Samad, parla arabo questa (vera) storia italiana sulla libertà come scelta. E sul carcere come metafora

Il regista Marco Santarelli e il protagonista Mehdi Meskar raccontano il loro lungometraggio, distribuito da Kavac Film con il supporto di Antigone Onlus, che il 13 maggio inizia il suo viaggio anche negli istituti penitenziari

Uno spaccato di Italia dal basso, un dramma morale, uno sguardo documentaristico e il carcere come metafora: sono questi i quattro pilastri su cui si fonda Samad, prima opera di finzione di Marco Santarelli.

È una storia vera, o meglio, un insieme di storie vere ricucite addosso a Mehdi Meskar, nel ruolo del protagonista da cui il film prende il titolo. Del cinema del reale porta con sé l’immediatezza di volti e attori non professionisti (accanto a Meskar) e l’aderenza a un contesto volutamente scarno, non abbellito, per certi versi brutale.

La libertà “come scelta”

Samad è infatti la storia di un ragazzo marocchino che – nel percorso di reinserimento nella società dopo la detenzione – torna tra i vecchi compagni di carcere insieme a padre Agostino (Roberto Citran), con cui ha iniziato un percorso di conversione al cristianesimo. La sua identità è spezzata, tormentata, fra due lingue, fra due religioni, fra due mondi a cui vuole appartenere ma da cui viene, in entrambi i casi, rifiutato.

“Il tema che ho cercato di affrontare è quello della libertà come scelta”, afferma Marco Santarelli. “Non sempre la scelta che si compie, infatti, è quella giusta per sé. Samad si trova a vivere un conflitto interiore e dentro questo conflitto ho costruito tutta la storia”.

La tradizione, anche cinematografica, è quella dei grandi prison movie – solo uno tra quelli citati è Il profeta di Jacques Audiard – in cui le mura della prigione sono sempre il simbolo di qualcos’altro. In questo caso di una condizione mentale, senza via d’uscita. “Samad neanche fuori si sente libero”, afferma il regista. “Il film racconta la sua fatica nel trovare il suo posto al mondo ed è questa fatica che lo porta poi a scontrarsi con tutti. Perché tutti lo vorrebbero da una parte o dall’altra, ma lui capisce solo alla fine che qualsiasi riposta la deve cercare dentro sé, non fuori”.

Lo sguardo del documentario

L’idea per Samad nasce da un documentario, già realizzato da Santarelli: “Il vero Samad l’ho conosciuto nel 2011, all’epoca era in carcere per scontare una pena come narcotrafficante ed era seguito da un volontario religioso. L’ho conosciuto che era detenuto e poi l’ho seguito, una volta uscito, nel percorso, non facile, che ha fatto per trovare una casa e un lavoro”.

Il vero Samad è anche uno dei personaggi secondari del film, oltre che uno degli autori del soggetto, coinvolto dallo stesso regista nella fase di scrittura. La storia, però, mette insieme più esperienze: “Cinque anni dopo ho girato un altro documentario seguendo, questa volta, il volontario che aveva aiutato Samad. Da lì nasce anche l’idea di raccontare l’incontro con gli ex-compagni.

Una scena di Samad (regia di Marco Santarelli).

Una scena di Samad, regia di Marco Santarelli. Foto di Matteo Graia

Sul set il vero Samad “si è divertito nel ruolo del cattivo della sua stessa storia, però ha anche aiutato molto Mehdi (Meskar, ndr)a capire delle cose del personaggio e della sua condizione”, ricorda il regista.

“Il rapporto con Samad è stato un rapporto di grande generosità”, afferma Meskar. “Il mio è un personaggio di finzione con molte libertà rispetto alla sua storia, però mi ci sono avvicinato con grande rispetto, per tutto quello che ha vissuto. Forse al suo posto avrei avuto paura ad aprirmi così con uno sconosciuto, lui invece mi ha permesso di fare molte domande”.

Costruire una relazione

“È la costruzione di una relazione di condivisione che mi ha permesso di avere la fiducia di questi interpreti non professionisti e quindi portarli anche sui temi più complessi, come la loro identità religiosa”, aggiunge il regista. Nelle parole di Santarelli sull’autenticità che questi uomini hanno restituito al film, emerge ancora di più la sua formazione nel cinema del reale, perché: “Per tirare fuori quello che si ha dentro basta uno sguardo e loro, i co-protagonisti, sono stati bravi, sono riusciti a calibrare parole e occhi”.

La volontà di aderire il più possibile al reale non è fine a se stessa e si riflette, come anticipato, anche nella scelta della lingua del film. “È anche una questione di identità culturale”, prosegue Santarelli. “È un’occasione per dare all’arte uno sguardo su questa seconda generazione che esiste in Italia e che ha bisogno anche di farsi sentire e di essere ascoltata, giustamente”, aggiunge Meskar.

Una scena di Samad, regia di Marco Santarelli. Foto di Matteo Graia

Una scena di Samad, regia di Marco Santarelli. Foto di Matteo Graia

“È stato un lavoro certosino, quello sulla lingua araba insieme ai ragazzi, per dar loro modo di trovare anche le parole giuste per esprimere il sentimento che serviva in scena”, spiega il regista.

Parole che si riflettono anche nella scelta del brano che accompagna il film, Casablanca del rapper italo-marocchino Baby Gang, che pochi giorni prima dell’uscita del film è stato, nuovamente, al centro di un discusso arresto. “Baby Gang l’ho conosciuto tramite i ragazzi marocchini (coinvolti nel film, ndr). Mi hanno fatto ascoltarle sue canzoni, me le hanno tradotte e spiegate, mi hanno raccontato un po’ la sua storia”, afferma il regista.

La distribuzione itinerante con Antigone

Dopo l’anteprima al Bari International Film Festival, la prima proiezione pubblica di Samad (al cinema con Kavac Film dal 13 maggio 2024) è stata nel carcere di Piacenza, dove è stato girato. Proseguirà il suo percorso in Italia con il supporto di Antigone Onlus alla distribuzione, in un progetto itinerante: “Antigone ha visto il film e ha voluto sostenerlo”, dice Santarelli a THR Roma. “Lo seguirà nelle diverse proiezioni che stiamo provando a organizzare e che faremo in carcere. Una cosa molto bella e forte”.

Sul film l’associazione ha dichiarato: “In Samad il carcere non è solo uno degli scenari, ma è il contenitore in cui inserire i conflitti che attanagliano il protagonista, rappresentati in un luogo in cui il tempo è sospeso e l’equilibrio sempre difficile. Un carcere descritto dagli occhi di un regista che ha visto e conosciuto il mondo penitenziario e ne riporta un’immagine realistica e ricca delle sue contraddizioni. Il protagonista ci presenta un esempio di quanto oggi in Italia sia difficile perdere lo stigma di chi ha alle spalle un passato di detenzione. Parlare di carcere e delle persone che lo abitano è sempre fondamentale. Negli scorsi anni il cinema è stato capace, ancor più dei media tradizionali, di far uscire il sistema penitenziario e suoi problemi dal cono d’ombra che troppo spesso li investe. Il film Samad è un alleato di Antigone nel tentativo di creare consapevolezza sociale su un tema sempre a rischio di essere dimenticato”.