a pensare a un film per il centenario di un’entità come la Disney?

Juan Pablo Reyes: Abbiamo cominciato a lavorare a Wish nel 2018, quando Jennifer Lee (regista di Frozen e Frozen II, ndr.) è diventata la nostra direttrice creativa e ha notato che i cento anni della Disney erano dietro l’angolo. Così ha annunciato allo Studios di voler fare un film che fosse completamente originale, ma che ne celebrasse anche il DNA.

Chris Buck, regista di Wish insieme a Fawn Veerasunthorn, ha avuto un ruolo importante. Stava ancora finendo di girare Frozen II quando ci ha aiutato a riunire le persone di tutto lo studio per parlare di cosa significa per loro la Disney. Sono uscite parole come speranza, gioia, desiderio, fino all’idea di poter possedere una stella. Abbiamo messo insieme una serie di immagini, ognuna ritraeva tutti e 61 i film che hanno preceduto Wish e che, infine, hanno portato avanti le nostre conversazioni per realizzare la pellicola del centenario.

Ciò che appare evidente, se si fa una carrellata dei vari film, è che la Disney è profondamente cambiata nel corso del tempo. Secondo voi in che modo?

Peter Del Vecho: Di sicuro ha continuato ad evolversi. Walt stesso era alla continua ricerca di progresso, era un visionario. Ma una cosa è rimasta vera in tutti questi anni: la storia è la cosa più importante. Ciò che dobbiamo raccontare. E, subito dopo, come trasmetterlo al pubblico. Le storie della Disney sono sempre state edificanti, lasciano un senso di speranza, di letizia, e Wish continua la nostra tradizione.

Pensate a Wish come a una sorta di prequel?

J.P.R.: Il film sta in piedi da solo, nonostante sia una lettera d’amore al suo passato. Lasciamo che sia il pubblico a decidere come guardare e collocare la pellicola, ma quando si tratta di realizzare una nuova opera si cerca di renderla il più organica possibile, senza partire da riferimenti precisi, ma inserendoli solamente dopo aver costruito una solida base di racconto. Le citazioni ci sono, più dirette o meno, ma volevamo restituire prima di tutto una storia, non lasciando nulla al caso e non rendendo la pellicola solo una lista di easter eggs. Un modus operandi ponderato, portato avanti da noi produttori, registi e sceneggiatori. Sostenuti sempre dal team creativo. Ora tocca al pubblico andare al cinema e cogliere i riferimenti, godendoseli nell’insieme di un film che, comunque, è un unicum, e vuole essere un grande spettacolo.

Asha si erge a protettrice del popolo di Rosas. Il suo desiderio è di fare felici gli altri più che se stessa. Com’è cambiato il concetto di protagonista femminile nella Disney, in cui la giovane non deve più essere solo una principessa?

J.P.R.: Ciò che amiamo di Asha è che è un personaggio simile a noi. In un certo senso, ci rappresenta tutti. È avvicinabile perché ci si può rispecchiare. Anche lei ha un desiderio, come il resto dei cittadini dell’isola, ma il bello è che non è un sogno egoistico, bensì altruistico. Vuole che i desideri degli altri vengano avverati, soprattutto della sua famiglia. L’aspetto familiare è ciò che più apprezzo della protagonista. Un senso di protezione che viene dall’amore, una qualità molto umana.

Un'immagine di Wish

Un’immagine di Wish

È come se la Disney stesse dicendo che non bisogna per forza essere degli eroi o delle eroine.

P.D.V.: Asha è una donna normale, che si rende conto che il suo popolo sta vivendo un’ingiustizia e diventa una leader. Non sapeva di poterlo essere, ma è disposta a difendere ciò che ritiene giusto. La ritengo una caratteristica straordinaria. Tutti i nostri personaggi puntano alle stelle, guidati dall’ispirazione. Vogliamo che il pubblico possa rivedere una parte di sé nei film, ed è esattamente questo a renderli così duraturi.

Negli ultimi anni siamo passati da Strange World – Un mondo misterioso arrivando a Wish, in cui vediamo diventare sempre più importante l’inclusione delle minoranze. Quanto è cambiata l’idea della rappresentazione in Disney?

