Addio Shane MacGowan: l’anima dei Pogues, l’angelo fragile che ha cantato per i ribelli e per i dimenticati

Scalmanato e improbabile, etilico e pazzo, ma sempre con una luce dentro: se n'è andato a soli 65 anni al termine di una vita randagia, regalandoci una musica allegra, struggente e potentissima. All'insopportabile mondo del buon senso ha sempre preferito la strada, i locali alcolici e malfamati. Nel segno di un punk-folk irlandese che faceva ballare tutti: soprattutto gli esclusi. (All'interno un fotoreportage inedito di Niccolò Berretta)

Se n’è andato a Dublino, nella sua Irlanda, l’unico amore totalizzante di una vita randagia. L’unica bussola in un’esistenza faticosa, deragliata, difficile eppure illuminata dal genio della poesia. Perché era un poeta Shane MacGowan, un poeta punk, un busker che alle certezze della normalità, all’insopportabile mondo del buon senso ha sempre preferito la strada, i locali alcolici e malfamati, i vecchi canali del porto, le compagnie meno rassicuranti.

Shane, nato il giorno di Natale

Se n’è andato a 65 anni, malato da tempo, colpito da una rara forma di encefalopatia cerebrale, l’ultima tappa di un calvario segnato da cadute, denti rotti, dipendenze, denunce, arresti. Shane nato in Inghilterra il giorno di Natale del 1957, ma che inglese non si è mai sentito, figlio di due emigrati irlandesi che passavano le notti nei pub a brindare fino allo sfinimento. Nato il giorno di Natale, per l’appunto, come un Gesù Bambino scalmanato e improbabile, etilico e pazzo ma che aveva una luce dentro. E al Natale lui dedicò una canzone struggente, potentissima: Fairytale of New York i cui protagonisti sono una coppia di barboni allo stremo, esclusi dalle luminarie della città in gran spolvero, esclusi, disperati e soli.

Shane Mac Gowan

Shane Mac Gowan – Photo by Niccolò Berretta

Ecco, Shane MacGowan ha cantato per i ribelli, per i dimenticati, ha cantato e fatto festa perché tutti, ma proprio tutti, potessero ballare, alzare i calici, fare cin cin, inventarsi un futuro, un sogno, un amore. È stato e rimane il leader dei Pogues, la mega band che suonava strumenti tradizionali ma con la velocità dei Clash, altra passione di Shane. Passione ricambiata da Joe Strummer che nei periodi peggiori della storia del gruppo si trasformò in produttore pur di aiutarli, e sostituì McGowan in tour quando stava troppo male. Perché, dopo l’alcol arrivò anche l’eroina, la scimmia dura.

L’anima senza più pelle

Al punto che Sinéad O’Connor, che voleva bene a quel ragazzo secco e senza denti, finì per denunciarlo pur di costringerlo a disintossicarsi. Lo chiamava “l’angelo fragile”, proprio lei che aveva un’anima senza più pelle, nessuna protezione dagli urti, dai lividi. Insieme con quell’orgoglio da figli d’Irlanda, da fratelli di sorte, hanno cantato Haunted, piccolo gioiello dimenticato: due parabole in parallelo, chiuse troppo in fretta. Eppure Shane, anche quando non si reggeva sulle gambe, aveva quella luce dentro che illuminava gli angoli più bui. Se ne accorse Elvis Costello che ci mise i soldi e la faccia per far uscire Rum, Sodomy, and the Lash nel 1985.

Ci vogliono altri tre anni per realizzare un disco all’altezza dei Pogues, quel capolavoro pubblicato nel 1988 che si intitola If I Should Fall from Grace with God, un’alternanza di punk-rock, folk irlandese, omaggi alla Spagna e alla pazzia, al casino e alle passioni, inno alla luce che non si spegne mai, neanche alla fine del tunnel. Non c’è artista che non abbia amato Shane, lo abbia citato. L’ultimo è stato Bruce Springsteen che pochi mesi fa, in tour in Irlanda, è voluto andare a trovarlo a casa, dargli l’ultimo saluto. E poi, poi Nick Cave, quel duetto assurdo, paradossale e meraviglioso in What a Wonderful World, il brano portato al successo da Armstrong, trasformato in una ninna nanna sbilenca per cuori frantumati.

L’omaggio di Johnny Depp

In questa strana carriera che dai Pogues lo hanno successivamente portato a fondare i Popes, e purtroppo poco altro, ci resta da vedere, rivedere Crock of Gold: a Few Rounds with Shane MacGowan, documentario di Julian Temple co-prodotto da Johnny Depp, un omaggio sentimentale, sentitissimo, una celebrazione di Shane il “disadattato” che con la sua musica scatenata e obliqua ha fatto ballare, cantare generazioni, ha trasformato l’Irlanda stessa in una questione identitaria, una piccola patria verde per chi non aveva casa.

Shane Mac Gowan

Shane Mac Gowan insieme al fotografo Niccolò Berretta – Photo by Niccolò Berretta

E tra i tanti meriti di questo artista fuori da ogni etichetta c’è il recupero delle tradizioni, come segno, simbolo, come anima, come necessità. C’è un video su YouTube in cui Shane – gonfio, malfermo, goffo e maledettamente autentico – canta Dirty Old Town, un pezzo del 1949 di Ewan MacColl ambientato tra le nebbie dei Salford Docks, inno della classe operaia che non andrà mai in paradiso.  E lui bacia lei sul muro della fabbrica mentre i fumi dell’industria “pizzicano” gli occhi, aiutano a piangere senza sentirsi troppo romantici, troppo deboli nel mondo dei forti, tutto giustificato da quella nebbia che toglie il respiro.

Perdiamo un poeta, un eroe tragicomico, un musicista, perdiamo  l’amico più improbabile che perfino a Natale non ci faceva sentire soli. Mai soli.

Le foto – inedite – sono di Niccolò Berretta, che nel 2016 è partito alla volta dell’Irlanda alla ricerca di Shane MacGowan: sono tra le ultime immagini dell’ex cantante dei Pogues. Nella gallery trovate il reportage dello stesso Niccolò Berretta, “Road to Shane”: colline e prati verdi, scorci, nebbia e incontri casuali sulla strada per trovare Shane. E la sua Irlanda.