“Questo è un festival dedicato agli attori, giusto? Alla recitazione – ha detto Michele Riondino, sul palco del Teatro Trifiletti di Milazzo dove si è svolto, dal 29 febbraio al 3 marzo Attorstudio Milazzo Film Festival – e nel cinema, i tempi, i tempi della recitazione, sono importanti. Pensate a Totò, ai più grandi”. Davanti a Caterina Taricano e Mario Sesti, direttori dell’iniziativa, offre subito, l’attore e regista di uno dei più bei film dell’anno, Palazzina Laf, un tributo a chi è con lui sul palco.
Vieni avanti cretino, il capolavoro di Lino Banfi visto da Michele Riondino
“Posso dire una cosa? Invito tutti voi del pubblico, quando vi capiterà di rivedere la scena degli schiaffi di Vieni avanti cretino, un film che tra l’altro inizia con una citazione strepitosa di Toro scatenato, a fare attenzione ad alcune inquadrature particolari di Lino Banfi. Parliamo di quella scena famosa in cui i due “conterroni” si incontrano sotto al Colosseo e si riempiono l’un l’altro di ceffoni. Allora, io vi invito tutti quanti, di fare come capita a me ogni volta che la vedo (e l’ho rivista tante tante volte quella scena, così come tante altre di Banfi), vi suggerisco di fare attenzione ai piani d’ascolto di Lino Banfi, perché sono quelli che rendono davvero grande l’attore. A noi attori, in verità, piace tanto osservare i nostri colleghi e gli attori sono grandi quando hanno un piano d’ascolto sincero, vero. E tu, Lino, fai ridere proprio quando sei sincero e generoso, soprattutto nei piani d’ascolto. A me questa cosa mi ha sempre colpito tantissimo. Ed io ti ringrazio”.
E Lino Banfi, premiato anche a lui, a Milazzo, cosa risponde? “È bella questa cosa detta da te che fai il mio lavoro. Quello che mi dava gli schiaffi era uno che facevo lavorare sempre nei miei film, era un mio amico di Bari. Io, prima, gli dissi: ‘oh non ce ne diamo di troppo forti davvero’. E lui: ‘Lino, tu mi dici sempre che dobbiamo fare la verità’. E alla fine, quello che è successo, lo potete vedere nel film. Una vagonèta di mazzète“.
Una scena entrata nell’immaginario collettivo più di quanto si possa credere. “Pensate che una volta, vado a San Giovanni, per salutare i frati (che, tra l’altro, parlano tutti come parlo io nei film) – parlo dei frati Cappuccini di San Giovanni Rotondo. E il superiore, a un certo punto, ha chiamato due fraticelli e sono arrivati questi due fraticelli, uno con la barba e uno senza. Si sono alleggeriti un po’ il saio, se lo sono allentato, come a renderlo più, non so, leggero. Mi sono chiesto: che vogliono fare questi? Forse sono acrobati, mi fanno vedere qualcosa. No, si sono messi uno di fronte all’altro e hanno attaccato: hanno cominciato a darsi gli schiaffi e a ripetere le battute di quella scena a memoria. I due frati! Uno dei due aveva la barba ma il rumore del ceffone sulla guancia si sentiva lo stesso”.
Michele Riondino e Lino Banfi, due figli del Sud
A questo punto il pubblico in sala (nella platea di 400 posti e nei tre ordini di palchi tutti pieni), è in delirio.
Lino Banfi ha 87 anni, è nato ad Andria è ha trasformato il suo vero cognome (Zagaria) in Banfi, su suggerimento di Totò, come ha raccontato a Milazzo (“I comici con il cognome lungo difficilmente hanno successo” gli disse il Principe): Banfi era il cognome di un compagno di scuola di Lino, il primo in ordine alfabetico durante l’appello.
