Per cercare di decifrare il successo del film di Greta Gerwing e la “pink mania” che sta colorando l’estate 2023, proviamo a partire dall’inizio. A riavvolgere il filo tornando a 64 anni fa. È il 9 marzo del 1959 quando vede la luce la più famosa fashion doll del mondo: si chiama Barbara Millicent Roberts, detta Barbie, nata a Willows, una cittadina inesistente nel Wisconsin. La sua prima uscita pubblica è all’International American Toy Fair di New York: indossa un costume da bagno a strisce bianche e nere, un paio di sandali con il tacco alto, cerchi d’oro alle orecchie e occhiali da sole color latte. È in due versioni, con i capelli sia biondi che corvini raccolti in una coda di cavallo.
Le fattezze di Barbie, così come il suo mondo, sono in scala 1:6 rispetto alla realtà. Questo significa che, se fosse una donna in carne e ossa, sarebbe alta 1.75, con 91 centimetri di seno, 46 di vita, 84 di fianchi. Impossibile, in pratica. Ma l’immaginazione tutto può, anche trasformare una bambola in un logo, un oggetto da collezione, un marchio eterno. Il merito è di Ruth Handler, nata nel 1916 a Denver, fondatrice della Mattel Creations con il marito Elliot. È lei a pensare a un giocattolo per bambine “sveglie”, stanche di cullare bebè di celluloide.
Barbie: sull’onda di Bild Lilli
L’ispirazione arriva nel 1956 durante un viaggio in Svizzera, quando Ruth incrocia una creatura che fa al caso suo. È Bild Lilli: biondissima, procace, tanto bella da somigliare un po’ a Marlene Dietrich. L’ha inventata come personaggio di un fumetto Reinhard Beuthien, una striscia di successo pubblicata sulla Bild Zeitung tanto che poi Lilli esce dal giornale e diventa una bambolina. Ruth impiegherà tre anni per costruirne un modello simile, e realizzare Barbie servendosi della manodopera giapponese, specializzata in giocattoli miniaturizzati.
Vuole che la sua doll sia libera, moderna, audace, che passi le giornate a bere bibite a bordo piscina o in case di lusso, che sappia guidare l’automobile e abbia un guardaroba fornitissimo, sia il baricentro di una grande famiglia – la Heart family – e possa essere coccolata da molte amiche e altrettante decine di deliziosi pets. Naturalmente in questa soap zuccherina e perfetta non può mancare un fidanzato. Nel 1961 arriva infatti Kenneth Carson, detto Ken, l’alter ego maschile di Barbie: un compagno poco presente in realtà perché la Nostra preferisce il lavoro all’amore.
Attualmente si contano oltre 300 mestieri intrapresi dalla “bionda”: modella, veterinaria, architetta, infermiera, insegnante, giornalista, atleta olimpica, informatica, dentista, astronauta e pure Presidente degli Stati Uniti, nonché leader del “partito delle ragazze”.
Mille trasformazioni
Nel tempo la fashion doll è diventata leggermente più formosa, addirittura “curvy” dopo le polemiche per la Barbie Slumber Party (“pigiama party”) lanciata nel 1965 per via di quella bilancia inclusa nella confezione con l’indicatore bloccato sulle 110 libbre (50 kg). Sono cambiati anche i capelli e la melanina per il mercato ispanico, afro, e orientale, e per tentare di essere politicamente corretta la statuaria pupazza ha abbandonato padelline e grembiuli da cucina per sfrecciare sui pattini a rotelle, e ha perfino lasciato Ken nel 2004, dopo 43 anni di love story.
La biografia ufficiale recita che Barbie, dopo un breve flirt con il surfista Blaine, si è ripresa l’eterno, inossidabile fidanzato. Parla inoltre cinquanta lingue ed è il simbolo di un mercato parallelo fatto di profumi, cosmetici, abbigliamento, videogiochi. Secondo Mattel sono state smerciate oltre un miliardo di Barbie in 150 Paesi da quel lontano 1959 in cui la bambola col costume riuscì a vendere in un solo anno 300mila pezzi a 3 dollari ciascuno (oggi, per inciso, quell’esemplare vale circa 27mila dollari).
Fatturati record
È in pratica il giocattolo numero uno nel mondo come confermato da Forbes che riporta fatturati miliardari, da record. Esistono decine e decine di modelli dell’”eroina” ideata da Ruth Handler, il più amato è datato 1992, la Totally Hair con i capelli lunghi fino ai piedi. La più costosa è invece la Barbie by Stefano Canturi, realizzata per il mercato australiano, adornata con veri diamanti e battuta all’asta da Christie’s per 270mila euro destinati alla Breast Cancer Research Foundation.
Ritratta da Andy Warhol, usata da Moschino per una apposita collezione, citata in musica e in letteratura, conservata nella “capsula del tempo” dal Governo americano come oggetto iconico per spiegare la storia del Novecento, celebrata a Parigi con una mostra d’arte: Barbie, che vi piaccia o no, fa parte dell’immaginario collettivo planetario e il tempo non ne ha scalfito l’impatto dirompente.
È logo, è simbolo, e forse non è neppure così oca come qualcuno si ostina a descriverla. Marco Tosa che le ha dedicato un libro parla di un «colosso in miniatura capace di resistere a tutte le possibili aggressioni». E in effetti dopo 64 anni Barbie e la sua Heart Family continuano a popolare fantasie, a dividere l’opinione pubblica, a provocare diatribe, censure, o ad alimentare passioni spropositate, fino a diventare un film di successo. Proprio come si conviene a un granello del Sogno Americano.
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