Alessio Vassallo e l’amore che diventa uno show in tv: “Ma io non guardo i reality e uso i social come un boomer”

L'attore è il protagonista di Indagine su una storia d'amore di Gianluca Maria Tavarelli, in anteprima fuori concorso alla 41esima edizione del Torino Film Festival. Una commedia "piena di dolore e malinconia" su una coppia che decide di mettere la loro relazione in pubblica piazza. L'intervista con THR Roma

Alessio Vassallo ha un animo antico. È palermitano (squadra calcistica per cui tifa), ha quarant’anni e ama i film in costume. Così come Dante e tutta la letteratura. Dopo ben due progetti su Rai Uno nel 2023 – Sei donne – Il mistero di Leila e La stoccata vincente -, per Vassallo l’anno si conclude con l’anteprima fuori concorso di Indagine su una storia d’amore di Gianluca Maria Tavarelli alla 41esima edizione del Torino Film Festival, commedia surreale tanto quanto autentica sul male che possono farsi le persone. A volte solamente in cerca di visibilità.

L’opera di Tavarelli mette al centro il Paolo di Alessio Vassallo, accanto alla co-protagonista Lucia di Barbara Giordano. Una coppia che si è amata tantissimo, il cui sentimento sta cominciando a svanire. Per riaccendere la fiamma e cercare uno sbocco per la loro carriera di attori, i due decidono di partecipare a uno show televisivo in cui devono mettere la loro relazione sulla pubblica piazza.

Con Indagine su una storia d’amore la commedia arriva a toccare i toni dell’assurdo, in modo quasi grottesco. Come è stato spingersi fino al surreale, parlando però di qualcosa di così reale come i sentimenti?

In verità penso che di assurdo non ci sia nulla in questa commedia. È vero, i rapporti uomo-donna non arrivano necessariamente a questo stadio nella realtà, ma è molto più probabile che il lieto fine non arrivi e Gianluca Maria Tavarelli non ha voluto minimamente fare la morale. La forza del film è l’aver raccontato una verità cruda, molto spesso tutta italiana. Mi ricordo di amici che da fuori sembrano gentili, carini, poi apri gli armadi e ci trovi gli scheletri. Come con Perfetti sconosciuti: è vero che chiudiamo i nostri segreti in scatole nere che ci portiamo dietro.

Lei come vive i rapporti?

Quando ero ragazzo li vivevo in maniera più spensierata. Non pensavo alle conseguenze, non stavo troppo ad arrovellarmi sull’aver tradito o sul poter fare del male all’atro. Con l’età capisci che, però, non ne vale la pena. Non vale la pena fare del male a se stessi, prima di tutto, e poi nemmeno agli altri. Non è facile mantenere un rapporto di coppia sano ed equilibrato. Indagine su una storia d’amore cerca di mostrarlo senza buonismi. Per questo è una commedia piena di dolore e malinconia.

Crede ci sia un obiettivo da dover raggiungere in amore?

Ma l’obiettivo qual è? Sono nel pieno della febbre e ieri sera per non pensare a niente mi sono messo a guardare la docuserie di Ilary Blasi su Netflix. Alla fine ciò che fanno i protagonisti del nostro film non è tanto più pazzo di ciò che avviene nella vita reale. Anzi, le nostre relazioni possono essere ancora peggio. E se alla fine si dovesse proprio trovare un obiettivo, allora sarebbe capire che non tutti finiscono felici e contenti. E che forse non esiste un solo amore, ma diventiamo il risultato di tutte le persone che abbiamo amato durante la nostra esistenza.

Cosa fa più paura ai vostri personaggi nel film? E in cosa potrebbe rispecchiarsi il pubblico?

La precarietà. La precarietà come costante che attraversa tutti i settori per le generazioni di oggi. Non bisogna pensare che solo gli attori vivano nell’incertezza. E questa precarietà è chiaro vada a riflettersi nei sentimenti.

C’è stato un momento nella vita in cui è stato Paolo, il suo protagonista?

Nei primi anni, in cui ogni tentativo che facevo lo vivevo come una battaglia.

