“Il Mediterraneo? E’ un comandamento di morte”. Parla Sara Mardini, la “nuotatrice”

Da profuga salvò 18 persone su un barcone trascinandolo con la sorella fino a Lesbo. A nuoto. Un film su Netflix ed un doc raccontano la loro storia, la rivista Time le ha inserite nella lista delle 100 persone più influenti del 2023. E in questa intervista all'Hollywood Reporter Roma Sara dice: "È triste, dobbiamo sempre dire le stesse cose". (All'interno una recensione disegnata in esclusiva per THR Roma di Bagigias)

“Solo acqua, mare, natura: voi credete che sia questo il Mediterraneo. Ma per me è un cimitero, dopo l’esperienza che ho fatto, lo è per così tante persone. E’ un comandamento di morte”. Lunghi capelli neri, un’ampia maglietta bianca, jeans molto larghi ed enormi scarpe nere modello carrarmato, Sara Mardini ha 27 anni, stringe gli occhi scuri e sorride.

Chi è Sara Mardini

Bisogna raccontare la sua storia, perché Sara Mardini è un vortice di storie. In fuga dalla Siria in guerra, sette anni fa si ritrova insieme alla sorella Yusra su un barcone alla deriva in un infinito specchio del cosiddetto mare nostrum. Il motore smette di funzionare, ci sono diciotto persone a bordo invece che sette, il mezzo comincia ad imbarcare acqua. Prima Sara, poi Yusra, nuotatrici con sogni olimpionici, si tuffano: ed iniziano a spingere e tirare la barca nuotando per ore, fino ad una spiaggia dell’isola di Lesbo. Perché chi sa nuotare vive, chi non sa nuotare muore: Sara e Yusra non hanno voluto obbedire a questa legge del Mediterraneo, ed hanno spinto fino alla salvezza di tutti.

E’ solo l’inizio dell’odissea, certo: le due ragazze attraversano a piedi, in treno e in autobus la Grecia, i Balcani, l’Ungheria e l’Austria, prima di approdare a Berlino. Ma Lesbo chiama, e dopo poco, mentre Yusra davvero arriva alle Olimpiadi (squadra rifugiati), Sara decide di tornare per fare la volontaria nel campo di Moira, definito una “prigione a cielo aperto” da Human Rights Watch: accogliere migranti, fare da interprete, distribuire coperte, parlare. “Dicevo loro: so come vi sentite. Ripetevo che avevo vissuto le stesse cose, e che ero sopravvissuta. Si sentivano meglio, perché ero anch’io una profuga”. Un impegno che le costa, a 23 anni, un arresto, 106 giorni in un carcere di massima sicurezza ad Atene e due processi. Le accuse: assurde. Liberata su cauzione, dal 2018 è in attesa di un destino. Il Time magazine ha inserito Sara e Yusra tra le 100 persone più influenti del 2023, alla voce “icone”, con un commento firmato da Cate Blanchett.

Sara e Yusra Mardini, eroine, sportive e ora star del cinema

Ora, due film raccontano questo vortice di storie: Le nuotatrici, di Sally El Hoseini, che è un fenomeno su Netflix, ed il documentario Gegen den Strom (Contro la corrente), diretto da Charly Wai Feldman (una regista che è un vortice di storie pure lei: canadese di origini vietnamite e hongkonghesi, con una famiglia che da parte di padre è fuggita dalla Russia in quanto ebrea, da parte di madre dal Giappone in quanto cantonese). Due film potentissimi, nei quali è la danza la catarsi di Sara, movimenti al ritmo di pulsazioni elettroniche, quando i missili cadono su Damasco e dopo aver visto sul cellulare le immagini di Moira in fiamme. “Non c’è niente di sbagliato nel tirare fuori dall’acqua gente che sta affogando o di cercare di preservare intere famiglie dall’assideramento, o di fare in modo che donne incinta non abbiano le doglie su uno scoglio o di mostrare ai bambini che possono essere dei bambini. Ritengo che tutto quello che abbiamo fatto sia giusto”. Così dice, nel documentario, Sean Binder, il volontario che cinque anni fa fu messo in manette insieme a Sara. Mentre parliamo, nella Berlino che l’ha accolta, sulla testa della ragazza pende ancora una condanna a 25 anni.

