Fabiana Udenio, da Giorgio Strehler ad Arnold Schwarzenegger: una carriera ai confini della realtà

Dall'esordio a 15 anni come prima annunciatrice di Rai3 al successo su Netflix con la serie FUBAR. Divisa tra Italia e Stati Uniti, l'attrice ha attraversato il meglio e il peggio di Hollywood. E di Cinecittà: "Via dall'Italia perché non c'era meritocrazia"

Da Giorgio Strehler a Baywatch. Da Pippo Baudo a Arnold Schwarzenegger. Da Rai3 allo streaming, da Massimo Boldi a Gregory Peck. Una carriera ai confini della realtà quella di Fabiana Udenio, 58 anni, italiana trapiantata negli Stati Uniti da quasi quaranta, dopo un folgorante inizio nella Rai fine anni Settanta e un’altrettanto splendida nuova vita su Netflix, come moglie della “spia” Luke Brunner nella serie FUBAR (ferma al picchetto in attesa delle riprese della seconda stagione). Il cognome, Udenio, potrebbe suonare poco familiare in Italia – per il nostro cinema ha girato Anni 90 di Enrico Oldoini, con Strehler ha recitato ne La Tempesta a 13 anni. Ma il suo volto appartiene all’immaginario nazional-popolare, icona della storia della tv catodica del secolo scorso: prima annunciatrice di Rai3, inguainata in una tutina fotonica rosa shocking, Udenio inaugurò le trasmissioni della terza rete il 15 dicembre 1979 con un “Ciao, sono Fabiana” religiosamente conservato nelle teche Rai.

Nata a Buenos Aires, figlia di immigrati italiani in Argentina, oggi vive a Playa Vista in California (“Malibù è sopravvalutata”) e torna volentieri a Roma, dove ammette di avere qualche problema con il traffico. Il suo non è un curriculum, ma un case study: almeno una presenza in tutte le serie culto degli anni Novanta (da Cin Cin a Walker Texas Ranger, da Renegade a Tequila & Bonetti), ha vissuto la vita hollywoodiana ai tempi di Austin Powers – Il controspione, le feste nella Playboy Mansion di Hugh Hefner, poi la grande serialità su piattaforma, l’era dell’inclusivity e delle rivendicazioni sindacali. Entra nella redazione di THR Roma a due giorni dallo sciopero che paralizzerà Hollywood, dopo aver fatto una manovra con la macchina da sospensione immediata della patente. “Ciao – dice – sono Fabiana”.

La seconda stagione di FUBAR e lo sciopero: cosa succederà?

Con lo sciopero degli scrittori, i copioni sono rimasti a metà. C’era l’intenzione di girare le puntate già scritte tra il prossimo autunno e l’inverno, ma con lo sciopero degli attori la vedo dura. 

È rimasta in contatto con Schwarzenegger?

Sì, lo scorso Natale ci ha invitati tutti a casa sua. E di recente siamo stati insieme all’inaugurazione di una bellissima mostra fotografica. Il problema è che Arnold si ostina a non avere il cellulare, dice che sopravvive usando FaceTime sul tablet. Quando si mette in testa una cosa, è difficile fargli cambiare idea: pensi che FUBAR, all’inizio, nemmeno doveva chiamarsi così. Ma lui era talmente convinto che un giorno si è presentato  sul set con le magliette “Fubar” per tutta la troupe. È un leader nato.

Parlavate mai di politica sul set?

Non molto. Però parla volentieri di culturismo. Sa quella cosa che disse quando era un ragazzo, che fare i pesi era “come fare sesso”? Beh, adesso ammette che non era vero. Lo disse solo per fare notizia, per fare pubblicità alla disciplina. Meglio il sesso, insomma.

Come ha ottenuto il ruolo di sua moglie in FUBAR?

Ho mandato un self tape, uno di quei provini fatti in casa (uno dei temi dello sciopero degli attori, ndr). Ormai da noi sono abituati così, ti danno le battute il giorno prima e devi organizzarti al volo: trovare qualcuno che ti faccia da partner, le luci, lo spazio. Le agenzie lo fanno per cento dollari, che non è poco. Poi, se passi il provino, devi fare il “chemistry meeting”: cioè ti incontri in videochiamata con l’attore che sarà il tuo partner per capire se c’è chimica. Come uno speed date su Tinder. 