Michele Riondino è di Taranto, ha 44 anni e ha da poco esordito alle regia con un film, Palazzina Laf appunto, che rivela un’incredibile storia di mobbing kafkiano, legato alla Ilva della famiglia Riva, che ha momenti di surreale angoscia e tossica critica del mondo del lavoro di oggi in questo Paese: c’è una idea di cinema, nel film, che gli avrebbe guadagnato una pacca sulle spalle da Elio Petri.
Banfi è forse più popolare adesso, grazie a youtube, di quando alimentò, a partire dagli anni ’60, il cinema popolare italiano di commedia con più di 130 film alle spalle (tra il 1968 e il 1970 ha fatto 8 film ogni anno), con una energia inarrestabile (la stessa, insospettabile, in quel corpo, che nei suoi film lo dota di un atletismo da comicità del muto grazie ad un’agilità di corse, capitomboli, petting frenetici).
Con il personaggio di Nonno Libero di Un medico in famiglia ha toccato punte di 12 milioni di spettatori tv.
Riondino viene da una famiglia di operatori sociali (“Ho tutti i familiari sindacalisti, dalla parte di mia madre sono tutti FIOM, dalla parte di mio padre sono tutti CISL, e quindi ogni volta che esprimo critiche nei confronti dei sindacati nazionali, capisci bene la guerra che si crea in casa”), fa parte del Comitato Cittadini e lavoratori liberi e pensanti e dal 2012 è il direttore artistico del concertone dell’uno maggio di Taranto insieme a Roy Paci e a Diodato.
Il padre di Banfi faceva il contadino (“aveva frequentato la scuola fino alla terza elementare ma aveva una passione ed una abilità sconosciuta per la pratica degli innesti”) e Lino ha vissuto per molti anni degli stenti del varietà prima di diventare un comico stranoto, circondato dalle donne più sexy degli anni ’70 come Edvige Fenech e Nadia Cassini (“Un celebre chirurgo, di cui non posso dire il nome, una volta mi si inginocchiò davanti per baciare la mano che aveva palpato il lato B della Cassini…”).
Il riscatto “pugliese” di due mattatori
Insieme, sullo stesso palco, rappresentano con una certa evidenza la forza espressiva e attoriale di una regione, come la Puglia, che per anni ha subito l’egemonia di comici di tutt’altro dialetto: “Negli anni ’50 gli attori pugliesi dovevano fingersi napoletani, ora, da qualche anno, ho l’impressione che possa succedere il contrario”, ha detto una volta Sergio Rubini, altro talento attoriale nato nell’area.
“Tu puoi fare non solo il giovane Montalbano: ti auguro di fare anche quello di mezz’età e quello più anziano”, ha detto Banfi a Riondino.
In realtà, l’attore, che nel proprio film interpreta un oscuro carattere, pieno di paura e rancore, che finisce manipolato dai vertici aziendali, intende proseguire ancora in altre esperienze dietro la macchina da presa. Ma come ha detto Martone, in un video di congratulazioni per il premio, l’Acting Award, che i direttori artistici, Caterina Taricano e Mario Sesti, gli hanno assegnato: “ devo parlare di un attore, non devo parlare di un regista, però le cose non sono scollegate, nel senso che Michele Riondino è un attore straordinario, è un attore sottile, è un attore caldo, è un attore che emoziona chi lo vede sullo schermo, chi lo vede in teatro, perché non bisogna dimenticare che Michele è un straordinario attore anche in teatro e che anche in teatro fa delle scelte molto precise che hanno a che fare con la Palazzina Laf, un film che ho molto amato, quindi Michele Riondino è un attore che ha una testa, ha tutti questi aspetti istintivi, belli, morbidi, incisivi che fanno chiaramente il fascino di un attore, però questo fascino è collegato a una personalità, a una testa che intende essere padrona di se stessa, capace di guardare quello che ha intorno, il mondo, la società e assorbire tutto questo per farne poi in materia del proprio lavoro d’attore”.
Ed è inevitabile che, quando si traccia di un attore, un profilo del genere, l’illustre ombra che si staglia sullo sfondo, sia quella di Volontè: anche se nessun attore sarebbe così folle da pensare di autointestarsi una eredità del genere.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma