La parabola dylaniana di Jay Gladstone: un uomo giusto che, come Giobbe, ha tutto da perdere

Bianco, ricco, americano. Fondamentalmente buono. Buon marito, buon padre. Destinato alla tragedia, complici i social media. E' in uscita per la casa editrice fiorentina Spider and Fish I risvolti della fortuna, il sorprendente romanzo dello scrittore newyorkese Seth Greenland: materiale da film, non c'è dubbio

Un uomo bianco, ricco, americano. Fondamentalmente buono. Buon marito, buon padre. O più che buono, Jay Harold Gladstone è un giusto. Come Giobbe: anche lui uomo ricchissimo, amato e felice. Ha tutto quello che si può desiderare dalla vita ma è generoso, devoto: un giusto, fra i pochi giusti della terra.

I risvolti della fortuna è un romanzo di Seth Greenland, scrittore newyorkese per la prima volta tradotto in Italia da Matteo Curtoni e Maura Parolini e in uscita per la casa editrice fiorentina Spider and Fish.

Una scommessa divina

Racconta una storia dall’eco biblica ma estremamente contemporanea e delicata. Una vicenda, quella di Jay Harold Gladstone, che è simile, da un lato, a quella di Giobbe. Entrambi depositari di ogni fortuna, entrambi uomini retti, inattaccabili – in un caso davanti a dio, nell’altro davanti agli uomini.

Per una scommessa divina, Giobbe perse tutto: tutti i beni, tutti i figli, il benessere e l’affetto che aveva intorno, e infine la salute. E questo per una sorta di scommessa: è davvero così pio, questo Giobbe, o basterà trattarlo con meno riguardo e la sua fede vacillerà?, diceva il Diavolo sfidando Dio. Togliamogli la ricchezza, e vediamo. Togliamogli l’amore dei figli, e vediamo.

La storia di Jay Gladstone invece è tutta terrestre: è la fortuna che all’improvviso comincia a girare per il verso sbagliato e sono gli occhi ben meno misericordiosi degli esseri umani ad aspettarlo al varco di ogni errore e cedimento.

Jay ha una moglie di cui è molto innamorato, una figlia a cui è legato, una società immobiliare, una squadra di pallacanestro di cui è proprietario e che è sulla cresta dell’onda, un migliore amico che è anche il suo più importante giocatore. È conosciuto per essere una persona saggia, capace di assumersi le proprie responsabilità, equilibrato, di vedute aperte. Legge la biografia di Spinoza prima di dormire e al mattino appena sveglio fa sempre una passeggiata a cavallo.

La svolta della Pasqua ebraica

Poi però la moglie, Nicole, se ne esce con un improvviso desiderio di maternità, mentre da contratto prematrimoniale era stato pattuito che non ci sarebbero stati bambini. Avita, figlia in età da college, nata dal matrimonio precedente, si presenta al pranzo di Pesach (la Pasqua ebraica) con la sua nuova fidanzata, un’afroamericana antisionista che si mette a discutere a tavola della ragion d’essere dello Stato di Israele, fino a essere cacciata dallo stesso Jay.

Infine, tornando prima del tempo da un viaggio di lavoro, Jay trova Nicole a letto con Dag, il giocatore della sua squadra di basket. E, fresco della discussione di Pesach, stanco, intontito dalla brutta sorpresa, si trova a dire: “Ma perché tutti in questa famiglia sentono il bisogno di fare sesso con gente di colore?”.

Oggi lo sguardo degli umani è ben più duro di quello di Dio o di Satana che dall’alto mettevano alla prova Giobbe, ma altrettanto onnisciente.

È uno sguardo che si infila ovunque ci sia un telefono a poter fotografare, riprendere, registrare. Ed è uno sguardo distante, al riparo di uno schermo, onnipotente e giudicante. Pronto a sbattere nell’inferno dei vivi l’uomo che c’è dietro una parola, un gesto o un’espressione.

Gladstone inchiodato dai social media

Quella frase infelice viene immortalata, non si sa come arriva alla grande gogna dei social, e da lì per Jay Gladstone comincia il disastro. Perché è difficile non inciampare, non sbagliare, non impappinarsi, quando ci si ritrova sul banco degli imputati. Giustificarsi è il peggior modo di parlare di sé. Basta nulla per sembrare razzista davanti al pubblico accigliato, nulla per sembrare sessista, omofobo e classista agli occhi di una figlia, nulla per sembrare un ladro se tuo fratello non ha tenuto a posto i conti dell’azienda di famiglia.

Basta nulla anche per dare l’impressione di aver volontariamente investito un uomo in macchina, soprattutto se quell’uomo è nero e tutti sanno che è andato a letto con tua moglie. Non importa che fosse anche il tuo migliore amico: più si è nella posizione di doversi giustificare, più ci si autoaccusa, e qui l’eco è kafkiana. Non può che andare sempre peggio, rotolare giù, ogni errore ne porta con sé un altro e lo sguardo severo dell’opinione pubblica o di un giudice ti affossa.

Come Like a Rolling Stone

Questa è la storia di Jay Gladstone, che ricorda Giobbe o una canzone di Bob Dylan, dove alla domanda “Come ci si sente” – a cadere dall’alto, “essere senza una casa, come un completo sconosciuto”? – si risponde Like a Rolling Stone. Quando hai tutto, sempre parafrasando Dylan, hai tutto da perdere. Jay come Giobbe ha tutto e perde tutto. Ma è anche portatore di un peccato originale: uomo, bianco, ricco, americano. Sono i privilegi che gli si rivoltano contro nella caduta. Si trasformano in sessista, razzista, classista.

I risvolti della fortuna forse parla soprattutto di posizioni e di sguardi. Equilibri delicatissimi. Visto da fuori Jay Gladstone è colpevole, non lo è visto dall’interno. Il suo peccato originale pesa, ma pesa soprattutto se si è abituati a essere immuni e impuniti, come lo è spesso un maschio occidentale. Mentre la debolezza genera debolezza. E poi ci sono gli occhi dei giudici, quelli seduti in tribunale e soprattutto quelli che guardano attraverso gli schermi e accusano di razzismo, sessismo, classismo: occhi onniscienti e inattaccabili, finché sono dal lato di chi condanna.

La sfida della lealtà

Alla fine però, quel che resta è ciò che il protagonista di questo romanzo condivide con il patriarca biblico: una certa forza che, nonostante fuori tutto crolli, permette di mantenere un centro, o piuttosto una lealtà che li fa rimanere saldi e “giusti”: lealtà che nel caso di Giobbe è rivolta a Dio e nel caso di Jay Gladstone alla “giustezza” stessa – e in fondo che quella lealtà sia immanente o trascendente cambia ben poco.