‘A tammurriata d’a munnezza è il nuovo singolo di Carlo Vannini, cantautore, polistrumentista e attore napoletano, diplomato come attore all’Accademia d’Arte Drammatica del Teatro Bellini di Napoli diretta da Alvaro Piccardi e Tato Russo. Una brano che parla dell’amore per la sua città: una Napoli con tanti pregi e mille difetti. Il videoclip, diretto da Annabella de Carolis, vuole circoscrivere le parole del brano, sublimandole in una descrizione fondamentalmente colloquiale che si muove per frame emotivi, istantanee di uno spaccato della realtà che l’artista vuole raccontare, quella fatta del proprio vissuto che si mescola alle storie quotidiane di gente comune.
I protagonisti si intrecciano in una serie di polaroid, fatte di sguardi, di sorrisi e di intensità efficaci che sottolineano i due poli che caratterizzano qualsiasi storia d’amore: quello del sentimento più puro, brioso e coerente e quello delle sfide del quotidiano, fatto di contraddizioni, di problemi da risolvere e di momenti in cui credi di non aver più niente da dare o da prendere e che, magari, poi, si risolvono dentro un sorriso immotivato, in cui senti di non aver più bisogno di risposte, in cui percepisci una connessione ancestrale con l’universo o, semplicemente, con la tua terra.
Tra i volti del videoclip compare anche Giovanna Sannino, la “Carmela” di Mare fuori, che è un’allieva di canto dell’artista, sempre dalla fortunata serie tv Gaetano Migliaccio, Riccardo Betteghella che fa parte del gruppo Casa Surace, e Mario Gelardi il drammaturgo, autore e regista insieme a Saviano della versione teatrale di “Gomorra”.
Carlo Vannini, la sua canzone è un atto d’amore o un grido di dolore per la sua città?
È assolutamente il racconto della storia d’amore con la mia città. All’inizio avevo dei dubbi, perché di Napoli si è detto tutto, no? Ma alla fine sono andato fino in fondo, perché raccontare di me significa inevitabilmente raccontare la città che vivo. Vale anche per tutti i volti che si vedono nel videoclip: è la Napoli che vivo tutti i giorni e, come dice il ritornello, Gira e balla cu mmè, nun ce penzà ch’è malamente. Insomma, questa canzone è proprio un mix di quelle due emozioni, amore e dolore.
E com’è nata l’idea di scriverla?
Una volta abitavo in piazza Cavour, che è una piazza che io definisco a due facce: da una parte è quella delle metropolitane, dei turisti, degli universitari. È la parte colorata, piena di movimento; ma io abitavo dietro, verso il rione Sanità. E sembrava quasi come nei cartoni animati, dove prima c’è una strada tutta colorata e subito dopo un’altra tutta scura, buia, pericolosa, con barboni e immondizia. Mi colpì questo fatto, questi due lati, uno più manifesto e l’altro più nascosto, che nessuno vede. Da lì è nata la canzone.
Cosa rappresentano quei volti che ha deciso di inserire nel videoclip?
Tutte le facce della mia città, della Napoli che mi piace. È un mix tra professionisti, attori, musicisti, drammaturghi – ma poi c’è anche la Napoli che lavora. Siamo andati nel mercato di Santa Lucia, nei negozi del centro storico, dove ci sono quelle persone che anche solo con un sorriso mi fanno compagnia tutti i giorni nelle mie passeggiate e nelle mie varie commissioni. Quelle facce amiche mi fanno sentire a casa, nonostante ci sia l’altra parte, quella più buia, dietro l’angolo. Il mio vanto, tra virgolette, è che veramente tutti i volti – dal più al meno noto – sono persone che in qualche modo hanno fatto parte della mia vita. Per esempio, Giovanna Sannino, che poi è esplosa con il successo di Mare Fuori, è stata per due anni una mia allieva di canto. Stessa cosa per il compagno, Gaetano Migliaccio, che pure ha fatto parte del successo di Mare Fuori e con cui ho fatto degli spettacoli teatrali. Mario Gelardi, regista e drammaturgo, era un po’ il direttore artistico del nuovo teatro Sanità. E poi ci sono Giosi Cincotti, che è l’arrangiatore del mio album, Riccardo Betteghella che fa parte della famiglia di Casa Surace social…
La doppia faccia, quella turistica e quella nascosta, è però qualcosa che accomuna molte città. Cosa c’è di diverso a Napoli?
