Becoming Levi: la mia identità on the road, i miei film e la passione per l’Harley Davidson

La regista di Più buio di Mezzanotte torna in sella a una Harley: ha due film da girare, una transizione da raccontare e una ragazza da presentare. Si chiama Levi. L'intervista in esclusiva con The Hollywood Reporter Roma

L’avevamo lasciato alla Mostra del Cinema di Venezia, e prima ancora a Cannes. Trent’anni, gran talento, belle speranze: l’esordio alla Semaine de la Critique con Più buio di mezzanotte, tre anni dopo in concorso al Lido con Una famiglia. Temi forti, controversi – l’identità queer, l’utero in affitto – in fatale anticipo sui tempi: l’esordio nel 2013 e l’opera seconda nel 2017, quando il metoo era solo un hashtag e l’inclusione un concetto estraneo alle conversazioni sul cinema. Poi, il silenzio. Dopo l’aggressione omofoba subita nell’ottobre 2017, nell’androne della sua abitazione romana, il siciliano Sebastiano Riso era sparito dai radar. Oggi, sette anni dopo, è pronto a tornare. Con un nuovo nome, Levi, e la voglia di ricominciare a girare: due film in cantiere e una serie tv, pensati e scritti durante il lungo processo di transizione di genere. Un viaggio che l’ha portata lontano, letteralmente: in giro per il mondo in sella alla sua moto, prima da sola e poi accolta nel “branco” degli harleysti romani del gruppo “Roma Chapter”.

Prima transgender iscritta ufficialmente al club ufficiale Harley Davidson (la Harley Owners Group, la più grande associazione di harleysti al mondo), Levi Riso incontra THR Roma durante uno dei raduni periodici del gruppo. In un locale alla periferia di Roma, davanti all’ippodromo di Capannelle, gli harleysti si ritrovano in lunghe tavolate all’aperto: un teschio di mucca all’ingresso, musica dal vivo dentro, odore di birra, legno e benzina. “Mi addormento felice e mi sveglio contenta”, dice, mentre i compagni di strada brindano rumorosamente.

La moto è sempre stata una passione?

Da qualche anno. La passione l’ho scoperta mentre stavo cambiando altre cose della mia vita. Credo che ci si permetta di germogliare solo quando si hanno finalmente delle radici solide. È andata così: nel momento in cui ho sentito di aver individuato non dico la destinazione, ma almeno il percorso giusto, ho deciso di fare tutto quello che mi piaceva. Inclusa la moto. La Harley Davidson è stata la mia prima pelle dopo essermi spogliata di quella “vecchia”. Una pelle che è un po’ una corazza di metallo, che mi ha protetta negli anni della presa di coscienza. Letteralmente.

Quanto è durato quel periodo?

Una decina di anni. Mi è servito del tempo. Non volevo una transizione “genitale”, ma percettiva. Volevo fare di questo passaggio una riappropriazione di me stessa. Non inseguire le aspettative della gente, insomma, ma la percezione che avevo di me.

E qual era?

Mi sono chiesta: cosa significa essere una donna? Sono una donna? Sono un uomo? Cosa sono? Alla fine mi sono risposta: sono un omaggio alla femminilità. E mi sono impegnata perché questo omaggio arrivasse nel modo più lieve ed elegante possibile. Mi sono detta: anziché prendere ormoni, cerca di leggere più libri. Anziché fare un percorso di pillole, fai che le tue pillole siano suggestioni intellettuali. Cerca personaggi che ti possano guidare.

Chi l’ha guidata?

Lo dice il nome stesso che ho scelto, Levi. Rita Levi Montalcini, che è una donna con cui ho sempre sentito una grande affinità. E Primo Levi. Se questo è un uomo è un testo che mi ha aiutato moltissimo. I trans sono cittadini di serie B, sa? Ovunque nel mondo sono all’ultimo gradino della scala sociale. Dopo la transizione è molto più facile perdere il lavoro, la famiglia, tutto quello che hai. Io stessa, adesso, non posso più viaggiare in alcuni paesi del mondo. È interessante: nel momento in cui fai un gesto di grande onestà, ufficializzando e mostrando agli altri i tuoi sentimenti, questa cosa genera nel mondo una grandissima paura.

Adesso a che punto è del percorso?

Il mio percorso è appena iniziato, ma il binario è giusto. Il viaggio non sai quando inizia, perché non puoi focalizzare il momento preciso dell’avvio. Quindi non sai nemmeno quando sarà finito. Puoi solo misurare il tuo livello di aderenza a ciò che senti di essere. Le dico una cosa: ognuno di noi dovrebbe fare una piccola transizione. Emanciparsi da un lavoro che non ama, da un padre che non ti rispetta, da una moglie o un marito che ti prevarica. La transizione è questo: mettersi in discussione.

Come si sente oggi?

