Il robot selvaggio (e il potere della gentilezza) secondo Chris Sanders: “Per sopravvivere dobbiamo superare ciò per cui siamo stati programmati”

"Essere gentili richiede impegno ed energia. Ma se lo fai si possono imparare cose gli uni dagli altri. E questo è quello che mi ispira del libro e quando guardo il film", racconta il regista in occasione dell'uscita del trailer della pellicola d'animazione ispirata al romanzo di Peter Brown presentata all'Annecy International Film Festival. L'intervista di THR Roma

È il 2016 quando Peter Brown dà alle stampe Il robot selvaggio (The Wild Robot in originale, ndr), un romanzo illustrato che scala velocemente le classifiche diventando bestseller del New York Times. Un vero e proprio fenomeno letterario capace di dare vita a una trilogia. Otto anni dopo Chris Sanders ha preso la storia di Roz, un robot – doppiato nella versione originale da Lupita Nyong’o – naufragato su un’isola disabitata che deve imparare a comunicare con gli animali del posto e fare da mamma ad una piccola papera rimasta orfana, e l’ha portata sul grande schermo.

Ultimo film ad essere animato interamente dalla DreamWorks, Il robot selvaggio è stato presentato al pubblico dell’Annecy International Film Festival l’11 giugno per poi arrivare nelle sale italiane il 10 ottobre 2024 con Universal Pictures. Sanders, già regista di Lilo e Stitch e Dragon Trainer oltre che sceneggiatore de La bella e la bestia, Il re leone e Aladdin, è salito sul palco insieme alla presidente della DreamWorks Animation Margie Cohn per mostrare le prima immagini della pellicola d’animazione incentrata sul concetto di empatia e connessione. “Una delle cose che Peter Brown ci ha rivelato quando abbiamo avuto la nostra prima conversazione non è scritta nel libro”, confida il regista a THR Roma. “Il principio guida che aveva in mente era che la gentilezza può essere un’abilità di sopravvivenza”.

Cosa ha comportato l’adattamento per il grande schermo di Il robot selvaggio?

La prima cosa che fai quando adatti un libro in una sceneggiatura è capire di cosa tratta realmente quella storia. Ti guiderà ogni volta che ne avrai bisogno. E forse ci saranno cose che dovrai eliminare per fare spazio ad altre più importanti nella narrazione. Penso che chiunque abbia attraversato questo processo capisca che fare cinema è una professione molto disciplinata. Hai così pochi minuti e così poca capacità di attenzione che ci sono dei limiti.

Il modo in cui spendi il tuo tempo diventa molto, molto importante. È qualcosa per cui impieghiamo letteralmente anni provando cose diverse, abbandonandone altre e imparando cosa funziona e cosa non funziona, cosa appartiene alla storia e cosa no. La tua missione è far sì che lo spirito e il messaggio dei personaggi e del libro di un autore vengano proiettati intatti sullo schermo. E per fare ciò ci sono alcuni cambiamenti che devi apportare.

E che cosa ha preso dalle illustrazioni del romanzo di Peter Brown?

Peter ha uno stile molto grafico. E questo è stato davvero un bene per noi, perché se si guarda Roz nelle illustrazioni, è molto umanoide e specifica, ma allo stesso tempo ha una certa vaghezza per quanto riguarda i dettagli della superficie. Abbiamo avuto molte conversazioni con Peter fin dall’inizio e ci ha rivelato che nella sua mente Roz è umanoide perché occupa spazi umani. Svolge lavori al loro fianco e quindi gli deve somigliare.

Deve avere dita, gambe, braccia e cose del genere. Si adatta a quel mondo. Il suo compito è fare qualunque cosa un essere umano le chieda di fare. La protagonista della nostra storia si sveglia sulla spiaggia e non sa di essersi persa. Ma, in realtà, ha appena iniziato la sua missione. Che nella sua mente significa trovare il suo operatore e ottenere l’incarico che vuole che svolga. Invece di trovare esseri umani, tutto ciò che trova sono animali. E questa è la cosa avvincente che fa andare avanti l’intera storia.

Chris Sanders, regista de Il robot selvaggio

Chris Sanders, regista de Il robot selvaggio

Per quanto riguarda il suo design?

Ci siamo attenuti all’aspetto umanoide perché è fondamentale. Ma volevamo ottenere un robot che fosse sufficientemente unico da poter essere sempre identificato con questa proprietà. Abbiamo avuto un designer molto talentuoso, Tsun-Hui Andrea Pun. Anch’io ho fatto degli schizzi cercando di trovare Roz. Ma un giorno a lavoro qualcuno ha detto: “Tsun ha qualcosa da mostrarti”. Ho premuto un pulsante e praticamente ho visto la Roz che vedete. Aveva fatto la maggior parte del lavoro nel crearla. Mi è piaciuta la testa rotonda e amavo gli occhi grandi e semplici. L’unico principio guida che avevo scartato era che non volevo alcuna articolazione sul viso. Era davvero importante. È uno dei cambiamenti più evidenti che abbiamo apportato al libro dove Roz ha, invece, una linea per bocca.

