Annette Bening e il momento storico “terribile”: dagli scioperi di Hollywood agli attacchi ai diritti LGBTQ

La nuova presidente del consiglio di amministrazione dell'Entertainment Community Fund implora l'America di sostenere i lavoratori colpiti dall'interruzione delle produzioni ed esprime la speranza di unità dopo le proteste: "Andremo avanti"

Non erano gli Oscar, ma quasi. Il 25 settembre 2021, l’Academy of Motion Pictures Arts and Sciences ha inaugurato il suo museo del cinema da 484 milioni di dollari progettato da Renzo Piano. Quella sera, Annette Bening, Tom Hanks e Bob Iger hanno ricevuto i Pillar Award, come riconoscimento ai loro sforzi nel guidare la campagna di finanziamento per completare il progetto. Il tutto ha rappresentato un momento di vera e propria unione per Hollywood e per la città di Los Angeles che, finalmente, aveva un nuovo simbolo di cui vantarsi.

Meno di due anni dopo, quell’orgoglio ha lasciato il posto a profonde fratture in un’industria in stallo a causa degli scioperi della SAG-AFTRA, il sindacato degli attori e della WGA, il sindacato degli sceneggiatori. Mentre la battaglia infuria, Bening è tornata alla ribalta con una nuova missione.

L’attrice, 65 anni, ha assunto la carica di presidente del consiglio di amministrazione dell’Entertainment Community Fund (ECF), precedentemente noto come Actors Fund, che supporta dal 2008. Un mese dopo, la SAG-AFTRA ha scioperato, portando la Bening a lasciare il set australiano della miniserie Apple TV+ Never Fall. È tornata a Los Angeles, dove non ha perso tempo picchettando e illustrando la missione dell’ECF, che dal 2 maggio ha distribuito più di 4 milioni di dollari a 2.000 lavoratori del cinema e della televisione attraverso il suo fondo per l’interruzione del lavoro. Nello stesso arco di tempo, l’organizzazione ha raccolto più di 7 milioni di dollari da 8.400 donatori, tra cui Bening, Steven Spielberg e Kate Capshaw, Katie McGrath e J.J. Abrams Family Foundation, Stacey Abrams, Greg Berlanti, Vince Gilligan, Seth MacFarlane, Michelle Pfeiffer e David E. Kelley, Daniel Radcliffe e Shonda Rhimes, tra gli altri.

Il gruppo sta distribuendo aiuti finanziari da 400.000 a 500.000 dollari a settimana, rispetto ai 75.000 dollari a settimana dell’inizio del 2023, in risposta all’urgente necessità di coprire spese di sostentamento come l’affitto, le cure mediche e i generi alimentari. L’ECF non è solo: IATSE e Teamsters hanno organizzato una raccolta di cibo il 28 luglio che ha visto 1.000 veicoli in fila per ricevere casse di cibo. La SAG-AFTRA Foundation ha recentemente raccolto 15 milioni di dollari da una serie di star per sostenere i membri del sindacato.

Actors Fund

L’Actors Fund è stato fondato nel 1882 come rete di sicurezza per i professionisti dello spettacolo, e da tempo si è adattato alle esigenze della comunità, sia con la creazione di Broadway Cares/Equity Fights AIDS nel 1988, sia con il concerto di beneficenza Dreamgirls, durato una notte, in seguito all’11 settembre. “Quello che facciamo è molto significativo e speciale perché lo facciamo con integrità e umiltà”, dice l’attrice.

Lo stesso si può dire di Bening, che ha preso il posto del presidente di lunga data dell’ECF Brian Stokes Mitchell. Amata per il suo contributo all’arte – testimoniato da quattro nomination agli Oscar, due nomination ai Tony e due vittorie ai SAG Awards e ai Golden Globes – è altrettanto apprezzata dietro le quinte come motivatrice efficace nell’attirare l’attenzione, i fondi e la forza verso le cause filantropiche. “Ha una certa serietà”, ha dichiarato il Ceo dell’Academy Bill Kramer. “Fa le sue ricerche e studia i fatti”, spiega Stokes Mitchell. Il presidente e amministratore delegato dell’ECF Joseph Benincasa la definisce “sempre incredibilmente gentile”.