Sara Mardini, i naufragi davanti alle coste italiane si ripetono. A Cutro decine e decine di corpi sono restituiti dall’acqua. Eppure le Ong che cercano di organizzare salvataggi vengono criminalizzate. Perché? 

“I governi vogliono fermare il salvataggio dei migranti sostenendo che i volontari, gli attivisti e le organizzazioni non governative incoraggiano le traversate illegali. Il che semplicemente non è vero: quando sono arrivata nuotando, nel 2015, non sapevo affatto se avrei trovato qualcuno sulla costa. In effetti non c’era proprio nessuno quando, con mia sorella e gli altri, siamo naufragati a Lesbo. L’altra faccia di questa vicenda è che l’Unione europea e i vari governi hanno fallito nell’accogliere i migranti che avevano promesso di accogliere. Dicono che non hanno abbastanza spazio, che non possono accogliere più nessuno, che chiudono i confini, s’inventano la storia per la quale i profughi arrivano perché i volontari li aiutano. Invece vengono perché nel 2015 erano stati i benvenuti e i confini venivano aperti: ora questo è cambiato”.

La storia sua e di sua sorella si è trasformata in due film. Avete parlato all’Onu, sua sorella ha incontrato Obama. Tutto questo l’ha cambiata?  

“No, per niente. Ovviamente sono più vecchia, ho più esperienza, ma sono ancora la stessa persona che lasciò la Siria sette anni fa. E lo stesso vale per mia sorella. Però siamo diventate più forti e crediamo di più nelle parole che diciamo e nei valori per i quali lottiamo. Ma purtroppo da sette anni ripetiamo sempre le stesse cose ogni giorno, chiediamo gli stessi diritti, difendiamo le stesse persone. Spieghiamo che chi viene dalla Siria, dall’Africa o dall’Iran non è affatto diverso dalle persone nate in Europa: sono solo nate in circostanze diverse. E’ un po’ triste che siamo ancora costrette a dire sempre le stesse cose, ma arriverà un giorno nel quale non ci sarà discriminazione a seconda da dove vieni, da che lingua parli, dal colore della tua pelle. In Europa c’è tanta gente che prima della guerra neanche sapeva dove stesse la Siria. Basterebbe googlarlo”.

Una recensione di Le nuotatrici disegnata da Bagigias

Una recensione di Le nuotatrici disegnata da Bagigias

 

Diversi governi dicono che le migrazioni devono essere contenute. E’ possibile?

“Ovviamente non è possibile. La verità è che non vogliono fare il lavoro necessario per integrare le persone. E’ solo una questione di punti di vista: se una ragazza francese vuole venire in Germania a studiare, anche questo è migrazione. Però lei può prendere l’aereo, può venire senza problemi, ha questo diritto. Il profugo no. E ha difficoltà a integrarsi. Per esempio, le giornate festive dei musulmani qui in Germania non esistono, dobbiamo andare a lavorare. Non è riconosciuto il Ramadan. Molti non lo capiscono, ma per noi è un mese sacro. Le società europee semplicemente non sono pronte ad avere gli stessi diritti per tutti nel rispetto delle rispettive culture. E’ dura, per noi”.

In Siria lei ha conosciuto la guerra. Può sembrare una domanda semplice, sappiamo che non lo è: può dirci perché siete fuggite, come siete finite su quel barcone?

“Una semplice domanda, una semplice risposta: ho perso la mia casa, la casa dove sono cresciuta, non avevo più un posto dove vivere. Da un momento all’altro non potevo più andare a scuola, non potevo più andare in piscina. Vivere in guerra vuol dire che ogni volta che esci dalla porta di casa e saluti la tua famiglia potrebbe essere l’ultima. Nessuno merita di trovarsi in una situazione del genere. E’ un diritto fondamentale vivere in un luogo sicuro, sentirsi al sicuro – essere al sicuro – essere nelle condizioni di vivere la propria vita, uscire e seguire i propri sogni. Non voglio avere paura di morire ogni volta che esco di casa: questo è uno dei motivi per cui abbiamo deciso di partire. L’altro motivo è che volevamo nuotare. Continuare la nostra passione e seguire i nostri sogni. Come tutte le persone normali”.

