Berlinale 2024, La Cocina: The Bear incontra Iñarritu in un dramma al curry che non piacerà a Trump

Nel suo nuovo film Alonso Ruizpalacios, in concorso, ha costruito una macchina virtuosa fuori dalla norma per raccontare di un ristorante newyorkese in cui si muove disordinatamente una varia umanità immigrata e non, tra relazioni tossiche, piatti infernali, mille lingue ed un ritmo frenetico che dice molto del nostro tempo

La porta degli inferi è a Times Square ed è sorvegliata da uno chef in pausa che fuma una sigaretta. L’insegna non esorta a lasciare la speranza: c’è scritto solamente “The Grill”, il nome del ristorante-trappola dove fare un hamburger non costa niente ma mangiarlo costa tantissimo. Come Dante, la giovane Estela sta cercando una persona, Pedro, compaesano messicano e lontano parente, che negli inferi de La Cocina si occupa della cottura del pollo.

Cucinare e servire piatti stranieri dall’identità annacquata, i polli al curry e le pizze margherite, è il contrappasso degli chef e cameriere della titolare cucina del nuovo film di Alonso Ruizpalacios, in concorso a Berlino. Nascondiglio e prigione, sia limbo che inferno, la cucina ospita un’umanità che vorrebbe sentirsi a casa ma non ci riesce. I suoi personaggi sono quasi tutti immigrati, alcuni di loro non parlano una parola di inglese, tra cui Estela, che scende negli inferi accompagnata da una steady-cam che sinuosa scorre i corridoi infiniti che la portano al suo nuovo posto di lavoro.

“Povero Messico, così lontano da Dio e così vicino agli Stati Uniti”. La Cocina racconta una giornata della “relazione tossica” – così l’ha descritta Ruizpalacios al pubblico – tra quelli che si fanno chiamare americani e gli altri americani, una relazione impari in cui c’è chi dà tutto e chi niente in cambio. Pedro è il portabandiera di questo fidanzamento, innamorato perso dell’americana Julia, che porta il suo bambino in grembo ma non la certezza di tenerlo.

Ottocento dollari sono scomparsi dalle casse del locale, più o meno la stessa cifra che costerebbe l’interruzione della gravidanza di Julia. Le indagini interne e la relazione tra chef e cameriera sono il motore della narrazione, ma Ruizpalacios cucina i suoi film come Pedro cucina i suoi piatti: distraendosi continuamente, andando ad ascoltare, a chiacchierare, a provocare, a fare l’amore in una cella frigorifera. Chi vuole il suo pollo al curry subito rimarrà deluso (non vedevo tanti polli volare dai tempi di Galline in fuga), ma per chi ama il coriandolo messicano, il sensibile Pedro cucinerà spuntini commoventi.

Accanto a Rooney Mara, Raúl Briones è un interprete fenomenale, capace di destreggiarsi con maestria tra spagnolo, inglese e linguaggio del corpo (saltella, tocca, sbatte, sbraita, tanto che il mio vicino di poltrona ha sentito il bisogno di esprimersi a mezza bocca “callate, cabron”). Attorno a lui, Ruizpalacios ha costruito una macchina virtuosa fuori dalla norma, i cui apici passano per piani sequenza di scuola iñárrituense dalle coreografie impossibili condotte in mari di cherry coke. La squadra attoriale è di alto livello e a ogni personaggio è data una sua dignità, dallo chef-sergente Hartman al contabile paranoico. I ritmi dei corridoi del The Grill ricordano sicuramente Birdman, ma possiamo davvero negare che questa cucina melting pot ad alta tensione e scurrilità non ricordi The Bear? No, chef.

Lo spunto di Ruizpalacios è il suo CV, passato per la cucina del The Rainforest Forest Café di Piccadilly Circus, il ristorante con due elefanti animatronics (secondo Google, questo posto avverso a tutto ciò che è buono e giusto ha chiuso definitivamente; le recensioni non erano eccellenti). Che l’ambientazione statunitense giovi non poco a La Cocina lo confermano i sondaggi americani, che vedono l’immigrazione come il tema più sentito in chiave elettorale per le prossime elezioni. La Cocina non sarà nella top ten di Donald Trump, ma è uno dei film più belli visti finora a Berlino.