Annette Bening mostra tutte queste qualità durante la conversazione di un’ora in un venerdì pomeriggio di agosto presso il nuovo complesso dell’ECF, l’Hollywood Arts Collective, che comprende un centro artistico comunitario e alloggi a prezzi accessibili. “Non è meraviglioso?”, dice raggiante mentre esplora un’unità abitativa vuota utilizzata per l’intervista. “Questo edificio è occupato all’80% e presto si riempirà di artisti: è fantastico”.

A causa dello sciopero degli attori, non può parlare del suo prossimo ruolo di rilievo, la nuotatrice Diana Nyad nel film biografico Nyad. L’argomento rimane quindi il lavoro di volontariato. “Avrò sempre una certa ambivalenza nell’essere una figura pubblica”, spiega. “Penso che sia salutare avere sentimenti contrastanti al riguardo”.

Oltre a essere una sostenitrice di lunga data di Planned Parenthood e della ricerca sul cancro al seno, ci parla di quale sia la sua missione e di come la sua decisione di assumere la presidenza sia stata influenzata dal fatto che il figlio, Stephen Ira, 31 anni, si sia dichiarato transgender durante l’adolescenza.

Annette Bening

Annette Bening

Non c’è niente di meglio che saltare nella mischia in un momento di crisi. Come sono state le ultime settimane da quando ha assunto la presidenza dell’ECF?

Sto cercando di aiutare il più possibile, soprattutto facendo conoscere alle persone tutto ciò che facciamo. In primo luogo, rendendo noto il fondo per l’interruzione del lavoro. L’Actors Fund esisteva già da 140 anni e aveva una sua base di raccolta fondi. Tuttavia, dovevamo sempre spiegare che non era solo un’iniziativa per gli attori, ma per tutti gli operatori del mondo dello spettacolo. Prima della pandemia avevamo già deciso di cambiare nome, poi è scoppiato il Covid e siamo passati da una certa notorietà a un’ottima reputazione, perché siamo stati in grado di fungere da centro di raccolta fondi. Molti si sono rivolti a noi – abbiamo ricevuto milioni dall’Academy, dalla Writers Guild, dagli showrunner e, naturalmente, dai singoli – perché si trattava di un fondo di emergenza per le persone senza lavoro. L’Entertainment Community Fund è diventato abilissimo nel fare tutto online, e ha tuttora un processo semplificato.

Abbiamo finito per erogare più di 30 milioni di dollari (da marzo 2020 ad aprile di quest’anno) a soggetti di tutto il Paese e, grazie a ciò, il nostro profilo e il nostro mandato hanno finito per cambiare. Siamo diventati molto più importanti in breve tempo, perché le esigenze sono tante, sempre di più. Se qualcuno lavora nel mondo dello spettacolo, può andare online e scoprire molto rapidamente se ha i requisiti per ricevere assistenza finanziaria d’emergenza.

Qual è il vostro obiettivo al momento? 

Soprattutto diffondere la voce. Ho constatato che una volta che le persone vengono a conoscenza di ciò che sta accadendo o si prendono il tempo di venire a vedere ciò che stiamo facendo, vogliono aiutare. Vogliono farlo davvero, sono generosi. Seth MacFarlane ha donato 1 milione di dollari per il nostro fondo per l’interruzione del lavoro. Una cifra davvero incredibile. Con gli scioperi e tutte le notizie che circolano sulla nostra attività, l’Entertainment Community Fund viene citato sempre più spesso, perché abbiamo sì un’assistenza finanziaria d’emergenza, ma anche tutta una serie di altre cose, tra cui consulenze per la salute mentale, consulenze in caso di situazioni di crisi, riabilitazione, servizi di assistenza sanitaria – che è un problema enorme.

La nostra assicurazione sanitaria dipende dal nostro lavoro, per cui se sei iscritto a un sindacato devi guadagnare una certa somma di denaro per ottenere i benefici, e se non lo fai, vieni cacciato. È quanto sta capitando alla gente proprio in questi giorni. Durante la pandemia, abbiamo assunto altre otto persone a tempo pieno per poter aiutare la gente ad assicurarsi e a rimanere assicurata in periodi difficili come questo.

Sta diventando abile nel chiedere soldi alla gente?

