“Molta più follia dell’anno scorso. Ma anche più fragilità, più umanità”: Kaze, una delle protagonista di Call My Agent – Italia anticipa così la seconda stagione della serie. Sulla scia delle parole di Michele Di Mauro, che aveva parlato della “possibilità di accondiscendere il desiderio di commuoversi”, i giovani assistenti confermano, preannunciando un nuovo capitolo più immersivo e sentimentale del precedente, ma altrettanto divertente.
Le fa eco Pietro De Nova, new entry nel ruolo di Evaristo, giovane tuttofare di Gabriele Muccino. “Rispetto all’originale francese Dix pour cent, la seconda stagione di Call My agent Italia è più freestyle. Quella componente di malinconia della serie originale viene trasformata, come sappiamo fare noi, in un carnevale molto italiano”, citando Stanis Larochelle.
Dal 22 marzo, il fenomeno tv dello scorso anno riaccende i riflettori su idiosincrasie e segreti dello show business. Ovviamente, sempre filtrati dagli occhi esperti della CMA, l’agenzia fittizia che rappresenta tutti i più celebri talent d’Italia. Ad aiutare i quattro agenti che ci lavorano, gli assistenti Monica (Sara Lazzaro) Pierpaolo (Francesco Russo) Camilla (Paola Buratto), Evaristo (Pietro De Nova), e Sofia (Kaze), la segretaria. Tutti uniti da un’unica vocazione, di farsi strada in un ambiente tanto patinato quanto difficile, fatto di attori sregolati e guest star impazzite, che in questa seconda stagione “si sono messe ancora più in gioco”.
Call my Agent: il racconto di una realtà universale
Parla di “nuove alleanze e scoperte interessanti” Buratto, nei panni di Camilla, assistente personale di Lea e giovane apprendista con tanta voglia di imparare. “Avrà delle nuove amicizie che le permetteranno di progredire, di imparare di più e sentirsi più sicura. Di avere un contatto umano importante fuori e dentro l’agenzia, cosa che per lei conta molto”.
Pur raccontando i retroscena dello star system, una sorta di El Dorado per i giovani apprendisti della CMA, la serie mostra pochi tappeti rossi e praticamente nessuna cena di gala. O meglio, le occasioni mondane ci sono. Ma non sono l’ambientazione che ha reso Call My Agent un caso seriale. Tutto ciò che succede, snodi narrativi, scoop di spettacolo, evoluzioni di trama e sentimentalismi – passa per l’ufficio. “Raccontiamo il mondo della pre-produzione del cinema, ma lo facciamo in un ambiente normalissimo e universalmente noto a tutti”, spiega Francesco Russo.
“Pur parlando sempre di cinema, qualsiasi persona che è alle prese con una stampante, con un computer, può riconoscersi e ritrovare i propri colleghi nella serie”, continua Pietro De Nova. “Il che è paradossale, perché il mondo dell’ufficio, quello burocratico per definizione, ha invece in sé un livello di improvvisazione incredibile”.
L’approccio allo show business
Perché i rapporti umani, forse ancor più del mondo dello spettacolo, sono il soggetto alla base di Call my Agent. Vedere le gerarchie che reggono un certo ambiente, il nonnismo esercitato da alcuni degli agenti sui più giovani, è un tema tanto universale quanto quello del lavoro d’ufficio. “Quando frequentavo la scuola di teatro, incontrai un’agente anziana che era identica al personaggio di Elvira di Marzia Ubaldi”, ricorda Russo. “Quando ho visto quel modo rude di fare, di approcciare i giovani, ricordo di essere rimasto veramente spiazzato”.
“Io vengo da Udine, ero totalmente all’oscuro di come fosse il mondo dello spettacolo. Mi basavo solo sulla mia immaginazione, su come io pensavo che fosse”, continua Buratto, che pure racconta un primo approccio disorientante e meta-teatrale, un po’ come quello della sua Camilla. “Puoi immaginare quanto vuoi questo ambiente, ma ad un certo, per capirlo, bisogna stravolgere la propria prospettiva”.
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