J.P.R.: Facciamo film per tutti. Per ogni età, gruppo, genere. Perché i film della Disney sono a tutti gli effetti universali. Quindi è un valore aggiunto avere una prospettiva e dei punti di vista diversi. Le persone che lavorano ai film della Disney hanno background culturali diversi, etnie diverse, alcune hanno delle disabilità e quando ci si mette al tavolo del lavoro tutte queste realtà vengono fuori e integrate alla storia.

P.D.V.: Wish stesso riflette la natura delle persone che lavorano con noi. Se si guarda a chi ha contribuito all’opera animata è possibile scorgerne il bagaglio personale e culturale. È uno stimolo per la creatività. Al centro del film c’è un’isola il cui re promette di proteggere e esaudire i desideri, l’idea era perciò che chiunque, da qualsiasi parte del globo, volesse recarsi a Rosas per poter vivere in un mondo così fantastico. Nella stessa Disney c’è un ambiente di lavoro artistico sano che deriva dal confronto con ciò che è diverso da noi. E da produttori si deve cercare di non finire come re Magnifico, tenendo in ostaggio i desideri che i tuoi colleghi ti mettono tra le mani, ma cercando di dargli forma.

Proprio in quando produttori, come vi fa sentire sapere di essere parte di un patrimonio culturale e storico come quello della Disney?

P.D.V.: È un onore. Come credo lo sia per tutti coloro che hanno avuto la possibilità di esprimere la propria passione e inserirla in un film come Wish. Siamo tutti fan della Disney.

Tra le caratteristiche di Wish c’è un utilizzo innovativo del design animato, che mescola la tradizione degli sfondi ad acquarello e l’animazione digitale. Qual è stato l’approccio a questa nuova tecnica?

J.P.R.: Ancora una volta è stata la storia a guidarci. Stavamo celebrando il centesimo anniversario e abbiamo ripreso le prime favole Disney come Biancaneve e Pinocchio. Ci siamo spostati anche verso racconti meno conosciuti, fiabe con cui Walt Disney stesso è cresciuto. Da qui è nato il connubio tra la staticità e l’illustrazione in movimento. Anche gli artisti hanno preso ispirazione da questi elementi trasportandoli poi sul piano delle tecniche animate, iniziando a trovare metodi da poter applicare per creare qualcosa di completamente inedito.

Qual era il vostro sogno quando eravate bambini?

J.P.R.: Lavorare alla Disney. Racconto a tutti che all’età di cinque anni dicevo a chiunque che volevo lavorare alla Disney senza sapere nemmeno cosa fosse. Poi, un giorno, e questo si abbina molto a Wish, ho dimenticato il mio sogno. Ha preso polvere e l’ho ignorato per un po’. Sono diventato un ingegnere, ho avuto a che fare con lo spazio, fin quando non ho ritrovato il mio desiderio e ho avuto il coraggio di esprimerlo ad alta voce.

P.D.V.: Sapevo fin da piccolo che volevo lavorare nel mondo dell’intrattenimento. Da principio non sapevo che sarebbe stato nel mondo dell’animazione o della Disney, ma man mano che il mio coinvolgimento in quest’industria si è ampliato e mi si è presentata l’occasione di lavorare qui, ho avuto come la sensazione di essere tornato a casa, di aver trovato il mio posto.

Adesso il sogno è veder tornare la gente in sala. Si può sentire il legame che il pubblico instaura con lo schermo, è palpabile. Una risata diventa più forte in una sala in cui ridono tutti. E le emozioni anche. Spero che con Wish gli spettatori riscoprano delle parti di se stessi. Quando ho visto il film ho pensato: “Sì, questo è il mio sogno”.

Asha incontra Star, una stella che la guida nel suo cammino. Qual è stata la stella che vi ha indirizzato nella vostra vita?

P.D.V.: Tutti abbiamo degli angeli custodi. Tutti siamo fatti di polvere di stelle. Per questo intessiamo legami insieme alle persone. Alcuni sono più forti, alcuni meno. Quelli per la vita si dice che si creino tra persone che provengono dalla stessa stella. E per me sono stati i miei genitori, che mi guardano e mi sorvegliano da lassù.

J.P.R.: Mio padre ha avuto un enorme influenza su di me, sul motivarmi, sul credere che avrei potuto conquistare qualsiasi obiettivo. Ma è stato mio nonno, la classica persona che ti faceva sedere sul tappeto e ti raccontava le favole, che ha permesso alla mia immaginazione di scatenarsi.