Non sono diventata molto brava. Cioè, non proprio. Non metto direttamente nessuno in difficoltà. Aiuto solo a far girare la voce. Scrivo lettere e metto il mio nome sulle cose, e certamente invito le persone. Per esempio, se siete interessati ad aiutarci, potrei inviarvi una lettera per ringraziarvi e invitarvi a venire all’Hollywood Arts Collective per una visita. Ma cerco di non mettere le persone in difficoltà. So che a me non piacerebbe, quindi non credo sia giusto farlo. Io accendo i riflettori. Questo è il mio compito.

Quali sono i programmi che ECF gestisce oltre alla raccolta di fondi in tempi di crisi? 

Abbiamo un programma che Bebe Neuwirth ha creato per le persone che hanno abbandonato la professione di ballerino per dedicarsi ad altre attività. Quanti sanno che abbiamo un programma di transizione professionale? Cosa succede se sei un artista in difficoltà e vorresti uno stipendio fisso, ma non sai cosa fare? ECF aiuta a risolvere tutte queste questioni.

Che cosa ha imparato guardando Brian Stokes Mitchell alla presidenza? Perché ha accettato di succedergli

Osservando Stokes, ho notato che per lui era tutto molto naturale. Diceva: “Lo faccio perché mi fa stare bene”. In un certo senso, è molto semplice. Si vuole aiutare proprio come si vorrebbe fare con i propri familiari. La sensazione è che ci prendiamo cura di noi stessi. Vogliamo che il nostro settore ci sia un posto dove le persone possano rifugiarsi quando sono in difficoltà. Per quanto riguarda la sua successione, ho dovuto pensarci a lungo per via delle preoccupazioni legate alla mia famiglia, alle responsabilità, ai viaggi e a tutto il resto. Ma è stata una transizione molto naturale dopo aver parlato con Joe Benincasa e Stokes.

Torniamo alla decisione di dire sì dopo aver valutato le preoccupazioni per la sua famiglia. Può parlare di come abbia influito sulla decisione? 

Ogni volta che mi dedico a qualcosa, penso a questo. Il fatto che i miei figli siano cresciuti mi ha aiutato: la mia figlia più piccola ha lasciato casa, ormai da quasi cinque anni.

Parlando dell’ECF, i che modo riuscite a far conoscere il vostro lavoro? 

In ogni picchetto a cui ho partecipato, ho cercato di fare un discorso e di dire: “Ehi, ragazzi, c’è una cosa chiamata ECF, e siamo qui per voi”. Ogni volta qualcuno si avvicina e dice: “Ma sono coinvolto anch’io!”.

È mai successo a lei? 

Sono cresciuta nel teatro regionale.

Quindi girava molto denaro? 

No. Ma riuscivo a mantenermi, a pagare l’affitto, a fare le mie cose. Sono molto grata al teatro regionale non profit, che è tutta un’altra storia. Molti, ora, stanno chiudendo. La pandemia ha decimato il teatro dal vivo, e molti esercenti non si sono mai ripresi. Abbiamo bisogno di fondi pubblici per aiutarli, e c’è molto lavoro da fare.

Ho letto che il fondo sta distribuendo 400.000-500.000 dollari a settimana a causa dei doppi scioperi, rispetto ai 75.000 dollari a settimana all’inizio del 2023. È un salto enorme. Quanto sono gravi le previsioni per i prossimi due mesi, se lo sciopero continua?

È terribile per l’intero settore, per non parlare dei lavoratori, la spina dorsale del cinema, che lo tengono in piedi e fanno tutto il lavoro. La gente perderà la casa.

Come è stata coinvolta nel sostegno al Museo dell’Academy?

Attraverso il consiglio di amministrazione dell’Academy. Quando sono entrata nel consiglio, sapevo a malapena cosa fosse (ride, ndr). Ho ricevuto una lettera in cui mi si chiedeva se volevo partecipare a una riunione per la nomina del consiglio di amministrazione dell’Academy. Mi sono sentita un po’ in colpa perché non sapevo cosa fosse. Ma ho pensato: “Ok, credo di poterci andare”. Ci sono andata e nella stanza c’erano forse dieci persone che erano lì per le nomine. Ora tutto è molto più importante, ma in quel momento, questo gruppo di persone della sezione attori ha iniziato a nominare le persone e io sono stata casualmente nominata.

Annette Bening

Annette Bening

Si ricorda da chi?

