Nessuna nostalgia, tante battaglie: è (l’auto)ritratto di Luciana Castellina in 16 millimetri alla rivoluzione

Guardarsi indietro per andare avanti: Giovanni Piperno raccoglie in un documentario di un'ora - passato al Torino Film Festival - la testimonianza della scrittrice e giornalista, affiancata a più di 50 filmati di repertorio. È un percorso di consapevolezza politica, alla luce di una società profondamente cambiata

L’orologio segna 90 secondi all’apocalisse. E proprio nei momenti di crisi, è il caso di fermarsi un attimo e guardarsi indietro, a quello che è stato. Senza nostalgia, ma cominciando un percorso a ritroso, scegliendo con cognizione di causa i prossimi passi verso il futuro. 16 millimetri alla rivoluzione è questo, un percorso di consapevolezza politica, alla luce di una società profondamente cambiata, in un periodo storico in cui la manifestazione sta tornando a essere un forte strumento di cittadinanza attiva.

Il documentario di Giovanni Piperno, passato al Torino Film Festival, è un modo per il regista di guardare alla storia del partito comunista italiano di Enrico Berlinguer, a quel movimento che era riuscito a raggiungere 2 milioni di iscritti in tutta Italia e che aveva rappresentato per molti il primo approccio alla militanza politica, al cuore pulsante della democrazia, al dibattito e all’alfabetizzazione.

Non c’è nostalgia, neanche un briciolo. C’è invece un’analisi profonda di pregi e difetti, di scelte non fatte e di battaglie non combattute, raccontate da Piperno in una lunga conversazione con la scrittrice e giornalista Luciana Castellina, che si è iscritta al partito nel 1947, che è stata voce ribelle sulle pagine del Manifesto, e che tuttora si definisce comunista.

Uno sguardo al passato

Per Castellina, essere comunisti oggi, significa creare un posto di libertà e uguaglianza. “Rinunciarci sarebbe grave, per cui ci provo ancora. Questo significa essere comunisti”. 16 millimetri alla rivoluzione, nella sua ora di durata, ripercorre attraverso il racconto di Castellina e più di 50 filmati di repertorio alcuni momenti di storia del partito, in una grande atto d’amore da parte del regista romano.

L’impianto non nostalgico di questo documentario è il suo punto di forza, altrimenti sarebbe stato un lavoro fuori dalla modernità, per un partito che era fatto di compagni e compagne, ma non senza stereotipi di genere e divisioni culturali, è anche e soprattutto un tentativo di mostrare alle nuove generazioni cosa fu il PCI, cosa ha rappresentato per milioni di persone.

E ci riesce, con forza, attraverso immagini di forte significato sociale, e attraverso il rapporto personale di Castellina, la cui passione politica e tenacia sono d’ispirazione. Un cinema – quello di Piperno – che rende omaggio anche ai tanti registi e cameramen che hanno filmato per il partito tanti momenti, in un lavoro collettivo e di collaborazione che oltrepassa i confini temporali, e fatto da tanti per tanti, direbbe Cesare Zavattini.

Alla fine, si sente comunque un certo ottimismo, una speranza. Qualche passo indietro, necessario, prima della rincorsa.