Berlinale 2024, My Favourite Cake: l’amore anziano (e libero) che imbarazza il regime di Teheran

Due sedie vuote del Palast hanno ricevuto una standing ovation alla prima mondiale del film di Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha, in concorso, a cui il governo iraniano ha ritirato i passaporti. Un'opera delicata e deliziosa, fatta di piccoli sguardi e atti di dolcezza, e proprio per questo uno strumento di libertà che solo la stolidità di un'autocrazia riesce a non tollerare

Due sedie vuote del Berlinale Palast hanno ricevuto una standing ovation alla prima mondiale di My Favourite Cake, in concorso al festival tedesco. Il governo iraniano ha ritirato i passaporti ai registi Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha, impedendo loro di andare a Berlino a presentare il loro nuovo film. Un’ovazione sentita, quella alla fine del film, ma gli applausometri non possono calcolare l’efficacia di uno sbilenco tentativo di censura di un regime imbarazzato e impaurito – una recensione migliore di qualsiasi cosa possa scrivere la critica.

La legge moralista iraniana è temuta e pervasiva ma anche costantemente sfidata e schivata. Lo racconta la storia del cinema del paese, fatta di tanti registi dissidenti, sempre riusciti, in un modo o nell’altro, a raggiungere i palchi importanti del mondo. Nel 2011, Jafar Panahi aveva inviato il suo film proprio a Berlino – un film che per legge non avrebbe potuto girare – nascondendo una chiavetta USB in una torta. Sono passati tredici anni ma ancora le torte iraniane clandestine sono le preferite del festival tedesco.

Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha, registi di My Favourite Cake, in concorso alla Berlinale 2024

Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha, registi di My Favourite Cake, in concorso alla Berlinale 2024

My Favourite Cake racconta la solitudine della settantenne Mahin, vedova e lontana dai figli scappati dall’Iran. Le fatiche dell’età non le impediscono di aver voglia di vivere: Mahin è affaccendata, ironica, ottimista. Per una donna così, trent’anni di vedovanza possono farsi sentire. Comincia una caccia all’uomo, o semplicemente a un po’ di divertimento. Tinder è illegale in Iran e comunque Mahin non se ne farebbe niente: quando al bar del suo hotel preferito le dicono di scannerizzare il QR code per leggere il menù, lei guarda il cameriere sconcertata. “Libertà” si chiama oggi l’hotel, le spiega un tassista, ma è troppo cambiato e desolato dai tempi in cui lo frequentava Mahin.

Una miglior soluzione è il ristorante dei pensionati, dove accettano i suoi buoni pasto. Lì la donna incontra – o meglio sceglie – Faramarz, coetaneo tassista-veterano dallo sguardo gentile e il baffo importante. Il gioco di seduzione della donna è garbato e paziente ma per conquistare Faramarz le basta il corrisposto desiderio di tornare ad amare.

My Favourite Cake è un film fatto di piccoli sguardi, sorrisi, provocazioni e atti di dolcezza tra due persone che si incontrano e si innamorano senza far passare troppo tempo tra le due cose. Ad impedire che il film sia un ipotetico spin-off della Before Trilogy di Richard Linklater c’è il perbenismo di stato, la cui minaccia invisibile è costantemente percepita (ingressi dall’entrata posteriore, vicini impiccioni, hijab a portata di mano) ma anche sbeffeggiata e ignorata.

Che le cose possano andare storte da un momento all’altro, che la libertà conquistata sia solo un’illusione, è il vero villain di My Favourite Cake, ma il film non prende il prevedibile percorso narrativo dell’incursione della legge islamica nell’idillio romantico, raccontando comunque la sua oppressione prendendo strade secondarie e simboliche. Moghaddam e Sanaeeha così dimostrano di aver sviluppato le proprie doti narrative dopo il loro promettente ma didascalico esordio, La ballata della mucca bianca.

Il loro nuovo film si porta dietro meno vincoli sul piano stilistico come sul piano dei personaggi, loro stessi impegnati a ridere, a scherzare, a bere e a ballare, e la macchina da presa con loro. Mahin e Faramarz sono tra gli uomini iraniani che la libertà l’hanno vissuta alla luce del sole, prima della rivoluzione, quando si potevano mettere i costumi da bagno e quando, ricorda Mahin, ai ristoranti si esibivano Albano e Romina.

Il dramma di questa generazione meritava un film così garbato: con Faramarz e Mahin imbrunisce l’esperienza di emancipazione in Iran. Senza di loro, la libertà sarà un ricordo sbiadito e il nome di un hotel.