Catherine Breillat: “Detesto le persone troppo buone. E non voglio fare film che siano d’esempio”

La relazione di una donna adulta con un adolescente, la menzogna e la scoperta, il sesso, i suoi abissi e le sue epifanie: THR Roma ha incontrato la regista francese per parlare di Ancora un'estate. "Penso che il moralismo porti alla vergogna, bisogna avere uno sguardo diverso su tutto ciò che è la sessualità umana: né pornografico, né puritano". Dal 7 marzo in sala con Teodora Film

“Tra i venti e i trent’anni ho veramente vissuto il cinema italiano al suo meglio. Era bellissimo”. Capelli biondissimi e un abito estivo. Catherine Breillat ricorda gli anni passati al fianco di Liliana Cavani, Federico Fellini, Bernardo Bertolucci e Marco Bellocchio come attrice, sceneggiatrice o assistente di montaggio. È seduta su un divanetto di una sala di Villa Medici. Dalla finestra si scorge il cortile interno. Affacciandosi si possono ancora vedere delle automobili in posizione verticale. Sono parte di un’esposizione, Bad Timing, dedicata all’artista Théo Mercier.

Vicino alla regista un piccolo tavolo di legno con una teiera e una tazza di tè ormai vuota. Appoggiato poco distante il bastone con il quale si accompagna dal 2004, anno in cui un’emorragia celebrale le ha paralizzato il lato sinistro del corpo. Avvenimento che non l’ha fermata dal dirigere film. The Hollywood Reporter Roma l’ha incontrata per parlare del suo nuovo lavoro, Ancora un’estate (L’été dernier, ndr), remake del danese Dronningen uscito la scorsa settimana in Francia – dopo il passaggio in concorso a Cannes – dove sta riscuotendo ottimi incassi al botteghino.

La storia di Anne (Léa Drucker), una stimata avvocatessa parigini sposata e madre di due figlie. Quando il diciassettenne Théo (Samuel Kircher), il figlio del marito nato da una precedente relazione, si trasferisce da loro, la donna finirà per iniziare con lui una relazione che rischierà di mettere a repentaglio tutto quello che ha costruito. La pellicola arriverà nelle nostre sale nel 2024 con Teodora Film che, dopo due Palme d’oro (Triangle of Sadness di Ruben Östlund e Anatomy of a Fall di Justine Triet), porterà al cinema anche Evil Does Not Exist di Ryūsuke Hamaguchi, Leone d’argento – Gran premio della giuria a Venezia 80.

Catherine Breillat al photocall di Cannes 2023 per L'été dernier

Catherine Breillat al photocall di Cannes 2023 per L’été dernier

In Ancora un’estate c’è una sequenza memorabile, che ha come protagonista una menzogna.

È per questo che ho fatto il film. Anne è un’avvocato penalista. Negli Stati Uniti il sistema giudiziario impone di dire la verità. Quello francese spinge a mentire. E gli avvocati penalisti che difendono i colpevoli mentono sempre mentre accusano le vittime. Negano la verità. Non è nemmeno mentire. Nel film anche il marito di Anne nega l’evidenza a tutti i costi. Sa qual è la verità ma cerca di reprimerla. Perché altrimenti crollerebbe tutto.

Cos’altro l’ha attratta della storia originale al punto da realizzarne un remake?

La morale e le relazioni complesse della vita. Anne torna ad essere adolescente vivendo la storia d’amore con Théo. È una specie di “ravvivamento” l’uno dall’altra. La vita per lei diventa come l’adolescenza. È irresistibile. Anche se cerca di non cedere. E lui si prende gioco di lei. Le dice che non è un dramma, che non deve preoccuparsi. Nella vita bisogna guardare le cose anche con un’angolazione moderna. Il problema è che la relazione prende molta più consistenza e non è più semplicemente una storia di sesso. Finiscono per fare l’amore. È questo è molto diverso. Anche se devo dire che lui la ama di più di quanto lei vorrebbe lasciarsi amare. Anne cerca di sottrarsi, anche se poi si lascia andare. Siamo esseri umani, quindi fallibili.