Non me lo ricordo. Potrebbe essere stato Tom Hanks. Ricordo che era lì, perché mi ha detto: “È una cosa fantastica, puoi essere utile per qualcosa di davvero bello”. Era il 2008, mi ritrovai a partecipare a queste riunioni. Venne fuori che l’Academy aveva una proprietà a Hollywood, e un gruppo di persone diceva che avremmo dovuto farne un museo, che era assurdo che Los Angeles non avesse un museo del cinema.

Lei è rimasta per tutta la durata del progetto, che ha subito ritardi e problemi di budget. Avrebbe potuto abbandonare. Perché era importante per lei portarlo a termine?

Per tutte le ragioni per cui tutti gli altri erano interessati: come potevamo non avere un museo del cinema di livello mondiale a Los Angeles, né un luogo in cui la gente potesse capire e apprezzare davvero la bellezza e la storia di questa forma d’arte? Questo è il motivo. Man mano che l’idea si avvicinava alla concretizzazione, aumentava l’interesse di tutti e il desiderio di dare una mano. Volevamo che fosse un luogo accogliente in cui la gente potesse venire. Il museo è molto curato; c’è un bellissimo cortile dove la gente può riposarsi, c’è un ristorante e una caffetteria, e ci sono tutte le cose che si desiderano quando si va in un museo. Il cinema è stupendo e il nostro lavoro è ricco di storia.

Il Museo dell’Academy ha rappresentato un momento di unità per la città, in quanto tanti hanno contribuito a renderlo possibile. È difficile pensare che un evento come il gala del museo si svolga oggi, con talenti creativi e attori seduti fianco a fianco con i dirigenti ai tavoli degli Studios. Sarebbe possibile riunire tutti in una stanza?

Certo. Alla fine si risolverà tutto questo e andremo avanti. Le questioni sul tavolo sono fondamentali ma non insormontabili. In parte si tratta dell’esplosione dell’ambito tecnologico, che ha portato a far entrare nel mondo dello spettacolo anche coloro che non lo hanno mai fatto prima. Ma non stiamo costruendo un orologio. Siamo esseri umani. Il nostro è un lavoro stagionale, e dobbiamo guadagnarci da vivere. È per questo che è stato fondato l’Entertainment Community Fund, perché non lavoriamo con continuità. Troviamo lavoro e poi rimaniamo senza. Ci si trova un altro ingaggio fino a quando anche quello non finisce. Come si fa a gestire personalmente in un sistema del genere? Ecco perché, dal mio punto di vista, l’assistenza sanitaria è una questione fondamentale. Il fatto che viviamo con un sistema sanitario a scopo di lucro, per me, è grottesco.

Come tutti, ero a casa durante la pandemia e ho iniziato a seguire molti eventi virtuali. Ricordo di averla vista comparire in diverse occasioni, prima per la Point Foundation e poi per l’Unite for Equality Live! della Human Rights Campaign, parlando dei diritti LGBTQ+. Sembrava una novità per lei e sembra che sia stata una decisione ponderata. Può dirci perché ha deciso di farlo?

Per me, la vera transizione è avvenuta quando l’ala destra del Paese si è mobilitata sempre di più per disinformare le persone sulla tematica LGBTQ+. Hanno diffamato la comunità e creato problemi che non esistono, seminando odio e paura come mezzo per radunare la loro base. Ovviamente non è una novità, ed è successo già in passato nelle campagne elettorali, soprattutto contro gli omosessuali. Ma ora riguarda la transfobia, ed è un fenomeno dilagante.

Lo stanno facendo in un momento in cui ci sono sempre più persone trans che vivono apertamente e che sono insegnanti, scrittori e medici. Uno dei miei medici preferiti è una donna trans. Vorrei che tutti avessero una persona trans in famiglia, perché quando lo è qualcuno che ami, allora inizi a capire. Ho un figlio trans e per me è un’ispirazione. Certo, quello che sta accadendo nel mondo politico nei confronti delle persone trans è molto preoccupante e terribile. La situazione non potrà che peggiorare con l’avvicinarsi delle elezioni. Ho appena partecipato a un meraviglioso evento promosso dall’ACLU sul tema dei diritti di libertà biologica. Si trattava di questioni relative ai diritti dell’aborto e ai diritti transgender. Eravamo tutti lì per parlare di entrambi ed è stato fantastico. Vogliamo tutti poter decidere del nostro corpo senza che il governo interferisca. Non è forse un diritto umano fondamentale?