Vado a letto felice e mi sveglio contenta.

Vuole essere chiamata con l’articolo femminile o maschile?

Rispetto chi soffre nel sentirsi chiamare con la declinazione sbagliata del genere. Ma trovo anche che sia importante permettere agli altri di affidarsi alla propria percezione. Nel mio caso specifico, se riesci a concepire un’idea del maschile con il seno e questo aspetto, puoi chiamarmi come vuoi.

Levi Riso

Levi Riso

Ma agli harleysti come l’ha spiegato?

Diciamo che il Roma Chapter è un gruppo piuttosto particolare: in mezzo c’è pure una cartomante, chi ha la terza media e chi ha due lauree, chi parla sei lingue e chi a malapena la sua. Sono 210 maschi e dieci donne. E poi ci sono io.

Come li ha convinti, esattamente?

Nel settembre di tre anni fa mi sono incontrata con Simone, che gestisce il Roma Chapter ed è un omone di un metro e novanta, tutto tatuato. Arrivo con i pantaloncini, una maglietta cortissima, le curve, i capelli biondo platino. Pensavo che non mi avrebbe mai voluta nel gruppo, figuriamoci. Invece lui mi studia un secondo e fa: ‘Vuoi andare in moto? Noi non creiamo problemi agli altri e non vogliamo che gli altri creino problemi. Se ti piace fare i chilometri, e hai questi requisiti, sei dentro’. Quando ho fatto la richiesta alla direzione internazionale del club, mi hanno detto che ero la prima transessuale in 120 anni di storia a chiedere l’iscrizione. Si aspettavano che sarebbe successo, prima o poi. Ma da Berlino, magari. Dall’Inghilterra, dagli Stati Uniti. Certo non da Roma.

La sua storia sembra un film. Lo diventerà?

Sì. Lo scrive Stefano Bises (Esterno Notte) con Luca De Bei e produce Marco Belardi. L’idea l’ha avuta Bises, che è un amico. Pensavo fosse pazzo: era un materiale troppo autobiografico. Quando sono andata da Belardi, gliel’ho raccontata così: è la storia di un uccellino che fa il nido in una tana di lupi. Abbiamo consegnato adesso la prima stesura. Doveva chiamarsi Becoming Levi. Ma non mi convinceva. Il nuovo titolo è Becoming Blu.

Levi Riso

Levi Riso

Sceglierete un attore cis o trans per la parte principale?

La storia è quella di un ragazzo che inizia a muovere i primi passi nella transizione, introducendo pian piano elementi di femminilità. Quindi stiamo pensando a qualcuno che abbia di voglia esplorare quel terreno. Ho anche un altro film in preparazione, e una serie. Non sono stata ferma in questi anni.

Di cosa parleranno, film e serie?

Il film, prodotto da Indiana Production, è la storia di un’eroina transessuale nella Roma occupata nel ’43. C’è un fondamento di verità, perché è in parte la storia di un mio prozio, che fu confinato in quanto omosessuale. Venendo dal varietà, aveva confidenza con il femminile e con il travestitismo: fu mandato in Germania da Mussolini come forza lavoro e tornò a Roma due giorni dopo il rastrellamento al Ghetto. La serie la sto scrivendo con Maddalena Ravagli e Leonardo Fasoli, produce Tramp Limited. Parla di quattro transessuali, diversamente donne, a Roma. Uno se la aspetterebbe come una città retrograda e conservativa, e invece è la mecca per le transessuali di tutto il mondo: brasiliane, sudamericane, asiatiche, la amano tutte. Per motivi che indagheremo nella serie.

L’aggressione del 2017 accadde sulla scia delle polemiche sul suo film, Una famiglia. Lo rifarebbe?

Era un tema delicato, l’utero in affitto. Ma era ispirato a una storia vera, con esiti tra l’altro molto più violenti rispetto a quelli che abbiamo raccontato. Se tornassi indietro affronterei il tema in maniera differente. Lo farei con un maggior distacco. Senza alcuna manipolazione sentimentale. All’epoca ero un esordiente che credeva che il buon cinema arrivasse attraverso l’emozione. Tutti questi anni mi sono serviti a capire che solo quando prendi la distanza dall’emotività riesci a fare un’opera più matura.

Ha paura che possa accadere di nuovo?

Non ho paura. Anzi, quello che è successo mi dà una ragione in più per continuare a fare questo mestiere. Sento una forte responsabilità.  Anche e soprattutto dopo quello che mi è accaduto. Sono più forte, oggi. Sono preparata.

Digital Cover: "Ora sono Levi"

Talent: Levi Riso
Art Director: Piepaolo Pitacco
Produzione e Coordinamento: Pino Gagliardi; 
Foto: Marco Nicolai
Assistente fotografo: Leonardo Cestari;
Mua: Sebastian Gimelli Morosini;
Hair: Paride Emme.