Sembra divisa in due.

Mi viene in mente Il visconte dimezzato di Italo Calvino. Prima di partire per la crociata era sostenuto da tutto il suo popolo. Poi diventa una persona terribile, spaventosa. La bontà, si rende conto, è qualcosa di intollerabile. Richiama in vita questa sua parte meno nobile. Credo sia una parabola giusta di come sia l’essere umano. Detesto le persone che sono solo buone. Certo, non si devono compiere degli errori mostruosi o dei crimini. Ma le debolezze, in fondo, non sono poi così gravi. Sono umane.

Nelle scene di sesso il corpo di Anne sembra molto rigido. Come mai?

È una donna che è stata massacrata. Si percepisce che ha avuto un trauma. Ricorda la Marnie di Hitchcock che, appunto, è sempre trattenuta. Sia con il marito che non Théo si porta dietro questa ferita. Una sorta di solitudine. È una donna quasi frigida che ha difficoltà ad abbandonarsi.

Una scena di L'été dernier di Catherine Breillat

Una scena di L’été dernier di Catherine Breillat

La sua freddezza è sintomo di una capacità di controllo assoluta.

Le cose che Anne dice a Théo sono molto violente. Léa voleva dirle in quel modo, con quella veemenza. Come le sembrava fosse normale. Parole così forti da essere pronunciate in modo glaciale. Il suo volto, nonostante quella violenza, doveva essere distaccato e bellissimo. Non mi piacciono le megere. Né filmare una donna isterica. Preferisco quelle che non fanno trasparire emozioni. Anne ha un controllo incredibile di se stessa. Il marito la guarda, la scruta. Ma lei è così fredda. Se avesse urlato forse sarebbe stato più sicuro del suo tradimento. Invece di fronte a questa donna glaciale, lui crede alla menzogna.

In una sequenza Anne racconta di come gli anni Settanta siano stati caratterizzati dalla libertà sessuale a cui è seguita la paura del contagio dovuta all’Aids. Oggi i giovani fanno sempre meno sesso. Perché, secondo lei?

È il moralismo, credo. La paura della mancanza di consenso. Non hanno più fiducia nel linguaggio del viso. Nella vita lo capisci se una persona è interessata a te. Ma oggi c’è questa paura dell’aver “estorto” in qualche modo il sì. Se quando ero giovane qualcuno mi avesse chiesto il permesso io avrei detto no. Poi però nel rapporto le cose cambiano. Questa storia del consenso è diventata il contrario di quello che possono essere l’attrazione e la poesia. Il rapporto sessuale amoroso è molto complesso. Non puoi mettere in una dichiarazione formale: “Sì, voglio venire a letto con te”.

E come dovrebbe essere?

È importante che tutto avvenga in modo naturale. A volte lo diventa: non c’è consenso ma non c’è neanche diniego. È nel dna dell’uomo. Ma noi, mammiferi umani, siamo talmente diversi dai mammiferi animali. Loro procreano in modo programmato. Per gli umani la sopravvivenza della specie passa per il desiderio. Credo che il sesso sia pensiero in marcia. Cartesio diceva: “Penso dunque sono”. Però bisognerebbe anche dire: “Desidero dunque sono”. Qui, con la morale, tutto è stato un po’ messo da parte. Invece per la nostra sopravvivenza c’è questo aspetto. E voglio continuare a esplorarlo.

Léa Drucker in scena di L'été dernier di Catherine Breillat

Léa Drucker in scena di L’été dernier di Catherine Breillat

Il sesso è lo strumento attraverso sui farlo?

Credo che quando le persone fanno l’amore sia magnifico. Non è pornografia. Sono delle emozioni bellissime che puoi vedere nelle espressioni del viso. Voglio la purezza. Penso che il moralismo porti alla vergogna, a una scarsa considerazione di sé. Questo impedisce ciò che è un piacere amoroso e innocente. Bisogna avere uno sguardo diverso su tutto ciò che è la sessualità umana. Né pornografico, né puritano.

