“La diversità non è una casella da spuntare”: dialogo sulla rappresentazione nera nel cinema italiano

All'interno delle iniziative del Black History Month a Roma, il panel Black Narratives in Italy's Film Industry ha riunito Jordan Anderson, Esther Elisha, Daphne Di Cinto e Yonv Joseph in conversazione sulle prospettive degli afrodiscendenti nell'audiovisivo

Cosa significa parlare di rappresentazione nera nel cinema italiano? Prima di tutto significa creare e aprire uno spazio, una rete di conversazione in cui confrontare esperienze e prospettive, come accaduto giovedì 15 febbraio durante il panel Black Narratives in Italy’s Film Industry. Un evento, ospitato all’interno dell’hotel The Rome Edition di Roma, che fa parte delle iniziative diffuse in città per il Black History Month, il mese di febbraio dedicato alla storia e alla cultura afrodiscendente.

Il dialogo, mediato dal direttore creativo Jordan Anderson, ha visto protagonisti Esther Elisha (attrice) Daphne Di Cinto (attrice e regista, che THR Roma ha intervistato in occasione della corsa agli Oscar del suo corto Il moro) e Yonv Joseph (attore afroamericano visto di recente in C’è ancora domani di Paola Cortellesi).

Una conversazione “che non abbiamo ancora visto abbastanza”

“Al di là del Black History Month”, afferma Jordan Anderson, “questa è una conversazione che non ho ancora visto abbastanza in Italia. Sento che dovremmo parlarne di più di ciò che stiamo perdendo, soprattutto riguardo noi stessi”. We are missing us, lo dice in inglese in realtà, aggiungendo una nota intraducibile a questa affermazione, quella che in inglese sovrappone il verbo perdere e il verbo mancarsi. Perché non vedersi riflessi nei film, nelle rappresentazioni e nelle immagini dei piccoli e grandi schermi porta necessariamente a non ritrovarsi più, non riconoscersi nel linguaggio comune.

È questo un argomento già ampiamente trattato da anni negli Stati Uniti, come conferma Yonv Joseph, ma che in Italia sembra affacciarsi da poco. Non che prima non esistesse, ma raggiunge adesso la superficie per essere ascoltato da un più ampio numero di persone. “Perché non è vero che nessuno ci presterà ascolto o nessuno guarderà le nostre storie. Lo faranno se quelle storie riusciranno a essere realizzate e raccontate. Se saranno presenti in giro”. Ma per questo serve anche un po’ più di “responsabilizzazione da parte del mercato e delle produzioni” oltre che del pubblico, aggiunge Daphne Di Cinto.

Ed è così che si rendono anche necessarie iniziative come il laboratorio di drammaturgia afroamericana del Teatro di Roma, in corso in questi giorni in collaborazione con l’Ambasciata statunitense e i cui partecipanti erano presenti al panel stesso del 15 febbraio.

Black Narratives in Italy Film Industry, Roma 15 febbraio 2024

Black Narratives in Italy’s Film Industry, Roma 15 febbraio 2024. Courtesy of Eventi The Rome Edition

Esserci, nella storia e nelle immagini

“Ho sempre sentito il palco come casa mia, il mio posto”, prosegue Di Cinto, raccontando il percorso come attrice da un piccolo paese in provincia di Ravenna, fino a Roma, Parigi, Londra e l’Actors Studio di New York. “All’inizio degli studi a Roma, però, ho capito che le persone non immaginavamo me come la protagonista di una commedia romantica. Non vedevano me come la persona che poteva interpretare la protagonista”. Anche per questo motivo, dopo una serie di ricerche per altri lavori, imbattendosi nella storia di Alessandro De’Medici, duca di Firenze afrodiscendente, ha scelto di raccontare la sua storia passando dall’altro lato della macchina da presa.

“Mi hanno sempre ricordato che io non potevo fare determinati ruoli, storici, perché non c’ero al tempo. Eppure, nel Rinascimento italiano non solo c’era Alessandro de’ Medici ma c’erano intere comunità afrodiscendenti in Italia e in Europa di cui sembra che tutti gli sceneggiatori italiani si siano dimenticati. Per questo costruire sulla storia per me è questione di dare alle generazioni future i mattoncini per costruire la loro identità, perché nessuno possa dire loro ‘tu nella tua storia non esistevi’. Voglio che i ragazzini di oggi possano dire: “‘No, io esistevo perché c’era questo personaggio, l’ho letto in questo libro, l’ho visto in questo film. E ancor più rilevanti sono i film perché viviamo nel mondo dell’immagine, che è molto potente. Una volta che hai visto qualcosa, non puoi far finta di non vederla più”.

Il “peso” della rappresentazione

A proposito di argomenti che, come detto durante il panel, arrivano in Italia lentamente rispetto ad altri paesi interculturali, nasce in questo caso anche la questione del “burden of representation”, il peso e la responsabilità di doversi raccontare entro determinati schemi, anche nel cinema. A sollevarlo durante l’evento è Esther Elisha, autrice oltre che attrice, al momento al lavoro su un suo testo. “Penso sia importante autoliberarci dal peso di dover raccontare per forza delle storie che abbiano a che fare con la nostra identità in senso stretto”, afferma. “Perché spesso nelle storie che sono scritte da un altro sguardo su di noi la presenza di un personaggio nero viene giustificata parlando di razzismo, marginalità, criminalità. Perché non possiamo essere semplicemente i protagonisti della commedia romantica? Che chiaro, è ancora informata della tua presenza, delle tue origini, ma non in senso stretto. C’è un film che sto scrivendo ma non so se porterà un viso o un corpo che mi somiglierà necessariamente, alla fine. Però magari il mio sguardo sulla realtà sarà diverso, non migliore, ma sarà mio”.

E sul suo ruolo di artista attiva da oltre vent’anni nella scena italiana, aggiunge: “Sento sempre più il bisogno di fare rete tra persone afrodiscendenti. Penso a un passaggio del libro White Noise di Susan Lori-Parks, quello dei granchi che per uscire da un sacchetto spingono in basso gli altri: quando si è in pochi per lo stesso ruolo c’è questa competizione, come Naomi Campbell che voleva essere l’unica. Mi sono resa conto, e vorrei averlo capito prima, quanto è importante invece essere tutti. Non è la vittoria di uno, nemmeno di quello che vince, l’obiettivo”.