Lumbrensueño, la recensione: la vita vista dalla camera oscura di un giovane messicano

Il film di José Pablo Escamilla, opera a micro-budget nella sezione di Biennale College Cinema a Venezia80, è un ibrido tra cinema classico e sperimentale, che unisce a una narrazione canonica una forma poetica e trasgressiva

Lumbrensueño comincia col più classico degli incipit sperimentali – perché sì, anche ciò che è “sperimentale” può diventare “classico”. Il film di José Pablo Escamilla, opera a micro-budget presentato nella sezione di Biennale College Cinema all’80esima Mostra del Cinema di Venezia, si apre con una sequenza di inquadrature sfocate e suoni sconcertanti: le immagini si muovono confuse, la camera non mette a fuoco nulla, la melodia si fa cacofonia.

Dopo alcuni (lunghi) minuti di eccesso e sperimentazione, ecco che Lumbrensueño cambia. Le parole in sovrimpressione e il dinamismo forsennato si acquietano per lasciare spazio a inquadrature larghe, dettagli stretti e un diffuso senso di calma. Una calma pesante e oppressiva come la sensazione di prigionia provata dal protagonista Lucas (Diego Solís).

La Toluca Valley grigia e messicana di Lumbrensueño

Appena trasferitosi nella Toluca Valley, zona industriale messicana, il giovane lavora in un fast food e trascorre il tempo cercando di evitare il suo capo, che cerca di sfruttarlo per realizzare i contenuti social del locale mentre cuoce hamburger e frigge patatine.

Un'immagine del film Lumbresueño

Un’immagine del film Lumbrensueño

Un disagio che il ragazzo prova anche quando è solo, perso in una città che reprime qualsiasi guizzo creativo.

E tuttavia, grazie all’amico Oscar (Imix Lamak), Lucas pian piano comincia a ribellarsi a quel grigiore immobile e immutabile. La sua è, letteralmente, una ricerca di luce – che il ragazzo trova nella camera oscura, nella fotografia come via di fuga per la salvezza.

Quando la vita incontra la poesia

Come un raggio di sole che penetra tra le fessure di una parete, Lumbrensueño unisce la libertà folle e indomabile di un cinema che non rispetta le regole a una narrazione canonica, inaspettatamente “normale”. Pur non seguendo alcuna norma, il film ha un suo inizio e una fine ma resta un’opera che si ribella a redini e freni – piena di inserti che, dopo la sequenza d’apertura, tornano a più riprese nel film come versi e capoversi di una lettera.

A tratti le immagini tornano nebulose, altre scritte appaiono sottolineate dalla voce fuori campo. È poesia, è ibridazione di forme, quella di Lumbrensueño. Concreta come l’arte, astratta come la vita impressa su un rullino fotografico.