Si definisce “fumantina” Greta Scarano, per sintetizzare in una sola parola quel misto, forse impossibile da descrivere altrimenti, di energia, forza, determinazione e autoconsapevolezza (anche nella scelta delle parole che usa), che investe qualsiasi suo interlocutore. Ed è questo che fa di lei uno degli sguardi più interessanti sul presente del cinema italiano.
THR Roma la incontra un anno dopo l’intervista che anticipava il suo debutto al Tribeca di New York con il cortometraggio Feliz Navidad. Questa volta, al Bellaria Film Festival 2024, coglie l’occasione di un dialogo con l’Emilia Romagna Film Commission per raccontare qualcosa di più del suo esordio alla regia nel lungometraggio, Adriatica, ambientato proprio nella regione e prossimo all’uscita con Groenlandia.
Un sogno che ritorna
Come già annunciato sui social, le riprese sono terminate lo scorso febbraio, ma nel contesto del panel industry del BFF 42, Greta Scarano rivela anche di cosa tratta e perché ha scelto di farlo. “Ho sempre voluto fare la regista, da quando avevo quindici anni”, afferma. “Sono cresciuta desiderando di fare i film di Dario Argento e ho anche provato ad entrare alla Silvio D’Amico (l’accademia nazionale di arte drammatica, ndr) come regista. Avevo lavorato tutta l’estate a un testo, ma mi scambiarono per un’attrice e io me ne andai”.
La carriera da attrice inizia dopo quell’esperienza, quasi per caso, però adesso prende una svolta che, in realtà, è un ritorno a casa, anche con maggiore coscienza: “Non sopporto la polemica che si è creata, contro le donne attrici che hanno esordito quest’anno dietro la macchina da presa. Non la voglio proprio sentire”. “Il mestiere del regista”, prosegue, “è sempre stato un mestiere da uomini, quindi è giusto che chi può ed è facilitato – facilitata in questo caso – come noi attrici, cerchi di ispirare le future generazioni di ragazze a diventare autrici. È fondamentale perché ancora le percentuali di donne che lo fanno sono troppo basse”.
Il problema del cinema al femminile
Riconosce, Scarano – sempre per quella già accennata autoconsapevolezza – di avere anche un decisivo privilegio: “Dopo venti anni da attrice, ormai, ho avuto anche la possibilità di fare questo film non dico con chi volevo, ma quasi. Ho conosciuto maestranze e tecnici bravissimi nel tempo e ho avuto la possibilità di portarli in questo film. Cosa che un esordiente, qualcun che parte da zero, spesso non può fare”.
Un problema a parte, aggiunge, è la mancanza di ruoli femminili in Italia: “Un problema gravissimo, che mi sembra anche peggiorato di recente. Sono sempre pochi i ruoli belli per le donne, forse è anche per questo che le attrici scelgono di crearli, di dirigerli da sole. Nel mio caso, però, non l’ho fatto, perché ho preferito fare una regia pura, al 100%. Da attrice mi piace quando si crea la dialettica tra il mio lavoro e quello della regia, ho voluto quindi tenere i ruoli separati”.
Adriatica, cosa aspettarsi
Entrando nel merito di Adriatica, Greta Scarano rivela di aver cercato a lungo l’argomento da raccontare al suo esordio prima di imbattersi in una folgorazione: “Mi sono ritrovata a comprare diritti di diverse storie e a volte a rivenderli o a non vederli mai realizzati, fino a quando ho scoperto Mia sorella mi rompe le balle, il libro dei Damiano e Margherita Tercon”. I fratelli Tercon sono conosciuti anche sui social per l’attività di sensibilizzazione e divulgazione che portano avanti sula vita quotidiana delle persone nello spettro autistico.
“Ho capito subito che sarebbe stata questa la storia che avrei voluto mettere in scena, il rapporto tra questo fratello e questa sorella”. Nel film, rivela, il ruolo di Damiano Tercon è affidato effettivamente a un attore nello spettro autistico. “Voi romagnoli mi perdonerete se il suo accento è invece toscano”, scherza in riferimento anche all’ambientazione dell’opera. Era fondamentale, infatti, per Scarano che fosse un attore professionista: “Abbiamo fatto diversi provini, sia a persone neurodivergenti sia a persone cosiddette neurotipiche, ed è stato semplicemente il più bravo di tutti”. Lo affianca, rivela la regista, l’attrice bolognese Matilda De Angelis: “A lei devo molto, perché è riuscita davvero a entrare in contatto con lui, a trasformarsi in sua sorella e creare un’alchimia”.
Una visione lucida (e politica)
Si ferma “solo” qui, Greta Scarano, prendendosi anche la responsabilità di aver condiviso molto del film nel contesto di questo incontro pubblico, prima dell’effettivo lancio, ma poco dopo in privato c’è il tempo chiederle un’ultima cosa, che riguarda la sua visione, da autrice e artista. Non teme, lei, di venire “ostracizzata” in questo momento per le sue posizioni etiche e sociali? Per l’aperto sostegno alla Palestina sui suoi social? O meglio, in generale, è questo un argomento a cui prestare attenzione, anche in Italia?
“Temo di essere completamente naïf da questo punto di vista, nel senso che non ho paura di nulla”, risponde. “Non ho paura di dire che non voglio più vedere bambini morti. Sono sconvolta, nel senso che non giudico chi decide di non esprimere la propria indignazione, però sono anche cresciuta in una famiglia molto devota al prossimo. Anche il film che ho scelto di fare è un film su un ultimo, del suo essere unico. Questi sono argomenti che mi toccano e forse sono davvero ingenua ma faccio fatica a comprendere chi non si esprime”.
E prosegue: “Io decido di dire quello che penso, consapevole del fatto che probabilmente non importa a nessuno. C’è però una parte di me che pensa che se lo facessimo tutti, le cose cambierebbero. Ciò che non tollero è quando mi viene detto che è inutile insistere, perché è più facile girarsi dall’altra parte. Nel mio piccolo, due anni fa, sono andata in Moldavia dai rifugiati ucraini, fino a poco tempo fa ho parlato del Sudan. Faccio quello che posso”.
E non è escluso che continuerà a farlo anche in futuro, da autrice e regista. D’altronde a ispirarla per la prima volta dietro la macchina da presa del suo cortometraggio Feliz Navidad, afferma, è stato Jordan Peele, con il suo (politicissimo horror) Scappa – Get Out.
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