Perché questa scelta?

L’unico robot che abbia mai visto e che pensavo funzionasse davvero con un’articolazione era in The Iron Giant. Tutti gli altri robot che amo, da R2-D2 a C-3PO, ne non hanno alcuna. E sapevo che dare ai nostri animatori la limitazione di non avere un’articolazione sul viso e sfidarli a fare tutto con i suoi occhi e il suo linguaggio del corpo avrebbe avuto molto successo. Perché sapevo quanto fossero talentuosi.

Proprio parlando degli occhi è impossibile non notare quanto siano umani e commoventi. Quanto è stato impegnativo dare vita a un robot?

Devo innanzitutto dare credito agli animatori perché con Roz hanno fatto cose che andavano oltre ciò che pensavo potessero fare. È piuttosto sorprendente quello che sono riusciti ad ottenere. Per quanto riguarda gli occhi, c’è stato molto da fare. Abbiamo parlato a lungo delle lenti. Volevo che sembrassero grandi e costose, che assomigliassero alle Panavision. Ho sempre detto che se una delle sue lenti si perdesse e dovesse sostituirla, le costerebbe circa 200.000 dollari metterne un’altra (ride, ndr).Volevo avessero molto vetro, con le iridi che si muovono. Nel trailer si può vedere un piccolo schema luminoso che si muove nella parte posteriore dei suoi occhi che cambia velocità e luminosità a seconda del suo umore.

Una scena de Il robot selvaggio di Chris Sanders

Una scena de Il robot selvaggio di Chris Sanders

La luce serve a far orientare lo spettatore attraverso i suoi umori?

Sì, ho pensato che fosse una cosa molto credibile. Se comprassi un robot come Roz, penserei che una delle cose che il manuale di istruzioni potrebbe menzionare è il suo stato, una diagnostica basata sulle luci. Quando passano dal verde al giallo la potenza diminuisce, dal giallo al rosso vuol dire che lo stato è critico, rosso vivo simboleggia che è in pericolo. C’è una scena nel libro in cui viene attaccata da uno degli animali dell’isola. E in quel momento tutte le luci diventano rosse. Ma pulsano anche secondo la sua voce. Penso che con queste limitazioni abbiamo trovato nuovi modi efficaci per seguire la sua situazione emotiva.

Cosa spera che il pubblico tragga da questo film?

Una delle cose che Peter Brown ci ha rivelato quando abbiamo avuto la nostra prima conversazione non è scritta nel libro. Il principio guida che teneva a mente era che la gentilezza può essere un’abilità di sopravvivenza. E quando lo ha detto, ho pensato: “Oh mio Dio, dobbiamo inserirlo nel film”. L’ho scritto in un dialogo. È qualcosa che dice la volpe doppiata da Pedro Pascal in un momento in cui è un po’ frustrata nei confronti di Roz. Le dice: “Devi imparare come funzionano le cose sull’isola”. E gliele spiega. È un crimine essere uccisi. E se esiti, non vedrai la fine della giornata.

Quello che spero che le persone imparino dal film – qualcosa a cui tutti possiamo pensare a prescindere da chi siamo – è che per poter sopravvivere, dobbiamo superare ciò per cui siamo stati programmati. Molte volte sentiamo di non poter cambiare. Abbiamo la sensazione che, qualunque sia il motivo per cui siamo quello che siamo, forse è il prodotto del luogo in cui siamo cresciuti, della nostra famiglia. Roz è un essere pre-programmato mentre gli animali sull’isola sono programmati per uccidere. È una situazione di sopravvivenza. Ma tutti arrivano al momento in cui hanno una crisi e devono fare meglio di così.

È il messaggio del film?

Penso che non abbiamo realizzato un film con un messaggio, ma c’è un tema ispiratore. E credo che Roz ne abbia il controllo. È uno dei motivi per cui alla fine della storia, sia nel libro che nel film, quando l’azienda che l’ha creata si rende conto che è là fuori operativa, diventa molto interessata a riaverla. Penso siano preoccupati per lei e, al tempo stesso, affascinati. Vogliono studiarla perché non vogliano che ciò accada di nuovo. È potente.