In Italia abbiamo avuto il caso di Carola Rackete, che lei ha conosciuto. Nel suo caso quali sono le accuse?

“In fondo si contano su una mano (ride): associazione criminale, riciclaggio, spionaggio, traffico umano, contrabbando, frode”.

Spionaggio? Davvero?

“Per me è riciclaggio l’accusa più assurda: non avevamo alcun denaro da riciclare! Ma quale denaro?” (ride di nuovo).

In un’intervista ha detto che a milioni scendono in piazza per protestare in nome del clima, ma che questo non accade per i migranti.

“Sì, ancora mi capita di litigare per questa cosa. Quando la gente esce per protestare per l’ambiente, mi chiedo: per chi lo fai? E’ solo per la gente che vive in Europa? Il fatto è che il mondo è spaccato in due tra chi vive in modalità sopravvivenza e la gente che vive una vita normale. Quando vivi in una situazione assolutamente sicura puoi essere creativo e puoi lottare per l’ambiente. Ma se vivi in un campo profughi non hai l’acqua pulita, non hai neanche un materasso sul quale dormire, non hai spazio: in una sola tenda talvolta ci sono fino a quaranta persone – uomini, donne, bambini – nei campi ci sono così tante malattie della pelle, i medici ripetono di non avere mai visto niente del genere. Ecco, perché non lottiamo per chi sta nei campi? Perché se scendiamo in strada in nome dell’ambiente non possiamo lottare anche per chi fugge e attraversa il mare? Oltretutto, ambiente e migrazioni sono strettamente connessi. Sempre più persone partono dai loro paesi a causa del clima”.

In questo film lei parla apertamente delle sue fragilità, del fatto di essere in terapia.  

“Beh, in Siria non è comune parlare di salute mentale. Io invece vorrei che le persone comprendano che cercare aiuto non significa che sei malato o che hai perso la testa, ma che è come andare dal dentista, la stessa cosa. Io penso che questo sia un messaggio importante per le persone che vengono dal Medio Oriente”.

Una manifestazione a favore di Sara Mardini

Una manifestazione per Sara Mardini in un momento in “Gegen den Strom” – Docdays Productions/ Safe Passage Films

Ma non è solo questo, vero?

“Chiunque mi conosca sa che sono ultrasensibile, piango per tutto in mezzo secondo, e che al tempo stesso ho questa personalità combattiva, questa rabbia. Ecco, io penso che sia giusto celebrarla, la vulnerabilità. In generale, volevo anche mostrare che impatto ha avuto il mio caso e l’esser stato in prigione senza diritti. Vede, impegnarmi come volontaria è stata la prima cosa che ho fatto dopo esser scappata dalla Siria, avevo appena 21 anni: ero così felice e mi consideravo così fortunata. E invece d’improvviso arriva qualcuno e mi prende tutto, mi accusa e mi mette in prigione per qualcosa che non ho fatto. E’ naturale soffrire. Allora mi sono detta: perché non parlarne? Perché non mostrare quello che tanti non vedono, ossia che molti volontari danno tutto quello che possono offrire? C’è chi pensa che siamo gente che ha tempo da sprecare, non sa che fare della propria vita, che cerca l’anima gemella nei campi: tutto falso. Ho conosciuto persone che sono andate a fare volontariato invece di andare in vacanza, gente che mette da parte il proprio stipendio per aiutare altre persone. Mostrare la fragilità è anche un modo per dire che i volontari meritano rispetto.”

A che punto sono i suoi processi, Sara?

“Ora sono passati quattro anni da quando sono stata detenuta. Al primo processo, che si è tenuto qualche mese fa, sono caduti i reati minori, ora stiamo aspettando il procedimento per quelli più gravi. In pratica: è tutto un aspettare. E uno spendere denaro”.

Un’ultima domanda. La scena delle Nuotatrici nella quale si vede una bomba cadere nella piscina… è andata proprio così?

“Sì. Mia sorella era in acqua, quando la bomba è caduta. E’ una storia vera” (silenzio).