Crede che tutto questo moralismo abbia contribuito ad una repressione sfociata in violenza, sessuale e psicologica, nei confronti delle donne?

Le donne verbalizzano e riescono ad esprimersi molto meglio degli uomini. Perché, ad esempio, gli uomini hanno deciso che i figli devono prendere il loro cognome? Per appropriarsi anche di quello che un tempo era uno spazio tipicamente femminile. Si sono inventati la storia che le donne hanno bisogno di protezione. Questo deriva dal fatto che, secondo me, anche loro vorrebbero generare nello stesso modo in cui lo facciamo noi.

Hanno definito delle leggi e una mentalità per dominarle. L’uomo ha sempre la tendenza a ritornare animale e a esercitare la legge del più forte. Specie quando non riesce a dominare. È come se non si potesse vivere con qualcuno ma neanche senza. Si dice sempre che per un uomo ci vogliono più donne. In realtà, tutto sommato, non avremmo neanche bisogno di loro (ride, ndr). Uno è più che sufficiente. Dico sempre che non sono il sesso forte ma quello debole. Quello che anno sono i muscoli. Non il sesso.

In passato si è detta scettica rispetto a movimenti come il Me Too.

In Francia il Me Too è stato meglio rispetto alle esperienze negli Stati Uniti o in altri paesi europei. Anche se non amo molto quest’idea del lato anonimo. Ho orrore della giustizia che viene fatta sui social media. Certo è che tutto questo ha portato alla ribalta un problema: quello del comportamento degli uomini nei nostri confronti. Ma l’effetto contrario è anche perverso. Gli uomini sono uomini. Non devono essere visti come degli ectoplasmi. Quando ci sono violenza e costrizione è ovvio che si tratta di un crimine. Ma quando si parla di seduzione un po’ volgare, non è così grave. Si rimettono al loro posto. Ci sono degli uomini che sono stati rovinati da questo tipo di denunce. Magari vengono anche assolti in tribunale, poi però la loro vita è spezzata.

Liana Cavalli, con la quale ha lavorato in La pelle, ha affermato che non si è mai posta il problema di essere un modello per altri registi. È così anche per lei?

Sì. Non siamo assistenti sociali. Ho il diritto di fare film che non mostrano il buon esempio. E non voglio assolutamente fare film che diano il buon esempio. L’artista non può essere un modello sociale pieno di conformismi.

Una scena di L'été dernier di Catherine Breillat

Una scena di L’été dernier di Catherine Breillat

Parlando ancora di moralismo e conformismo: crede che il loro ingresso sempre più massiccio nella società e nell’arte abbia finito per appiattire l’estro creativo?

Ho inventato il termine normopatia. Ed è per questo che voglio far perdere il punto di riferimento. La differenza tra bene e male.

Ha diretto Libero Libero De Rienzo in A mia sorella! nel 2001. Che ricordo conserva?

Era incredibile. Avevo fatto provini con molti giovani attori italiani. Erano tutti bravissimi e bellissimi. Ma lui era diverso, era un attore di strada. Ricordo una sera: ero insieme alla produttrice e a Laura Betti. Stavamo guardando questo giovane attore, così pasoliniano. Non parlava una parola di francese, non si era nemmeno sforzato di impararlo! Provò una scena. “Recita bene ma non lo prenderei mai perché non è bello!” dicevo.

E poi?

Aveva una forza, un vigore. E allora abbiamo fatto dei call back. Aveva imparato un po’ di francese. Aveva veramente voglia di girare quel film. Ed è stato geniale. È stato un colpo di fulmine per me e per le altre persone che erano lì. C’era tanta di quella tensione ed elettricità che si poteva toccare con mano. Avevo trovato il mio attore. Quando ha avuto la certezza di aver ottenuto la parte fece un mese di corso intensivo per la lingua. Gli dissi: “Impara bene gli aggettivi perché io dirigo con quelli!”. Libero era un grande attore. Non facile come persona. Era intelligente, furbo. Ma anche molto tormentato.