Una scena de Il robot selvaggio di Chris Sanders

Una scena de Il robot selvaggio di Chris Sanders

Nel trailer un robot dice a Roz che non dovrebbe sentire nulla. Ma uno dei temi del film è l’empatia. Crede che, specie in un periodo come quello che stiamo vivendo, ci dobbiamo ricordare del suo potere?

Assolutamente. Nella mia vita quotidiana, sia su scala più ampia che su scala più piccola, alla fine della giornata penso tra me e me: “Avrei potuto fare di meglio in una determinata situazione? Avrei potuto ascoltare di più? Avrei potuto prendermi un po’ più di tempo?”. E sicuramente mi sono ritrovato in situazioni in cui ho lavorato con persone che non lo facevano. Non hanno speso energia per essere gentili. Perché essere gentili e pazienti richiede impegno ed energia. Ed è facile non farlo. Ma se lo fai, si possono fare grandi cose. La comunicazione non si interrompe. Si possono imparare cose gli uni dagli altri e migliorare situazioni. E questo è quello che mi ispira del libro e quando guardo il film.

Viviamo in un momento storico in cui è in corso un grande dibattito sulla tecnologia e sull’intelligenza artificiale e sul loro utilizzo nella nostra vita e lavoro. Lei ha realizzato un film in cui un robot convive con un mondo selvaggio. Qual è la sua opinione?

Quando ero adolescente ricordo che guardavo le notizie e c’era questa grande storia sui sintetizzatori e le tastiere che potevano riprodurre qualsiasi suono, da quello di un sassofono a quello di un violino. Dicevano che le orchestre erano morte. Soprattutto quando si trattava di colonne sonore di film. Ricordo questo ragazzo in una stanza piena di tastiere che diceva. “Posso scrivere la colonna sonora di un film da solo”. Si poteva fare per poche centinaia di dollari ciò che prima sarebbe costato milioni. Eppure non durò un minuto. Non è la stessa cosa, neanche ora con i sintetizzatori più moderni. E Kris Bowers, il nostro compositore, ha creato una score estremamente realistica e dettagliata in scala con i sintetizzatori.

Ma abbiamo trascorso cinque giorni agli Air Studios di Londra con un’orchestra di 80 elementi. Non c’era paragone. È come stare sotto una doccia invece di stare fuori durante un monsone o tuffarsi in un oceano. Quella musica l’avevo ascoltata molte, molte volte. All’improvviso mi sono commosso fino alle lacrime e ho avuto i brividi perché era semplicemente diverso. L’elemento umano non verrà sostituito. Troverà un ruolo. Si sistemerà in un luogo dove sarà utile. Penso che lo dovremo capire tutti insieme.

Una scena de Il robot selvaggio di Chris Sanders

Una scena de Il robot selvaggio di Chris Sanders

Da La Bella e la Bestia a Il robot selvaggio l’animazione è cambiata o sono cambiati solo gli strumenti che vengono usati?

Il mestiere che ho imparato ne La Bella e la Bestia è stato impagabile perché facevo parte della squadra della sceneggiatura. Ho imparato l’arte dello storyboard e della narrazione da Joe Ranft, Ed Gombert, Brenda Chapman, Roger Allers. Mi hanno insegnato come comportarmi e continuare a trasmettere i miei sentimenti e le mie opinioni. Questo è il cuore e l’anima di ciò che facciamo nell’animazione. E se lo cambi, i film non funzionano. Posso dire guardando un film, quali avevano troupe narrative che collaboravano ed erano libere di fare quello che facevano e quali film non permettevano loro di fare il loro lavoro.

Altre “rivoluzioni”?

Quando è entrata in scena la CG, abbiamo ricevuto alcuni “regali”. La cosa migliore è la capacità di muovere la telecamera nello spazio, cosa che non potevamo fare nell’animazione tradizionale dove potevamo zoomare o magari eseguire una panoramica. Ma quando abbiamo potuto muovere la macchina da presa a livello dimensionale ed entrare in un personaggio e ottenere il cambiamento dimensionale che si ottiene in un film d’azione dal vivo, abbiamo ottenuto molto di più di quanto avessimo mai avuto prima a livello emotivo. Ma abbiamo anche iniziato a perdere alcune cose.

Quali?

Il calore e il fascino del disegno analogico. Il robot selvaggio ha una superficie analogica al 100% che non vedevo dai tempi di Lilo e Stitch. Abbiamo tutto il meglio della CG, la capacità di muovere la telecamera, utilizzare obiettivi diversi, ma la verità e la connessione che ottieni dalle superfici dipinte a mano ci hanno portato al punto di partenza e ci hanno ricollegato con questo film a ciò che ha reso l’animazione eccezionale. Resterò fedele a questo. Il robot selvaggio ha chiuso un cerchio che cercavamo di chiudere da decenni.