Luca Barbareschi: “Sarei un ottimo Ministro della Cultura. La Coppa Volpi me la do da solo”

"Industria, talento, rompere gli schemi e palle, ecco cosa serve al nostro cinema. E 1,5 miliardi di investimenti dello Stato tra fiction e grande schermo". La ricetta del regista, produttore e attore per salvare il settore è chiara. "E basta settarismi. Il prossimo anno produrrò due film di registi premi Oscar".

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Doppio film, triplo ruolo per Luca Barbareschi nel festival di Venezia appena passato: con la Casanova Multimedia ha prodotto Roman Polanski e il suo The Palace, ha diretto e interpretato come protagonista e mattatore assoluto The Penitent – A rational man. E non gli è passata la solita voglia di provocare, magari partendo proprio dalla polemica che ha attraversato tutta la Mostra, quella di Pierfrancesco Favino sull’appropriazione culturale, ormai griglia di regole hollywoodiana rigidissima da cui solo gli italiani sono esclusi. “Io sono tra i pochi a dire da sempre che non dobbiamo asservirci agli americani, li rispetto ma loro devono fare lo stesso con noi. Sono felice che ora anche Pierfrancesco Favino dica quello che io vado affermando da anni”.

Come l’attore, ne fa soprattutto una considerazione industriale. “Israele, che è 10 volte più piccolo di noi, è davanti a noi in tutto l’audiovisivo. Ora battiamoci per gli investimenti, per essere competitivi con gli altri paesi: dobbiamo avere almeno 500 milioni sulla fiction e 1 miliardo sul cinema. La Germania ne mette 2,3, la Francia 1,4. Noi i soldi dello stato, peraltro, non li usiamo per competere con gli altri mercati ma per aiutarli! Perché dare i soldi a Mission Impossible? Diamoli a Disney, sì, ma quando fa I Leoni di Sicilia. Servono industria, talento, rottura degli schemi e palle e smettere di fare film ideologici, che mandano messaggi. A chi poi? Dedichiamoci alla grande letteratura. Guarda Mamet, lui mica può mai fare un film a tesi, lui pone quesiti fondamentali per la nostra umanità”.

Luca Barbareschi: “Farei il Ministero della Cultura”

Dopo aver detto che gli sarebbe piaciuto essere designato per una grande istituzione culturale – “la Biennale o il Festival di Venezia“, confessa che “avrei fatto volentieri il Ministro della Cultura quando facevo politica. Conosco tutti, parlo 5 lingue, ho fatto quotare in borsa la Grimm Interactive con Nichi Grauso, un’azienda, un server che arrivò prima di America On Line. Sai chi ci boicottò? Lo Stato italiano. Siamo un paese che ama farsi del male. Comunque non succederà mai, non sarò mai ministro perché ho due grandi difetti, incompatibili con una posizione come quella: faccio le cose senza perdermi in chiacchiere – io sono uno che ai convegni si rompe i coglioni – e sono troppo coerente con le mie idee”.

Su The Penitent – A rational man, in cui attacca molte categorie, e soprattutto la comunicazione, dice che pensando allo stato attuale, al politicamente corretto e al giornalismo scorretto “a volte mi viene voglia di ritirarmi come San Benedetto da questo mondo imbecille in cui c’è solo la voglia di uccidere l’avversario, in cui vige la culture of shame: dicono sia iniziato tutto con i social, ma è così dal post ’68 con Focault”. E invece bisognerebbe vergognarsi delle ambizioni meschine di tempi miseri come questi. “Fare soldi, avere potere non vale nulla, vale l’aspirazionalità, ciò che fai per passione, la crescita spirituale. Ma in questi anni c’è solo il danaro e la volgarità, non basta essere millionaire, devi essere billionaire. La senti quanto è sgraziata questa b, questo raddoppio? Eppure le ultime generazioni preferiscono seguire falsi miti. Ma pure tanti miei coetanei”.

La politica e l’Uno contro Tutti

Si è anche stancato di essere vittima di “giudizi e pregiudizi” che si basano sulla sua appartenenza politica. “Mi contestano a sinistra? Io da sempre sfido il loro settarismo, mi piacerebbe rifare un Uno contro tutti come ai tempi di Costanzo, sarei curioso di giocarmela con tutti questi che pippano, si fanno pagare in nero e vanno a Montecarlo. Cosa faccio di male? Dare lavoro a tanta gente? Pagare le tasse fino all’ultimo euro? Sopporto poco che castrino il mio potenziale creativo, e poi perché? Io di solito do opportunità, non le tolgo agli altri, eppure io faccio lavorare tutti, nei miei film e nel mio teatro non devi mostrare alcuna tessera, non so chi vota chi recita per me”.

I progetti futuri

Tanti i progetti della sua Casanova Multimedia nell’immediato futuro. “La seconda stagione di Black out – Vite sospese, La lunga notte, sugli ultimi mesi del fascismo, il film Venduti, mio prossimo film da regista, Minichiello (il responsabile del primo caso di dirottamento aereo intercontinentale, il più lungo nella storia dell’aviazione civile: oltre 19 ore da Los Angeles a Roma per un totale di quasi 11.000 chilometri in aria, già protagonista del documentario di Alex Infascelli Kill me if you can), due film di due premi Oscar di cui non posso parlare, La luce nella masseria, due documentari molto grossi, uno dei quali è un Nashville italiano che passa per Sanremo, infine un biopic dedicato al fondatore della Bank of America A.P. Giannini, definito “il banchiere degli ultimi”. E poi il nuovo film di Roman Polanski, un uomo speciale, delicato, sensibile e spirituale che difenderò per sempre e fino allo stremo”. A The Hollywood Reporter Roma, però, confessa soprattutto un progetto che insegue da tempo. “Sogno un film in Uruguay, sul Rio de La Plata, dove sono nato. E forse ho trovato la storia giusta, mi porterà via molti mesi, sarà un viaggio lungo fino alla Patagonia”

Chiude con una provocazione “veneziana”. “La Coppa Volpi dovevano darla a me, nessuno ha fatto quello che ho fatto io, recitare in inglese per tutto un film a quel livello. Il più bravo quest’anno sono stato io, è più forte di loro fare quadrato e darsi i premi l’uno con l’altro. E l’unico modo è tagliarmi fuori dalla competizione. Ma d’altronde qui a Venezia le lobby rubarono un Leone d’Oro a Polanski (si riferisce a L’ufficiale e la spia, “solo” Leone d’Argento – ndr). Ma io continuo a combattere, non mollo”.

Sui colleghi attori svela che “mi piacerebbe recitare con Pierfrancesco Favino e con Elio Germano che non lavorerebbe mai con me per ragioni ideologiche, tra i registi stimo moltissimo Paolo Sorrentino e Saverio Costanzo, ma abbiamo tanti autori bravi. Sarebbe bello se fossi giudicato per il mio valore, se potessi sfidarli sul set e non fossi escluso per quello che pensano di me. O credono di pensare, mi piacerebbe giocarmela alla pari con tutti loro, sul campo, ma in questo paese non è possibile”.

E la chiusura è una nota amara. “Io ho fatto lavorare tutti, in nome della libertà e del talento. Fregandomene di cosa pensassero o delle loro disavventure. Appena sono inciampato io, invece, tutti mi hanno girato le spalle”.