Su questo posso fare un confronto diretto, perché io sono cresciuto a Casoria, un paese vicino all’aeroporto. Da quando ho diciott’anni frequento il centro storico di Napoli, e nell’ultima quindicina ho visto in prima persona la trasformazione che ha subito. Il turismo è esploso – da una parte, con tutti i suoi benefici, ma dall’altra anche tutti i suoi limiti. Perché, adesso, mi sembra che Napoli punti soltanto verso sul food porn, oppure, fino all’anno scorso, sullo scudetto. Questa ostentazione, se posso dire, di napoletanità non mi piace, non ce n’è bisogno. Penso ai miei miti, Pino Daniele, Massimo Troisi: erano napoletani senza ostentarlo.
Sono cambiati anche i miti. Napoli sta vivendo una nuova ondata di successo da un punto di vista musicale, fra tutti Geolier e un certo tipo di fare musica. Lei invece ha scelto di raccontare la sua città in maniera più tradizionale, cantautorale.
Io non credo che ci siano delle Napoli diverse. Sono più che altro punti di vista, prospettive differenti: ci sarà quella di Geolier, quella di Clementino, quella di Bennato, e così via. Questa è la mia e nulla esclude l’altra. Come dire, abbiamo tutti ragione, ed è anche un po’ quello che penso del mercato musicale: che c’è spazio per tutti, sempre. E questo è proprio perché tutti raccontiamo quello che abbiamo davanti agli occhi, indipendentemente dal genere musicale o dalla tematica che viene affrontata.
A settembre uscirà il suo nuovo ep, Punto e accapo. Cosa bisogna aspettarsi da questo nuovo lavoro?
Punto e accapo è una sorta di raccolta che unisce tutte le mie esperienze lavorative e tutti i brani che ho scritto e riscritto negli ultimi dieci anni. Sicuramente c’è un’influenza jazz, perché sono laureato al conservatorio di San Pietro a Majella in canto jazz, e sicuramente uso molto i codici teatrali, perché comunque la mia formazione viene da lì. Mi sono diplomato come attore all’accademia d’arte drammatica del teatro Bellini, ho collaborato dieci anni col collettivo del Nuovo Teatro Sanità… il teatro è un altro mio amore, come la musica. Quindi Punto e accapo è una fusione, una sintesi di tutte le mie esperienze.
La parola ad Annabella de Carolis, la regista del video
Da chi è nata l’idea per il videoclip?
È nata un po’ a tavolino. Ne abbiamo parlato a lungo, proprio per la difficoltà di rappresentare Napoli senza farne una cartolina e senza i soliti luoghi comuni. Oltretutto, il brano sembra che parli di Napoli, ma parla nello specifico del rapporto che ha l’autore con Napoli. L’obiettivo era quindi rappresentarla come contesto più che come soggetto, e così è nata l’idea di farlo attraverso volti che vivono e abitano Napoli quotidianamente. L’intenzione anche quella di raggiungere un coinvolgimento emotivo da parte di chi guarda, attraverso dei primi piani che veicolino le emozioni e permettano anche a chi non vive Napoli di identificarsi in ciò che vede.
Il casting com’è stato deciso?
AdC: Sono soprattutto amici che si sono resi disponibili. Abbiamo scelto varie tipologie di cittadini napoletani: il regista, l’attore, il macellaio da cui andiamo a comprare abitualmente la carne… Insomma, persone che conosciamo, in modo da rendere il videoclip il più autentico possibile. Sono comunque tutti volti che si incontrano tranquillamente per il centro storico, non sono stati scelti perché sono famosi.
Dove è stato girato?
Abbiamo scelto principalmente il centro storico perché è un po’ insomma la culla di Napoli oltre al fatto che è il luogo dove l’autore praticamente ha fatto le sue prime esperienze con Napoli venendo da Casoria lui poi si è trasferito per il centro storico e farlo passeggiare per le vie del centro storico anche questo mi sembrava molto più autentico rispetto a farlo passeggiare magari per il lungomare zona molto meno passeggiata appunto dall’autore e l’idea era quella di fargli incontrare lungo la strada i posti che rappresentano la città.
In quanto tempo avete girato? Tecniche particolari usate?
Abbiamo girato in due giornate, una per il mercato di Santa Lucia e una per il centro storico, raggruppando tutti gli attori coinvolti. Non abbiamo usato tecniche particolari, ci siamo affidati a due operatori molto bravi che hanno mischiato l’uso di un semplice telefono con quello di una macchina da presa. La resa letterale del girotondo, per esempio, è stata fatta col telefono.
Il montaggio è stato facile? Ha dovuto rinunciare, a malincuore, a volti o scene?
Per il montaggio siamo riusciti ad inserire tutti i volti. Non ce l’aspettavamo, in realtà, pensavamo che qualcuno sarebbe rimasto fuori – o, insomma, che non riuscissimo a completare con soli due giorni di ripresa tutto quello che ci serviva.
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