Con Schwarzenegger come è andata?

Bene, l’ha colpito il mio “calore”. Sul set è una persona premurosa, un uomo genuinamente curioso del prossimo. Ha rotto il ghiaccio lui. Avevamo alcune scene di intimità da girare insieme e lui, mi disse, non era abituato.

Fabiana Udenio

Fabiana Udenio

Per esempio?

C’era una sequenza in cui dovevamo stringerci le mani. L’abbiamo rifatta venti volte. Mi ha detto: nessuno nella mia carriera mi ha mai preso la mano così. Mi sono sentita tanto lusingata. 

È stata sul set di Walker Texas Ranger: chi è più “duro”, Schwarzenegger o Chuck Norris?

Chuck Norris? Lo ricordo come un uomo molto piacevole. Semmai la dura fui io, finii all’ospedale spaccando un vetro con la mano in una scena d’azione. 

Baywatch: che ricorda?

Le diete. La ginnastica. Che l’oceano era freddissimo. 

Nel suo curriculum c’è anche Gregory Peck (in Scarlatto e nero, di Jerry London), come andò?

Era un uomo molto dolce, mi disse che gli ricordavo Isabella Rossellini. Io però presi una cotta pazzesca per un attore che interpretava, mi pare, la parte del soldato. Avevo 17 anni e un bacio di due minuti con lui. Ricordo praticamente solo questo.

Amici a Hollywood ne ha?

Non tanti, non ora. Il mio periodo più festaiolo fu ai tempi di Austin Powers (nel 1997, ndr). C’erano le famose feste alla Playboy Mansion dove andavano tutti, da Jack Nicholson a Kevin Spacey. Se tenevi un basso profilo, non facevi uso di droghe e te ne andavi entro l’una, poteva essere molto utile: conoscevi gente, ti facevi pubblicità.

Ha visto mai qualcosa che non doveva?

Sono sempre stata molto prudente. Una volta sono entrata nel grottino, ne parlavano tutti. Era una specie di pertugio con una cascata: dentro c’era qualcuna in topless, ma niente di straordinariamente scandaloso. Però ecco, io a mezzanotte e mezzo me ne andavo. 

Che ci faceva a 15 anni su Rai3?

Non avevo capito che fosse una cosa così importante: venivo da Strehler, ero fissata col teatro, avevo studiato tantissimo. Mi faceva paura la diretta: in effetti fu tutto molto incasinato. Mi fa molta tenerezza ripensarci.

Invece, da Strehler, come c’era finita?

Avevo vinto Miss Teenager a 12 anni e mezzo, non so nemmeno quanto fosse legale. Feci un provino per La Tempesta e mi innamorai immediatamente del teatro. Subito dopo mi chiamarono per fare questa cosa dell’annunciatrice, contemporaneamente feci anche un provino con Pippo Baudo: mi voleva come “ragazza del mese” a Domenica In. Avendo già firmato per Rai3, mi dissero che c’era un problema politico e che avrei dovuto scegliere. Fu una sliding door. 

Perché non ha continuato a recitare in Italia?

Mi trovavo male. Mancava la meritocrazia. Negli anni Novanta molte attrici erano modelle che venivano doppiate. In America era tutto più competitivo, ma anche più razionale: se andavi bene ti richiamavano, altrimenti eri fuori. In Italia feci una commedia musicale con Modugno, poi con Oldoini negli anni Novanta. Quando mi arrivò la possibilità di girare una soap opera in America, sono partita.

Italiana in America prima dell’era dell’inclusivity: è cambiato qualcosa?

Mi sono adattata. Sul mio piccolo accento di base ho messo un po’ tutto: ho fatto l’italiana, la spagnola, la latino americana e persino la russa. A volte, quando cercavano “qualcosa di esotico”, mi scurivo i capelli. Adesso nelle descrizioni dei personaggi si legge “open to ethnicity” (aperto a tutte le etnie, ndr), e nessun giornalista durante la promozione di FUBAR ha fatto caso alle mie origini. Ho amici caucasici che si lamentano che non ci sia più niente per loro. Sa cosa dicono? Si augurano un movimento per reintegrare a Hollywood i maschi bianchi di mezza età. Poverini.

(L’intervista è stata realizzata in data antecedente all’annuncio dello sciopero da parte di SAG/AFTRA)