La transfobia si è fatta strada nel governo e ha portato a un attacco ai diritti e all’accesso alle cure mediche. Come riesce a elaborare ciò che sta accadendo?

È straziante per me la freddezza e la mancanza di compassione di tante persone, che cercano di suscitare nella gente la transfobia, e cercano di legiferare in merito. Non dovrebbe far paura a nessuno. Si tratta di un’esperienza privata, legittima, complessa, profonda, spirituale, fisica e psicologica che deve essere rispettata e onorata.

Suo figlio Stephen è uno scrittore. Che cosa ha imparato da lui? E come è stata l’educazione della famiglia?

Amare il proprio figlio è il modo migliore per imparare a conoscere le persone trans. Posso dirlo perché sono una madre: mio figlio è incredibilmente brillante. Ho quattro figli straordinari e li amo tutti. Stephen è sempre stato una persona estremamente dedita alla letteratura. Ho letto la sua ultima poesia appena pubblicata, è davvero straordinaria. È stato pubblicato sulla Paris Review! Sono estremamente orgogliosa di lui, che ha saputo crearsi una propria strada. È una persona che ammiro e ho imparato molto da quando ha fatto coming out. Ero molto ignorante su cosa significasse essere un ragazzo trans. Come ogni altro genitore, voglio proteggere i miei figli e assicurarmi che stiano bene, e ho dovuto imparare molto. Non sempre sapevo cosa fare e non sempre facevo le scelte giuste a causa della mia ignoranza, ma l’abbiamo superato.

A chi si è rivolta?

Ai professionisti. L’altra cosa strana della nostra vita è che siamo personaggi pubblici. Volevamo proteggere nostro figlio e allo stesso tempo volevamo ottenere il miglior aiuto possibile. E l’abbiamo fatto. Abbiamo trovato una soluzione.

Annette Bening

Annette Bening

Essendo dei personaggi pubblici, posso immaginare che abbiate ricevuto offerte per condividere la vostra storia o per fare una copertina di People. Ma non è questa la strada che avete intrapreso.

Non ne ho mai parlato così tanto perché sono una persona riservata e mio figlio è una persona riservata. È l’unico ad avere il diritto di parlare della sua vita.

Continuerà a usare la sua voce nel modo in cui l’ha fatto per via delle minacce attuali?

Sì, e abbiamo tutti la responsabilità di proteggere e difendere i diritti delle persone trans nel mondo. Sono parti preziose della nostra comunità. I miei genitori sono repubblicani e io sono cresciuta in una famiglia repubblicana. Mia madre, che ora ha 94 anni, è stata una delle prime persone a dire: “Prima avevo una bellissima nipote. Ora ho un bel nipote”. È semplice.

Da dove nasce il desiderio di farsi avanti, di servire e di restituire?

Credo che la maggior parte di noi lo abbia. Io sono fortunata ad avere l’opportunità di farlo. Anche in questo caso, forse perché sono cresciuta nel sistema dei teatri regionali non profit: c’era sempre una base di donatori da cui cercavamo di raccogliere fondi. Ma credo che sia naturale per la maggior parte delle persone voler essere coinvolti in cause e aiutare ovunque sia possibile. Nel nostro settore, possiamo fare molto facendo luce su qualcosa, portando l’attenzione su cose come l’educazione artistica. La musica, la danza, il teatro, l’opera, il cinema, la televisione: è qui che andiamo a cercare la gioia, la verità e i segreti più oscuri, quelli che non sapevamo nemmeno esistessero. È la parte della vita che la rende degna di essere vissuta.

Quando è stato premiata dal Museum of the Moving Image, Warren Beatty ha detto di non conoscere una persona più degna di onore di lei. Chi è la luce guida della sua vita?

Stokes è sicuramente uno di questi. Mi viene in mente Ian McKellen e tutto il lavoro che ha fatto. Il suo coming out e il suo operato per i diritti dei gay sono stati fenomenali. Sicuramente me ne verranno altri in mente più tardi.

Può sempre scrivermi un’e-mail. Ultima domanda: Quale vuole che sia la eredità?

Oh, mio Dio. È la prima volta che me lo chiedono. Non credo di essere pronta a rispondere, è una domanda troppo importante. Ma dirò che quello che conta davvero per me è che abbia fatto bene il mio mestiere cercando di restituire qualcosa in cambio.

Traduzione di Pietro Cecioni