Cosa è cambiato?

Dal punto di vista lavorativo me la prendo molto di meno. In questo momento sono a Torino per presentare il film in anteprima al festival. Ho la febbre? Pazienza. Prima mi sarei tremendamente avvilito. Ora prendo tutto con leggerezza.

Cosa le ha permesso di modificarsi? Di non essere più quello di una volta?

Capire che la vita non è questo, è altro. È decidere con giudizio a cosa dedicarsi, continuare a lavorare a progetti legati alla letteratura, che sono quelli che amo di più. E non dover dire per forza di sì. Se oggi mi propongono una fiction e non mi piace, allora la rifiuto.

Nel film vediamo come le persone non desiderano solo affermarsi, ma acquisire visibilità. Un po’ fosse lo Squid Game dei sentimenti. È la malattia dei nostri tempi?

È un disastro. Tutti i giovani si filmano costantemente. Vogliono apparire. Anche se sono atti osceni, non importa, si filmano. Nemmeno si fanno filmare da altri, lo fanno in prima persona. È come se non avessero le palle per affrontare la realtà, quindi cercano di imprimerla. Oggi conta solo dire la propria, esserci. E a nessuno importa che, agli altri, freghi o meno qualcosa. A me no di sicuro. È una democrazia fuori controllo, perché dove tutti possono dire tutto allora non è più democrazia. Si pensa ad apparire, a diventare dei fenomeni, e basta.

Che ne pensa, appunto, dei “fenomeni” che diventano poi attori?

A volte accade al contrario sa? Prima fanno, che ne so, una serie e poi iniziano a sponsorizzare borse, profumi. Ma quando la pubblicità finisce, non ti rimane alcun mestiere. Purtroppo è così, questa società della comunicazione è spicciola. Al pari dell’attuale propaganda politica. Siamo un mondo dove si leggono i titoli dei giornali e mai il loro contenuto.

Lei non li usa i social?

Sì, ma nella maniera più da boomer possibile, postando foto di lavoro o della vacanza.

E non guarda i reality show?

Per me sono il livello più basso dell’intrattenimento. È la vetrina in cui chiunque è disposto a mostrarsi per poi essere riconosciuto, non importa se metti alla berlina te, la tua famiglia, la tua vita, le tue malattie. Non è come quando qualcuno con un percorso artistico o intellettuale si mette a nudo, allora si riesce davvero a entrare in empatia e capire che quello che si sta guardando può essere utile. Ma sentire di una persona abbandonata dal padre e della malattia del fratello, che contributo può darmi?

Qual è, quindi, la sua prima fonte di intrattenimento?

Oltre ai film e alle serie tv seguo il calcio, sono appassionato del Palermo.

Come è entrato in sintonia con la sua co-protagonista, Barbara Giordano?

Barbara è incredibile, ci conoscevamo dai tempi dell’accademia Silvia D’Amico, ma non avevamo mai lavorato insieme. Ci siamo messi in ascolto l’una dell’altro e abbiamo imparato molto. A un certo punto sembravamo davvero una coppia di fidanzati piena di problemi.

Che il problema, oggi, sia proprio non essere più capaci ad ascoltare a causa del voler troppo apparire?

No, l’ascolto c’è, è che i tempi sono cambiati. È cambiato tutto. Ma già da quando ero piccolo io. Da ragazzino leggevo tanti libri, facevo giochi manuali, poi sono arrivati il computer e il Nintendo e si passavano i pomeriggi come automi davanti agli schermi. Ha contribuito a farci distaccare dal reale. Ora siamo tutti più distratti, non approfondiamo più nulla. Siamo la società del tutto e subito. Vedi una ragazza su Instagram? Le scrivi e uscite. Vuoi fare un viaggio? Vai su Booking. Cerchi un appartamento? C’è Airbnb. Avere tutto a portata di mano non è salutare.

Da questa intervista si evince che lei ha un animo antico.

Sono un grande amante di Dante, so i canti della Divina commedia a memoria. Credo che sia la cosa che mi contraddistingue di più, questo mio animo antico.